Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7322 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 17/03/2020), n.7322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8883/2015 R.G. proposto da

Confraternita San Carlo, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Paolo e Massimo Merlini,

con domicilio eletto presso il loro studio, sito in Roma, piazza

delle Cinque Giornate, 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 2/10/2012, depositata il 14 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2019

dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito gli avv. Massimo Merlin, per la ricorrente, e Giammario

Rocchitta, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Confraternita San Carlo propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 14 febbraio 2012, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto e di accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2002.

2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale atto impositivo l’Ufficio aveva contestato alla contribuente l’omesso assoggettamento a tassazione di redditi di impresa e del maggior valore della produzione, nonchè l’indebita detrazione di i.v.a.

2.1. Il giudice di appello ha dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso limitatamente al rilievo concernente la deduzione per interessi passivi, respingendo, per il resto, l’impugnazione, ritenendo, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente, che l’attività svolta presentasse carattere commerciale e, in quanto tale, andasse assoggettata a imposizione.

2.2. Ha, tuttavia, accolto l’appello incidentale sul punto proposto dall’Amministrazione finanziaria riconoscendo la deduzione solo per il minor importo di Euro 47.812,81, rispetto a quello di Euro 127.543,14, dichiarata dalla contribuente e riconosciuta in primo grado.

Ha, poi, respinto l’appello principale evidenziando, da un lato, che la rettifica operata dall’Ufficio aveva riguardato le sole operazioni riconducibili ad attività commerciali (attività alberghiera con somministrazione di alimenti e bevande) e non anche ad attività di religione e di culto, e, dall’altro, che iil rilievo concernente l’indebita detrazione dell’1.v.a. era legittimo in quanto relativo a costi non inerenti.

3. Il ricorso è affidato a cinque motivi.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per aver omesso di pronunciarsi sul motivo di appello vertente sul mancato riconoscimento delle quote di ammortamento sui contributi ricevuti per la ristrutturazione di immobili detenuti in comodato, qualificati dall’Ufficio quali contributi in conto impianti, anzichè in conto capitale.

2. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver omessa motivazione in ordine a tale motivo di gravame.

2.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.

Parte ricorrente allega di aver posto a fondamento del ricorso introduttivo (anche) il motivo concernente l’illegittimo recupero relativo alle quote di ammortamento dedotte, relative ad un contributo ricevuto, e di aver riproposto la questione, non accolta in primo grado, in sede di appello.

Ha, tuttavia, omesso di riprodurre, quanto meno per le parti salienti, il contenuto dell’atto di appello, necessario al fine di verificare che la questione sottoposta non sia “nuova” e di valutare la rilevanza e la fondatezza del motivo stesso senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte, contravvenendo, in tal modo, all’onere di specificità previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, (cfr. Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781; in tal senso, successivamente, Cass. 20 agosto 2015, n. 17049).

Come noto, la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, ma, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale, non essendo la Corte legittimata a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (cfr., ex multis, Cass. 5 agosto 2019, n. 20924; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771).

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto fondamentale della controversia, in relazione al mancato esame della questione relativa alla natura dei contributi in oggetto.

4. Con il quarto motivo lamenta la violazione o falsa applicazione del Testo Unico 22 dicembre 1986, n. 917, art. 88, comma 3, e L.R. Lazio 3 giugno 1997, n. 20, art. 4, per aver la sentenza impugnata escluso la natura di contributi in conto capitale delle somme ricevute, discostandosi da quanto ritenuto con riferimento ad annualità precedenti, oggetto di contestazione e definite con accertamento con adesione.

5. Con l’ultimo motivo di ricorso la contribuente censura la sentenza di appello per violazione o falsa applicazione del T.U. n. 917 del 1986, art. 108, in relazione al mancato riconoscimento della deduzione prevista per le spese pluriennali.

5.1. I motivi sono tutti inammissibili per mancanza di rilevanza, in quanto non sono indirizzati ad una statuizione sfavorevole della sentenza impugnata, non essendovi elementi idonei ad evidenziare l’esistenza di una pronuncia implicita e difettando la dimostrazione della proposizione di un motivo di appello sulle questioni in oggetto.

6. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.

7. Le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.000,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 17 marzo 2020

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