Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7332 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 31/03/2011), n.7332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Società Cooperativa a r.l. F.A.N.S. (in liquidazione), con sede in

(OMISSIS), in persona

del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma al

Viale Regina Margherita n. 262/264 presso l’avv. TAVERNA Salvatore

che la rappresenta e difende in forza della “procura speciale”

rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(1) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, e

(2) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma alla

Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che

li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 88/14/05 depositata il 23 giugno 2005 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Lazio;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2010

dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle amministrazioni pubbliche, perorate dall’avv.

Giancarlo CASELLI (dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

APICE Umberto il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 22 settembre 2006 all’AGENZIA delle ENTRATE ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE (depositato il giorno 11 ottobre 2006), la Società Cooperativa a r.l. F.A.N.S. premesso che la Guardia di Finanza avendo ipotizzato (all’esito della “verifica generale” operata nei confronti di quella) “l’emissione” da parte “della … A.T.F. Soc. Coop a rl in liquidazione”, di “fatture per operazioni inesistenti” (per “occultamento cosciente e volontario delle scritture contabili allo scopo di impedire la ricostruzione del volume d’affari conseguiti”, “genericità della descrizione delle fatture emesse”, “mancanza di documentazione di supporto”, “entità del personale dipendente” nonchè per “ambiguità e promiscuità nei pagamenti”) aveva contestato ad essa, ritenendoli relativi ad “operazioni inesistenti”, “la contabilizzazione di costi” concernenti le operazioni “intercorse con la società A.T.F.”, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. (88/14/05) della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (depositata il 23 giugno 2005) che aveva respinto il suo appello avverso la decisione (249/53/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale aveva disatteso il ricorso da essa proposto contro “l’avviso” notificato dal competente Ufficio a parziale rettifica della dichiarazione annuale presentata ai fini dell’IVA “per l’anno 1993” (con irrogazione delle afferenti sanzioni).

Nel controricorso notificato il 2 novembre 2006 (depositato il 20 novembre 2006) il Ministero e l’Agenzia instavano per il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nella sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale premette:

– “secondo il punto 6 della L. n. 289 del 2002, art. 16 … le liti fiscali che possono essere definite sono sospese … fino al primo giugno 2004”;

– “atteso che la sentenza impugnata è stata depositata il 21 maggio 2002, il periodo compreso tra quest’ultima data ed il 31 dicembre 2002 deve essere computato ai fini del calcolo del termine lungo di un anno e 46 giorni …”;

– “dal primo giugno 2004 fino al 18 dicembre 2004, data in cui risulta proposto l’appello, momento della spedizione come da ricevuta postale, risultano decorsi ulteriori sei mesi e diciassette giorni che, aggiunti ai precedenti mesi sette e dieci giorni danno un totale di tredici mesi e ventisette giorni a fronte dei tredici scilicet, mesi e quindici giorni concessi per l’applicazione dell’art. 321 c.p.c.”.

“Quanto sopra in disparte”, la stessa Commissione ha respinto l’appello osservando:

– “l’onere dell’Ufficio di Indicare gli estremi ed il titolo della pretesa impositiva ben può essere assolto per relationem, cioè mediante il riferimento agli elementi offerti da altri documenti alla condizione che gli stessi siano conosciuti dal destinatario che, in tal modo, può contestare sia l’an ed il quantum della pretesa”;

– “la motivazione per relationem non esclude che l’Ufficio abbia autonomamente valutato gli elementi offerti dal PVC motivando cosi l’accertamento con un mero rinvio”;

– “le fatture con descrizione generiche perdono la loro efficacia probatoria rendendo legittimo l’intervento di … rettifica operato dall’Ufficio”.

2. La Cooperativa censura tale decisione con tre motivi.

A. Con il primo la ricorrente – affermato che “le valutazioni dei verbalizzanti non possono ritenersi … coperte da efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 cod. civ. … per cui gli Uffici … sono tenuti ad operare una valutazione critica dei dati e degli elementi informativi loro forniti dagli organi competenti a svolgere le indagini ispettive” – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 3, e degli artt. 2691, 2700 e 2729 c.c.” nonchè “insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia” adducendo che “nel caso” l’Ufficio ha “recepito acriticamente una serie di elementi … puramente indiziari … rendendo … incomprensibili le ragioni che hanno portato i giudici di secondo grado a ravvisare in tali elementi la “base incontestabile” onde legittimare l’opposto avviso di rettifica”.

B. Con il secondo motivo la contribuente – assunto aver la giurisprudenza di questa Corte (“cfr. Cass., … 5, 25 maggio 2001 n. 7145”; “sentenza 3 maggio 2001 n. 15234”) “separato il binomio conoscenza-conoscibilità, dichiarando la nullità di un atto di accertamento motivato per relationem in una fattispecie di mancata conoscenza effettiva” – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1572, n. 633, art. 56, comma 3, della L. 21 luglio 2000, n. 212, art. 7, e degli artt. 2697, 2700 e 2729 c.c.” nonchè “insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia” esponendo che “nei caso …, il rinvio … al processo verbale di constatazione non è “univoco” perchè “articolato, quanto alla motivazione, su un duplice livello” (“avviso di accertamento rinviante al processo verbale di constatazione a sua volta rinviante all’esito di controlli incrociati eseguiti nei confronti di presunti clienti”), quindi “con una sorta di doppio rinvio per relatlonem” in quanto “riferito” (a) “al processo verbale di constatazione” redatto nei confronti di essa “accertata” e (b) “alla documentazione derivante da “altra” attività ispettiva non portante ad alcuna presunzione certa”.

