Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7326 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/03/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliata in Roma via Caio Mario 7

presso lo studio dell’avv. Giuseppe M. Cesario e rappresentato e

difeso giusta procura speciale a margine del ricorso dall’avv. Amati

Angelo e dall’avv. Maria Punzi;

– ricorrente –

contro

Comune di Martina Franca, in persona del Sindaco pro tempore, con

sede in Martina Franca presso la Casa comunale;

– intimato –

avverso la sentenza 173/28/04, depositata in data 18.11.04,

notificata il 17.12.04, della Commissione tributaria regionale della

Puglia;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

3.2.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udito il P.G. in persona del Dr. Pasquale Paolo Maria Ciccolo che ha

concluso per il rigetto del ricorso con le pronunce consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento notificato il 20.12.1996 il Comune di Martina Franca richiedeva a C.G., titolare della ditta Creazioni Justin di C.G., per l’anno 1995, la somma di L. 6.071.000 a titolo di tassa per la raccolta di rifiuti solidi urbani, soprattasse ed interessi moratori.

Il contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Taranto, la quale accoglieva il ricorso. Proponeva appello il Comune ribadendo le tesi esposte in primo grado. La Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva il gravame.

Avverso la detta sentenza il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima doglianza, svolta dal ricorrente, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, nonchè della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, si fonda sulla considerazione che la C.T.R. avrebbe errato quando ha dichiarato nulla per difetto di motivazione la sentenza di primo grado per avere la CTP ritenuto l’illegittimità dell’accertamento. Ed invero, poichè il contribuente aveva in primo grado contestato il fatto che le rilevazioni delle superfici da tassare fossero state effettuate da soggetti non iscritti in albi professionali, la CTR avrebbe trascurato che competeva al Comune provare la professionalità del personale. In difetto di tale prova, la CTP aveva correttamente annullato l’accertamento.

La censura è infondata. Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 4, dispone che, ai fini dell’individuazione delle superfici in tutto o in parte sottratte a tassazione, il Comune, ove non sia in grado di provvedere autonomamente, può stipulare apposite convenzioni con soggetti privato o pubblici e che il relativo capitolo deve contenere l’indicazione dei criteri e delle modalità di rilevazione della materia imponibile nonchè dei requisiti di capacità ed affidabilità del personale impiegato dal contraente.

La disposizione, come risulta con tutta evidenza dalla lettura del dato normativo, non richiede affatto che il personale in parola debba essere munito di alcun titolo scolastico o accademico nè tanto meno postula l’iscrizione in alcun albo professionale. Inoltre – ed è ciò che più conta – l’art. 71, comma 4 citato non contempla assolutamente alcuna sanzione di invalidità dell’accertamento ove le rilevazioni siano effettuate da persone non iscritte in albi professionali: Ne deriva che la relativa deduzione avanzata dal ricorrente circa “la mancanza di un presupposto indefettibile al legittimo svolgimento dell’attività di rilevazione” si rivela disancorata da ogni espressa previsione normativa atta a supportarla.

Deve pertanto escludersi che la mancata iscrizione in albi professionali, da parte del personale addetto all’individuazione delle superfici sottratte alla tassazione, possa riflettersi sulla validità dell’avviso di accertamento, onde l’infondatezza della censura in esame.

Passando alla seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, di richiamo del D.P.R. n. 915 del 1982, art. 8, nonchè dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, va premesso che, ad avviso del ricorrente, la CTR avrebbe errato quando ha respinto le eccezioni di illegittimità degli atti presupposti costituiti dai regolamenti comunali approvati con delibere del Consiglio deducendo che gli atti andavano impugnati davanti al giudice amministrativo ed inoltre erano conformi ai criteri di legge.

