Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7331 del 13/04/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 7331 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: FALABELLA MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso 17880-2011 proposto da:
SAPONARO

FRANCO

SPNFNC62E20L219L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 297, presso
lo studio dell’avvocato NICOLA BOSCO, rappresentato e
difeso dall’avvocato MARCO SABRE;
– ricorrente contro

2016
88

GATTO

PINA

GTTPNI37P63A887R,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LAZIO 9, presso lo studio
dell’avvocato MARCO CIAPPONI, rappresentata e difesa
dall’avvocato ROBERTO NOSCHESE;

Data pubblicazione: 13/04/2016

controricorrente

avverso la sentenza n. 65/2011 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 24/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/01/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

FALABELLA;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 7 luglio
2006 Saponaro Franco evocava in giudizio Gatto Pina,

del matrimonio i coniugi avevano formulato domanda di
ammissione alla Cooperativa Edilizia Orsiera e, entrati
a far parte della medesima, le avevano versato la
complessiva somma di £ 178.602.000 ed era stata loro
assegnata una unità immobiliare, con annesso box, del
complesso residenziale sito in Susa, via Donatori del
Sangue 11. In data 20 novembre 1995 l’attore, per non
perdere i benefici fiscali relativi all’acquisto della
prima casa, essendo lo stesso già proprietario della
quota di altro immobile in Torino, era receduto dalla
Cooperativa in favore della moglie e l’operazione era
stata annotata nel libro soci della Cooperativa 1 1 11
dicembre 1995. Il 14 giugno 1996 Pina Gatto si rendeva
assegnataria dell’alloggio, di cui era divenuta,
quindi, unica proprietaria. In seguito aveva avuto
luogo la separazione consensuale dei coniugi, il cui
verbale era stato omologato il 26 novembre 1997; il
matrimonio era stato poi sciolto con sentenza del 2
marzo 2004. L’attore assumeva di essere creditore, nei
confronti dell’ex-coniuge, per la metà della somma
erogata alla cooperativa, pari ad E 46.120,12 e
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coniuge da cui era divorziato, deducendo che nel corso

rilevava che tale importo gli era dovuto, in via
subordinata, a titolo di indennizzo per
l’ingiustificato arricchimento.

della citazione per indeterminatezza della

causa

petendi dell’azione spiegata in via principale e, con
specifico riguardo alla domanda di ingiustificato
arricchimento, rilevava che il richiesto indennizzo non
spettava, visto che i pagamenti erano stati posti in
essere in favore della cooperativa; rispetto a questa
seconda domanda eccepiva, inoltre, la prescrizione del
diritto.
Il Tribunale di Torino accoglieva la domanda
subordinata e condannava la convenuta al pagamento
della somma di C 46.016,31, oltre rivalutazione
monetaria e interessi legali.
La sentenza era impugnata da Pina Gatto, la quale
riproponeva l’eccezione di nullità dell’atto di
citazione e quella, di merito, afferente l’alterità tra
il soggetto che aveva conseguito l’arricchimento e il
soggetto con il quale l’esecutore della prestazione
aveva avuto un rapporto diretto; asseriva di aver
interamente corrisposto il prezzo per l’acquisto
dell’immobile e assumeva, inoltre, che, ove pure dal
recesso dell’attore dalla cooperativa le fosse derivato
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La convenuta si costituiva ed eccepiva la nullità

un

arricchimento, l’operazione era stata effettuata

spontaneamente e consapevolmente dalla controparte e
doveva presumersi attuata in adempimento dei doveri di

