Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7332 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 17/03/2020), n.7332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23738-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.G., elettivamente domiciliare in ROMA V. FLAMINIA 405,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO CASU, rappresentato e difeso

dall’avvocato SERGIO GUASTELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2327/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 17/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Fatto

RILEVATO

Si controverte di istanza di rimborso del 90% di Irpef versata e relativa al periodo 1 gennaio 1990 – 31 dicembre 1992 in costanza del provvedimento di sospensione del pagamento delle imposte in ragione del sisma del 1990 che ha interessato la Sicilia Orientale.

L’istanza è stata presentata dal contribuente, quale lavoratore dipendenti per le somme versate dal sostituto di imposta, suo datore di lavoro.

Impugnato il silenzio – rifiuto, tanto la CTP che la CTR erano favorevoli al contribuente, sulla scorta dell’assunto trattarsi di tasse che sono state pagate in nome e per conto suo, quindi trattarsi di suo danaro per il cui rimborso deve ritenersi legittimato sotto il profilo sostanziale e processuale.

Ricorre l’Agenzia con unico motivo, cui contro deduce il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

Con l’unico motivo si prospetta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, nonchè in relazione alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, e agli artt. 12 e 14 preleggi.

Nella sostanza si critica l’applicazione analogica (vietata) di norma eccezionale, equiparando il favor per coloro che colpiti dal sisma non hanno potuto pagare le imposte, ad un diritto al rimborso per coloro che, dimostrando di poterle pagare, non hanno beneficiato della sospensione del pagamento.

L’Agenzia ritiene non condivisibile l’orientamento di questa Corte in ordine all’applicabilità dell’agevolazione prevista dalla L. n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, anche ai contribuenti che, all’entrata in vigore di tale disposizione di favore, avevano integralmente versato le imposte relative agli anni 1990, 1991 e 1992.

Osserva che la norma è chiara nel disporre la riduzione del carico fiscale esclusivamente per le imposte non versate; che trattasi di norma agevolativa e, come tale, di stretta interpretazione (art. 14 preleggi); che la norma è coerente con la ratio delle disposizioni di condono (finalizzate a “far cassa” consentendo di definire i rapporti ancora pendenti accordando una riduzione d’imposta); che il rapporto tributario definitivamente estinto è insuscettibile di ripetizione, ex art. 2033 c.c., essendo assistita, al momento del pagamento, da idonea causa debendi; che non è applicabile il principio del favor rei (previsto esclusivamente per le sanzioni tributarie dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3); che ciò è confermato dal sopravvenuto D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, art. 3-quater, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2007, n. 17, che, nel differire i termini per la definizione della posizione di quei contribuenti ai sensi della L. 289 del 2002, art. 9, comma 17, prevede che la definizione si perfeziona con il versamento dell’intero ammontare dovuto per ciascun tributo; che l’esigenza di evitare una disparità di trattamento in danno del contribuente più diligente, ravvisata da questa Corte nella sentenza n. 20641 del 2007, era stata esclusa anche dalla Corte costituzionale che più volte si era pronunciata affermando la compatibilità con il principio di uguaglianza di discipline di sanatoria differenziate in ragione dell’intervenuto pagamento o meno di contributi (ordd. n. 303/1997; n. 143/1999, sent. n. 178/2000) o di imposte (sentt. n. 32/1976; n. 33/1981 e ord. n. 539/1987; sent. n. 416/2000); che nella sentenza n. 416 del 2000 la Corte costituzionale aveva poi affermato la coessenzialità dell’incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati alla tecnica del condono (previdenziale o fiscale).

Il motivo è infondato.

Al riguardo il giudice di secondo grado si è, invero, uniformato a consolidata e condivisa giurisprudenza di legittimità.

Questa Corte ha, infatti, reiteratamente affermato il principio (da cui non vi è motivo di discostarsi), secondo cui – al di là dello specifico tenore del dato letterale (“i soggetti… possono definire in maniera automatica la propria posizione… la definizione si perfeziona versando, entro il…, l’intero ammontare dovuto per ciascun tributo a titolo di capitale, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale ed interessi, diminuito al 10 per cento…”) – la disciplina prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, in relazione alle annualità 1990, 1991 e 1992, a favore dei soggetti colpiti dal sisma 13/16 dicembre 1990 investente le province di Catania, Ragusa e Siracusa, deve intendersi articolata in duplice prospettiva: in favore di chi non ha effettuato pagamenti (e in ottica, per così dire, “condonistica”), mediante il versamento nel termine stabilito, a definizione della relativa posizione fiscale, del solo 10% del dovuto; in favore di chi ha pagato (ed in ottica restitutoria), attraverso il rimborso del 90% per cento di quanto versato; ciò in quanto deve riconoscersi alla disposizione indicata carattere di ius superveniens tale da rendere quanto già versato non dovuto ex post (cfr. Cass. 12/06/2012, n. 9577 e, in riferimento ad analoghi benefici, Cass. 01/10/2007, n. 20641 nonchè, per la materia contributiva, Cass. 09/03/2012, n. 3832; Cass. 10/05/2010, n. 11247; Cass. 07/05/2010, n. 11133).