Ed invero, la CTR avrebbe dovuto considerare – questa, in sintesi la tesi del ricorrente – che la Commissione tributaria D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, può non applicare gli atti amministrativi, ritenuti illegittimi, posti a base del tributo limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio. Inoltre, avrebbe dovuto considerare – ed in tali rilievi si sostanzia il secondo profilo della censura – che l’art. 3 del regolamento per l’applicazione della Tarsu, adottato con Delib. 4 aprile 1995, n. 46, richiama espressamente il D.P.R. n. 915 del 1982, art. 8, per tutti gli aspetti rilevanti ai fini dell’applicazione della tassa (zona servita, distanza o capacità dei contenitori, frequenza della raccolta) mentre nessuna delle prescrizioni ivi contenute è richiamata nel regolamento 267 del 30-7.1983; che la Delib. tariffaria 31 marzo 1989, n. 128, non enuncia i criteri adottati per la determinazione delle diverse tariffe unitarie, che non risultano agganciate alla quantità media presunta dei rifiuti prodotti nei vari tipi di immobili o attività ma sono commisurate alla redditività economica dei locali tassati; che nella predetta delibera non è neppure indicato – in contrasto con l’art. 14 del regolamento approvato con altra Delib. 17 marzo 1988, n. 108 – l’ammontare dei costi presunti per i servizi di smaltimento. La CTR quindi – questa in sostanza la conclusione del ricorrente – aveva omesso di motivare adeguatamente sul punto.

La censura merita di essere accolta, con riguardo ad entrambi i profili. Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare il principio che “il potere di disapplicazione, riconosciuto alle commissioni tributarie dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, degli atti amministrativi illegittimi, e segnatamente di delibere comunali di approvazione di tariffe della TARSU, “presupposte” agli atti impositivi, non è inibito dal fatto che spetta al giudice amministrativo la cognizione, in sede di legittimità, delle delibere tariffarie” (Sez. Un. 6265/06). Infatti, “rientra nella competenza del giudice tributario (così come delineata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7) valutare la illegittimità degli atti amministrativi generali al limitato fine di decidere la controversia relativa ad uno specifico rapporto tributario, e senza poter procedere all’annullamento dell’atto generale. Dunque contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito compete alle Commissioni Tributarie valutare (sia pur solo al limitato fine di decidere in ordine alla legittimità dell’atto impositivo) i “vizi contenuti negli atti amministrativi concernenti la determinazione in via generale dei criteri applicativi della TARSU, nonchè quelli attinenti alla formazione del ruolo”. (Sez. Un. 16293/07).

Giova aggiungere che sussiste inoltre il dedotto vizio motivazionale sul punto ove si consideri che la CTR si è limitata ad affermare l’infondatezza nel merito delle censure esposte “essendo stati i regolamenti impugnati ampiamente motivati con argomentazioni conformi ai criteri di legge circa i criteri di determinazione delle tariffe”.

Come risulta di ovvia evidenza, i giudici di secondo grado si sono limitati ad una proposizione tanto stringata quanto generica evitando del tutto di spiegare le ragioni per cui, a loro avviso, si tratterebbe di regolamenti “ampiamente motivati con argomentazioni conformi a legge”. Ed invero, omettendo di descrivere il contenuto dell’atto e di evidenziare i profili giustificativi della loro valutazione, i giudici di merito non solo hanno reso una motivazione del tutto inidonea ad esplicitare le ragioni del proprio convincimento su un aspetto decisivo della controversia ma hanno altresì impedito il controllo della correttezza del percorso logico- argomentativo che li ha portati alla decisione impugnata.

Ciò premesso, appare opportuno sottolineare che questa Corte con orientamento ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di commi 1 e 3 motivazione apparente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (Cass. n. 1756/06, n. 890/06).

Ne consegue che il secondo motivo del ricorso deve essere condiviso, assorbito l’ultimo, fondato sulla nullità della sentenza per omessa pronuncia su un’eccezione di illegittimità dell’atto contestato in relazione alle modalità di irrogazione delle pene pecuniarie ed alla loro determinazione. Il ricorso per Cassazione deve essere quindi accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti del motivo accolto. Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame da condursi nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata ad altra Sezione della CTR della Puglia, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito l’ultimo, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto, con rinvio della causa ad altra Sezione della CTR della Puglia, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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