le attribuzioni patrimoniali effettuate nell’ambito del
rapporto di coniugio dovevano presumersi caratterizzate
da spirito di liberalità e in adempimento dei detti
doveri di contribuzione, da valutarsi con riferimento
al momento della dazione, sicché la successiva
separazione non valeva ad escludere che il marito
avesse inteso compiere una liberalità in favore della
moglie. Rilevava, infine, che l’appartamento era stato
rivenduto al prezzo di £ 105.000.000, sicché la domanda
non avrebbe potuto accogliersi che nella misura
corrispondente alle metà di tale importo.
Franco Saponaro si costituiva, replicando ai
motivi di impugnazione proposti e deducendo, in
particolare: che il tribunale aveva correttamente
escluso la propria volontà di arricchire il coniuge con
la cessione della propria quota (operazione, questa,

che

non poteva qualificarsi come contribuzione ai

bisogni della famiglia); che il prezzo della successiva
rivendita dell’immobile non assumeva rilievo, giacché
l’arricchimento si era attuato con l’acquisto della
proprietà di un immobile al prezzo di £ 223.000.000;

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contribuzione tra coniugi; rilevava, in proposito, che

che le deduzioni svolte con riguardo alla provenienza
delle somme versate alla Cooperativa integravano
eccezioni nuove.

pubblicata il 24 gennaio 2011, in riforma della
pronuncia impugnata, respingeva la domanda. Il giudice
del gravame riteneva che l’arricchimento di cui si
doleva l’appellato trovava il proprio fondamento dalla
cessione della quota della cooperativa dal marito alla
moglie: atto, questo, che integrava una donazione
indiretta, non soggetta, come tale, ai rigori di forma
propri della donazione: sicché l’azione di
ingiustificato arricchimento non era proponibile, posto
che all’origine dell’attribuzione patrimoniale si
poneva un atto di disposizione volontaria.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso Franco Saponaro, che ha articolato due motivi.
Resiste, con controricorso, Pina Gatto. Il ricorrente
ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c.,
oltre che dell’art. 769 c.c.. La controparte non aveva
mai sostenuto che fosse stata posta in essere in
proprio favore una liberalità, sicché la corte di
6

La Corte di appello di Torino, con sentenza

merito aveva errato nel qualificare in tal modo la
cessione della propria quota e aveva argomentato extra
petita.

Nel corso del giudizio di merito Pina Gatto

difensore, che il prezzo per l’acquisto della casa
coniugale era stato corrisposto interamente da lei e
aveva inoltre rilevato come l’operazione attuatasi con
la nominata cessione della quota aveva la propria causa
del rapporto di coniugi° e nei conseguenti doveri
previsti dall’art. 143 c.c.. Tali eccezioni di merito
non erano state prese in considerazione dal giudice
d’appello il quale aveva ravvisato nell’atto di
trasferimento la causa tipica del contratto di
donazione. Inoltre la corte distrettuale non aveva
valutato che lo stesso Saponaro aveva provveduto al
pagamento della quota dell’immobile poi assegnato per
andarci a vivere con il proprio nucleo familiare e non,
quindi, per arricchire la moglie. Secondo

il

ricorrente, poi, la corte di merito aveva errato
nell’affermare che l’arricchimento era consistito
nell’atto di cessione della quota, dal momento che esso
si era prodotto per effetto del successivo acquisto
dell’immobile da parte di Pina Gatto nella misura del
100%. La sentenza impugnata, infine, non aveva
provveduto ad accertare la sussistenza dell’elemento
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aveva infatti sostenuto, per il tramite del suo

soggettivo relativo al preteso atto di liberalità e,
segnatamente, aveva mancato di accertare se la
disposizione patrimoniale fosse animata da spirito di

spontanea elargizione, fine a se stessa.
Col

secondo

motivo

è

lamentata

l’omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio. Assume il
ricorrente che la corte torinese aveva mancato di
argomentare circa la sussistenza, nella concreta
fattispecie oggetto di causa, di un atto di liberalità
e, segnatamente circa la configurazione dell’elemento
soggettivo che doveva connotare detto atto. In
particolare,