Per la ricorrente, quindi, l’Ufficio, “da un punto di vista formale, motiva l’atto impositivo facendo riferimento al processo verbale” di cui essa “ha avuto conoscenza” ma “dal punto di vista sostanziale …

richiama gli esiti riportati nell’attività di indagine che ha coinvolto altri soggetti di cui essa ricorrente non ha avuto completa cognizione, non conoscendone il contenuto se non nelle parti richiamate dalla Finanza”.

C. Con il terzo (ultimo) motivo la Cooperativa denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, commi 2 e 3 nonchè dell’art. 2729 c.c.”, oltre che “omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia” assumendo che “la sentenza impugnata” è “erronea” perchè ha “legittimato i … recuperi a tassazione sulla base di presunzioni prive dei necessari requisiti della gravità, della precisione e della concordanza” mentre l’Ufficio, “avendo contestato … irregolarità contabili a carattere formale (genericità delle fatture e assenza di documentazione di supporto)”, “avrebbe dovuto procedere alla rettifica” solo “mediante l’uso di presunzioni semplici, “purchè gravi, precise e concordanti”: secondo la contribuente, quindi, poichè “la scelta …

del metodo di accertamento non è affatto discrezionale … ma vincolata al rispetto dei presupposti indicati dalla legge”, “l’accertamento … non poteva essere … effettuato” (“pena la violazione del generale divieto del “praesumptum de praesumpto”) perchè “fondato su presunzioni prive dei requisiti suindicati”.

4. Il ricorso è inammissibile.

A. La sentenza impugnata, invero, contiene una evidente declaratoria di inammissibilità (per tardività) dell’appello della contribuente avendo la Commissione Tributaria Regionale affermato, in via preliminare, che, pur tenuto conto della sospensione (“fino al primo giugno 2004”), “al momento della spedizione” del gravame erano trascorsi “tredici mesi e ventisette giorni a fronte dei tredici e quindici giorni concessi per l’applicazione dell’art. 327 c.p.c.”.

Il punto, avente una evidente sua autonomia, non risulta investito da nessuna delle (innanzi riprodotte) doglianze della contribuente per cui (a prescindere dall’esattezza o meno, anche giuridica, del conteggio operato, che non può essere neppure riscontrata in assenza di apposito motivo di gravame) deve ritenersi ormai coperto da giudicato interno l’avvenuto superamento del termine cd. “lungo” fissato dall’art. 327 c.p.c. (applicabile al processo tributario in forza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 49) affermato dal giudice di secondo grado.

B. Il rilievo, da parte della Commissione Tributaria Regionale, dell’inammissibilità dell’appello ha determinato il venir meno dello stesso “potere” di essa stessa Commissione di affrontare e, quindi, di decidere le questioni poste al suo esame perchè contenute in un atto di impugnazione da essa stessa giudicato inammissibile siccome tardivamente proposto.

Ancor di recente, infatti, le sezioni unite di questa Corte (sentenza 20 febbraio 2007 n. 3840) hanno ribadito il principio secondo cui “con la declaratoria di inammissibilità (della domanda o del gravame) … il giudice definisce e chiude … il giudizio” cfr., altresì, Cass., 3, 5 luglio 2007 n. 15234 nella quale si legge: “La Corte di Appello, avendo ritenuto l’appello inammissibile, non avrebbe potuto procedere all’esame del merito della causa” atteso che “la pronuncia di inammissibilità della domanda comporta la carenza del potere di esaminare la causa nel merito, sicchè la relativa decisione, eventualmente resa dal giudice in aggiunta alla dichiarazione di inammissibilità, è da ritenere improduttiva di effetti giuridici, donde anche il venir meno dell’interesse della parte ad impugnare: Cass. civ. 8 ottobre 1998 n. 9973; Cass. civ. 16 settembre 1993 n. 9555; Cass. Civ. sez. un., 14 marzo 1990 n. 2078, orientamento di recente ribadito dalle Sezioni Unite, a fronte di talune decisioni discordanti)”.

Le stesse sezioni unite, di poi (sentenza 24 luglio 2009 n. 17349), hanno confermato che qualora il giudice (come nel caso) si sia spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia “la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare” le “argomentazioni sul merito” inserite “impropriamente … nella sentenza” di tal che, mentre “è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale”, “è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parie in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata. (Cass. civ., Sez. Unite, 20/02/2007, n. 3840; Cass. 05/07/2007, n. 15234)”.

Nel caso, come innanzi evidenziato, la ricorrente non ha affatto impugnato la pregiudiziale statuizione della Commissione Tributaria Regionale concernente la ritenuta tardività del suo gravame per cui la stessa è carente di interesse (art. 100 c.p.c.) ad impugnare quanto esaminato dal giudice di secondo grado espressamente “in disparte” dalla (precedentemente rilevata) inammissibilità dell’appello.

5, Per la sua totale soccombenza la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere all’Agenzia ed al Ministero le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto contro del valore della controversia e della effettiva attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Cooperativa a rifondere all’Agenzia ed al Ministero le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 6.200,00 (seimiladuecento/00), di cui Euro 6.000,00 (seimila/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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