Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7324 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 02/02/2017, dep.22/03/2017),  n. 7324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1334/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato

GIANPAOLO BUONO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5610/28/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 02/02/2017 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO

MANZON;

disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 18 maggio 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto da M.G. avverso la sentenza n. 10681/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IVA, IRPEF ed altro 2009. La CTR osservava in particolare che l’Ente impositore non aveva adeguatamente suffragato l’accertamento analitico-induttivo de qua con presunzioni dotate dei requisiti legalmente previsti.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo un motivo unico.

Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con l’unico motivo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), poichè la CTR non ha correttamente valutato l'”antieconomicità” del comportamento imprenditoriale del contribuente nell’annualità fiscale de qua.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis, da ultimo v. Sez. 5, n. 26110 del 2015) ed ancora che “con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

Orbene, il giudice di appello ha correttamente impostato il proprio giudizio di merito sulla base dei principi di diritto evocati dalla ricorrente, con specifico riguardo agli oneri probatori rispettivamente gravanti sulle parti litiganti, ma è giunto a conclusioni ad essa sfavorevoli sulla base di analitiche considerazioni di merito che certamente non possono essere sindacate in questa sede.

La CTR infatti ha – con puntualità e congrua considerazione- analizzato gli argomenti in fatto basanti l’atto impositivo, con particolare riguardo alla “antieconomicità” della gestione nell’annualità fiscale in oggetto, alle percentuali di ricarico ed alle rimanenze, rimarcando la fondatezza delle giustificazioni del contribuente e le incongruenze del ragionamento inferenziale/induttivo dell’Agenzia delle entrate, ufficio locale.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater (Sez. 6-L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714-01).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600 oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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