il

ricorso denuncia l’illogicità e

l’incompletezza del ragionamento che aveva portato la
corte distrettuale a ritenere atto di liberalità
l’arricchimento della moglie in danno del marito,
reputando residuale la sussistenza della liberalità
stessa in assenza di altre cause. Inoltre il giudice
d’appello era incorso in un ulteriore vizio di
motivazione nell’affermare che l’atto di disposizione
fosse stato effettuato con una finalità di elusione
rispetto al trattamento fiscale che sarebbe conseguito
in caso di acquisto effettuato in comunione – come
l’originaria partecipazione di entrambi i coniugi alla
8

liberalità, e quindi effettuata a titolo di mera e

cooperativa prefigurava -, e nel sostenere, altresì,
L’influenza del dato per cui l’operazione era stata
posta in essere nella previsione di godere comunque

rapporto di coniugio: infatti, dette circostanze
escludevano di per sé proprio la finalità propria
dell’atto di liberalità. In realtà, il ricorrente aveva
dimostrato proprio la mancanza di causa tipica di un
contratto o di un rapporto giuridico negoziale
sottostante la locupletazione della controparte, sicché
la domanda ex art. 2041 c.c. doveva essere accolta.
due

motivi

congiuntamente,

essere

possono

prospettando

questioni

esaminati
che

sono

strettamente connesse.
Essi

censurano,

in

buona

sintesi,

la

qualificazione dell’atto di cessione della quota come
donazione indiretta: operazione, questa, da cui è
derivata la decisione circa l’insussistenza
dell’ingiustificato arricchimento.
Ora,

fatti

costitutivi

della

domanda

di

arricchimento senza causa sono il pregiudizio e la
dipendenza di questo da una non giustificata
locupletazione del convenuto (principio pacifico che si
trova espresso in giurisprudenza fin da Cass. 23 aprile
1963, n. 1061). Correlativamente, il giudice ha il
9

della disponibilità di fatto dell’immobile in virtù del

,AVO
l”11
,4.1192/191
‘t2″321,r2-0

potere-dovere di esaminare se l’arricchimento trovi
ragione in un determinato atto, dedotto in giudizio,
dal momento che tale verifica attiene al fatto

senso negativo, dall’inesistenza di una giusta causa di
locupletazione.
La corte di merito ha affermato che il risultato
dell’arricchimento di cui si duole il ricorrente è
derivato dall’atto di cessione di quota operato dallo
stesso in favore della ex moglie.
Che detta cessione sia avvenuta è circostanza
oggetto di un accertamento non sindacabile in questa
sede. Del resto, lo stesso ricorrente riconosce, in
ricorso, di aver formulato

– domanda

di recesso della

propria quota sociale a favore della moglie” e
specificato che nel libro soci della cooperativa figura
annotazione in cui si legge che “l’intera quota
capitale versata dall’attore veniva intestata alla
sig.ra Gatto”. Non è quindi nemmeno contestato che un
atto dispositivo negoziale avente ad oggetto la
cessione della quota abbia avuto luogo.
Il ricorrente assume che l’arricchimento si
sarebbe attuato, più che con la cessione della quota,
col successivo acquisto della proprietà dell’intero
immobile oggetto dell’assegnazione da parte di Pina

lo

costitutivo della pretesa azionata, che è definito, in

Gatto (posto che in tal modo la stessa controricorrente
avrebbe beneficiato dei pagamenti operati dallo stesso
Saponaro alla cooperativa: pagamenti il cui ammontare

versato). Tale ricostruzione è però da disattendere, in
quanto l’assegnazione dell’immobile da parte della
cooperativa alla controricorrente costituisce un
effetto indiretto della cessione della quota: è infatti
attraverso la partecipazione incorporata nella quota
ricevuta dall’ex marito che Fina Gatto consegui il
diritto all’assegnazione del bene.
E’ pacifico, poi, che la cessione della quota
abbia avuto luogo senza corrispettivo e che, quindi, si
sia in presenza di un atto a titolo gratuito. Dalla
gratuità dell’atto la corte di merito ha fatto
discendere la natura liberale dell’attribuzione
patrimoniale regolata dall’atto di cessione della quota
e da ciò è dipeso, per quanto qui interessa, la
qualificazione del negozio come donazione indiretta.
Una volta operata detta qualificazione, il giudice del
gravame ha concluso