Il riferimento, da parte dalla difesa erariale, alle pronunce della Corte costituzionale che hanno escluso possa ravvisarsi disparità di trattamento nelle disposizioni condonistiche ivi considerate a svantaggio dei contribuenti che avessero adempiuto alle obbligazioni fiscali o previdenziali a loro carico, avendo ritenuto “coessenziale alla tecnica del condono (previdenziale o fiscale) l’incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati, mediante la concessione di benefici (di solito, la riduzione della misura dovuta)”, non coglie nel segno, trattandosi di fattispecie diverse e non assimilabili a quella in esame.

Per questa, infatti, vale piuttosto quanto precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 416 del 2000 (con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. n. 448 del 1998, art. 7, comma 10, che, in materia di applicazione retroattiva della doppia agevolazione godibile per l’acquisto della prima casa ai sensi della L. 22 aprile 1982, n. 168, e della L. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito con modif. dalla L. 5 aprile 1985, n. 118, escludeva il diritto al rimborso per i soggetti che avevano definito il rapporto tributario alla data di entrata in vigore della predetta legge). In tale pronuncia il Giudice delle leggi ha differenziato la disciplina del condono (che essendo caratterizzata dalla “incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati” e non escludendo la causa debendi dei pagamenti anteriormente effettuati, non interferisce con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.), dalle altre disposizioni di favore – nel cui ambito si ascrivono quelle in esame – che sono estranee alla tecnica ed alle finalità del condono e che non rispondono “ad esigenze della finanza pubblica”, ma piuttosto mirano a “realizzare un’uniformità di regolamentazione” di una disciplina sostanziale oppure a prevedere misure di sostegno in favore di soggetti particolarmente bisognosi, come quelli danneggiati da calamità naturali (in tal senso Cass. n. 11247 del 2010), che è l’ipotesi che viene qui in rilievo. Si è dunque tenuto conto del fatto che la disposizione in esame risponde ad una logica del tutto particolare e diversa rispetto a quella che informa gli altri provvedimenti di sanatoria, in quanto volta ad indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi (Cass. nn. 12083/2012, 10242/2013, 6686/2015), logica rispetto alla quale ammettere che si fruisca del beneficio nel solo caso di omesso adempimento dell’obbligazione tributaria o contributiva comporterebbe una irragionevolezza e la violazione del principio di uguaglianza (Cass. n. 11247/2010).

Varrà anche rammentare che tale interpretazione trova chiara conferma nella previsione di cui alla L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, (cd. legge di stabilità 2015, vigente dal 1 gennaio 2015) a tenore della quale “i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 dicembre 1990, n. 299, che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, e successive modificazioni. Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248…”. In tal modo è stata recepita in sede legislativa la possibilità per i contribuenti di accedere alla sanatoria mediante istanza di rimborso, come elaborata dalla giurisprudenza, con esclusione dei soli soggetti che svolgono attività di impresa: condizione ostativa che non ricorre nel caso in esame, pacifico in atti che il contribuente è un lavoratore dipendente.

Sono anche, infondati i profili del motivo di ricorso nella parte in cui postulano il difetto di legittimazione attiva (recte, titolarità) in capo al contribuente lavoratore dipendente, sostituito d’imposta, del vantato diritto al rimborso del 90% dell’Irpef versata negli anni in questione, assumendo che tale diritto sarebbe piuttosto esclusivamente riconosciuto soltanto al sostituto d’imposta, ossia al datore di lavoro che è tenuto ad effettuare e versare le ritenute d’acconto Irpef, ciò desumendo sia dal riferimento testuale nella norma alle imposte “versate”, sia dalla ratio dell’intervento legislativo diretto primariamente ad assicurare – come evidenziato dall’interpretazione fornita dal governo nell’ordine del giorno n. 9/5310-bis C-R/65 della seduta del 28/12/2004, e poi ancora dalle risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria n. 23/E del 2005 e n. 247/E del 2008 – un sostegno economico alle imprese delle province colpite dagli eventi sismici e comunque riguardante le imposte autoliquidate dagli stessi contribuenti.

Tale interpretazione non trova invero univoco riferimento nel dato positivo, specie alla luce della interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata di cui sopra si è detto.

Il riferimento testuale alle imposte “versate”, in particolare, non può assumere il significato scriminante che intende attribuirgli l’amministrazione, non rinvenendosi in materia ragione alcuna per derogare al principio fissato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, in forza del quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. sostituito) (v. ex aliis Cass. 14/07/2016, n. 14406; Cass. 29/07/2015, n. 16105), rimanendo quest’ultimo, comunque, il contribuente/debitore principale e come tale beneficiario diretto del provvedimento agevolativo di che trattasi.

Il ricorso è quindi infondato e va rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre a Euro duecento/00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020

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