Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7329 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 14/06/2019, dep. 17/03/2020), n.7329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26907/2012 R.G. proposto da:

Costruzioni Santa Chiara s.r.l. rappresentata e difesa dall’Avv.

Gerlando Alongi, elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Claudio Berliri, in Roma, via Alessandro Farnese n. 7,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 59/42/2012, depositata il 12 aprile 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 giugno

2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- la s.r.l. Costruzioni Santa Chiara con sede in (OMISSIS) ricorreva avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate di (OMISSIS), per il recupero a tassazione delle imposte sui ricavi non dichiarati e per i costi non deducibili per l’anno di imposta 2006.

1.1- i ricavi non dichiarati riguardavano tre diverse ipotesi: a) scostamento fra i prezzi di cessione dichiarati ed i mutui bancari contratti dagli acquirenti; b) scostamento fra prezzi di cessione dichiarati e valore normale degli immobili venduti; c) omesso riaddebito agli acquirenti dei costi sostenuti dalla società per l’allacciamento delle utenze agli immobili venduti. I costi non riconosciuti riguardavano il pagamento di provvigioni, ritenute non certe, ad una società immobiliare di intermediazione.

2- La Commissione tributaria provinciale di Como con sentenza n. 285 depositata l’11 novembre 2010, in parziale accoglimento del ricorso, annullava la ripresa a tassazione dei ricavi e confermava, rigettando il ricorso, la indeducibilità dei costi argomentando essenzialmente dall’identità soggettiva ed oggettiva fra il mandante ed il mandatario.

3.- Appellavano entrambe le parti. L’Agenzia delle entrate non impugnava solo la decisione sul disconoscimento dei maggiori ricavi per l’ipotesi di cui sopra sub b), per cui il relativo capo della sentenza è passato in giudicato. La commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 59/42/2012 depositata il 21 settembre 2011 rigettava l’appello della contribuente ed accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio relativamente ai maggiori ricavi di cui sopra alla lett. a), lo rigettava invece relativamente ai maggiori ricavi di cui sopra alla lett. c). Argomentava, quanto ai primi, dal raffronto fra il prezzo di vendita dichiarato e l’entità dei mutui contratti per l’acquisto, superiore al prezzo dichiarato, e quanto al disconoscimento dei costi, dalle dichiarazioni degli acquirenti, dalla assenza di contratti preliminari, dalla partecipazione della stessa persona in posizione di vertice sia nella società mandante che nella mandataria.

4.- La società contribuente ricorre per cassazione con 3 motivi e chiede annullarsi la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

5.- l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso con cui sostiene l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto, vinte le spese. Non ricorre avverso la decisione relativa ai maggiori ricavi di cui sopra alla lett. c) che pertanto è passata in giudicato.

6.- In prossimità dell’adunanza della Corte la società ricorrente deposita tempestiva memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con cui sviluppa ulteriormente i motivi di ricorso, contrasta le argomentazioni contenute nel controricorso e conferma le richieste già formulate in precedenza.

7.- A seguito delle vicende processuali riassunte, l’oggetto del contendere residuo del presente giudizio è costituito solo da una parte dell’avviso di accertamento originariamente impugnato, e cioè dalla decisione di merito sull’accertamento dei maggiori ricavi di cui sopra sub a) e sul disconoscimento dei costi per le provvigioni.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

8.- Con il primo motivo del ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23 bis, conv. in L. n. 248 del 2006, in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 3, ultimo periodo, ed in relazione al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), ultimo periodo, (vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè la sentenza impugnata avrebbe erroneamente fatto uso della presunzione legale per cui il valore normale dei trasferimenti immobiliari non può essere inferiore all’ammontare del mutuo erogato, mentre invece tale presunzione non era più operante a seguito dell’abrogazione delle norme che si assumono violate ad opera della L. 7 luglio 2009, n. 88.

8.1- Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omesso esame dell’eccezione di “bis in idem” formulata in appello in relazione ad altra precedente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Como che aveva deciso la detraibilità dell’Iva sulle fatture per le provvigioni.

8.2- Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta omessa o insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), perchè la sentenza impugnata avrebbe trascurato elementi di valutazione documentati in corso di causa con riferimento sia ai maggiori ricavi che ai costi non riconosciuti.

9.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza, che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha applicato le presunzioni legali, ma ha espressamente motivato con riferimento a “molteplici presunzioni semplici”, valutate ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d). Nella memoria depositata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 378 c.p.c., questo motivo di ricorso è stato arricchito da altre argomentazioni, che valorizzano però un preteso vizio di motivazione della sentenza, diverso quindi da quello originariamente formulato, il cui tardivo ampliamento pertanto è inammissibile.

9.1- Il secondo motivo di ricorso è infondato, dato che per affermazione della stessa ricorrente la sentenza indicata come preclusiva di un nuovo giudizio riguarda anni di imposta (O 2005) diversi da quello oggetto del presente giudizio (2006) ed pertanto priva di rilievo ai fini della presente decisione.

9.2- Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La doglianza infatti investe la valutazione delle questioni di fatto effettuata dal giudice a quo, auspicandone la rivalutazione in sede di legittimità. Ma la norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo applicabile ratione temporis) non consente a questa Corte di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo il potere di controllare, sotto il profilo logico formale la valutazione fatta dal giudice del merito; spetta solo a quest’ultimo, invece, il compito di valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere fra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a giustificare la decisione conclusiva. In particolare è rimessa solo al giudice di merito la valutazione delle presunzioni, con riferimento ai requisiti della gravità, precisione e concordanza, sempre che, come nel caso in esame, la motivazione sia conforme alla logica e rispettosa dei principi di diritto che regolano la materia. Nè può essere ricompresa nel vizio denunziato l’omessa specifica valutazione di tutti i documenti prodotti in giudizio, allorquando la sentenza contenga, come nel caso di specie, una decisione di merito che ne escluda, anche solo implicitamente, la rilevanza.

6.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della soccombente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e terzo motivo del ricorso, rigetta il secondo e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600 (cinquemilaseicento) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020

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