nel

senso che l’azione di

ingiustificato arricchimento non era proponibile: ciò
in quanto, in primo luogo, esisteva un’azione tipica
che poteva essere promossa dalla parte che aveva posto
in essere l’atto di disposizione patrimoniale (azione
11

sarebbe pari alla metà di quanto complessivamente

consistente

nell’impugnativa

negoziale

dell’atto

stesso) e, in secondo luogo, poiché ractio de in rem
verso non può essere esperita allorché l’arricchimento

altra natura.
La

qualificazione

è

stata

contestata

dal

ricorrente sotto diversi profili.
Deve però rilevarsi che tale qualificazione non è
decisiva al fine di escludere la proponibilità
dell’azione di ingiustificato arricchimento, e ciò
proprio avendo riguardo a quanto osservato nella
sentenza impugnata quanto alle condizioni che
consentono, in concreto, la proposizione dell’azione di
ingiustificato arricchimento.
Infatti,

come ricordato dalla stessa corte

distrettuale, l’azione generale di arricchimento ha
come presupposto che la locupletazione di un soggetto a
danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa,
sicché, qualora essa sia invece conseguenza di un
contratto o di altro rapporto, non è legittimo invocare
la mancanza o l’ingiustizia della causa, almeno fino a
quando il contratto o il rapporto conservino la propria
efficacia obbligatoria (Cass. S.U. 3 ottobre 2002, n.
14215; cfr. pure Cass. 16 marzo 2005, n. 5689; Cass. 31
gennaio 2008, n. 2312; analogamente, nel senso che
12

trovi fondamento in un rapporto, contrattuale o di

l’arricchimento senza causa non sussiste quando lo
squilibrio economico a favore di una parte e in
pregiudizio dell’altra sia giustificato dal consenso

quanto la prestazione volontaria esclude
l’arricchimento, quali che siano le conseguenze,
vantaggiose o svantaggiose, della libera e concorde
determinazione della volontà negoziale, cfr. Cass. 21
novembre 1996, n. 10251; Cass. 23 gennaio 2002, n.
735).
L’attribuzione patrimoniale di cui si duole il
ricorrente trae origine dall’atto di cessione di quote,
per cui, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo
possa o meno qualificarsi come donazione indiretta, il
denunciato arricchimento trova il proprio fondamento in
un atto di disposizione volontaria.
Né è corretto sostenere che la cessione della
quota sia “avvenuta senza titolo alcuno” (ricorso, pag.
12): in tal modo si confonde l’effetto traslativo con
il negozio che lo programma. Il trasferimento della
quota è stato operato, come ricordato, in forza
dell’atto di cessione formalizzato 1’11 dicembre 1995 e
tale atto costituisce, quindi, il titolo del nominato
effetto traslativo, che si è tradotto
nell’arricchimento di Pina Gatto.
13

della parte che assume di essere stata danneggiata, in

D’altra parte, la deduzione dell’invalidità o
dell’inefficacia dell’atto dispositivo avrebbe dovuto
essere fatta valere dall’odierno ricorrente con una

correttamente la corte di appello ha evidenziato, al
riguardo, che era onere dell’odierno ricorrente
chiarire, nel giudizio di merito, il fondamento della
pretesa azionata in via principale: fondamento che, in
termini ipotetici e astratti, avrebbe potuto essere
anche quello della richiamata invalidità o inefficacia
dell’atto dispositivo della quota.
In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese processuali, liquidate in E
3.200,00, di cui C 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio
della 2^ Sezione Civile, in data 19.1.2016.

domanda diversa da quella di cui all’art. 2041 c.c.. E

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