Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7322 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4096/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

Contro

S.T.L. Investimenti s.r.l. rappresentata e difesa dall’avv. Francesco

Noschese, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Paolo

Rolfo, in Roma, via Appia Nuova n. 96, per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 30/15/12, depositata il 15.3.2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24.11.2020

dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate notificava alla S.T.L. Investimenti s.r.l. un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2004, con il quale rettificava, all’esito di accertamento analitico-induttivo, i redditi di impresa dichiarati dalla società derivanti dalla vendita di alcune unità immobiliari.

La società proponeva ricorso avverso l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brescia, che lo rigettava.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la contribuente.

La Commissione regionale della Lombardia, con sentenza n. 30/15/12, depositata il 15.3.2012, accoglieva l’appello sul presupposto che con l’approvazione della legge comunitaria 2008 il riferimento al “valore normale” quale strumento di accertamento automatico del corrispettivo di cessione degli immobili era stato eliminato sia dal D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, comma 3, ai fini I.V.A., sia dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ai fini delle imposte dirette, con la conseguenza che la difformità fra il corrispettivo di cessione ed il valore normale rappresentava solo una mera presunzione semplice, con la conseguenza che l’accertamento doveva essere sorretto da un sistema articolato di presunzioni, gravi precisi e concordanti, cosa non avvenuta nella specie.

I giudici regionali ritenevano, pertanto, che l’utilizzo dei listini O.M.I. alla base dell’accertamento analitico presuntivo non poteva legittimare l’accertamento impugnato.

Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidandosi a due motivi.

La società contribuente resiste mediante controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa erariale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Lamenta che la CTR aveva omesso di giudicare sulla res controversa ritenendo che il ricorso del contribuente fosse basato sul rilievo che l’ufficio aveva determinato il valore degli immobili esclusivamente sui dati OMI, laddove la questione era se l’ufficio avesse preso in considerazione altri elementi di fatto, oltre al valore del mutuo.

La censura non è fondata.

La violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (Cass. 17 gennaio 2018, n. 906; Cass. 22 marzo 2007, n. 6945; Cass. 22753/2019).

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non osta, dunque, a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purchè restino immutati il “petitum” e la “causa petendi” e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (vedi ex multis, Cass. 4.2.16, n. 2009, Cass. 20.6.2008, n. 16809Cass. 17576/2019).

2. Con il secondo motivo deduce omesso esame su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Deduce che la CTR aveva giudicato illegittimo il provvedimento impositivo basando il proprio giudizio sul riferimento ai valori OMI, senza considerare che la contribuente aveva lamentato che la stima era stata effettuata esclusivamente sul valore del mutuo e che l’ufficio aveva fornito degli elementi di fatto documentalmente provati nemmeno esaminati.

La censura è fondata per quanto di ragione.

La C.T.R. ha giustamente posto in evidenza che la difformità fra il corrispettivo di cessione ed il valore normale desunto dalle quotazioni O.M.I. rappresenta solo una mera presunzione semplice, uniformandosi all’orientamento di questa Corte la quale è ferma nel ritenere che “in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi, in tal modo ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”, l’accertamento di un maggiore reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni 0.M.I., ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. n. 23379 del 2019; n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; n. 24054 del 2014; Cass. n. 11439 del 2018; n. 2155 del 2019; Cass. n. 10731 del 2020).

L’accertamento svolto dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), tuttavia, come puntualmente riportato dalla ricorrente, anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso, non era fondato sui soli valori 0.M.I., ma poggia su una serie di elementi di riscontro probatorio, tutti volti ad evidenziare una “disomogeneità” tra i prezzi dichiarati negli atti di cessione ed il valore effettivo dei beni.

I giudici di appello non hanno adeguatamente preso in esame tutti gli elementi offerti dall’Ufficio che, costituendo un quadro di circostanze astrattamente suscettibile, per gravità, precisione e concordanza, di legittimare la determinazione induttiva del reddito e, quindi, di orientare diversamente il giudizio, imponeva di esplicitare in modo più esaustivo e puntuale il percorso logico-giuridico seguito per addivenire alla decisione.

Infatti, anche a voler escludere ogni rilevanza ai valori O.M.I., a fondare l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili è sufficiente, come ribadito costantemente da questa Corte, anche solo un fatto (quale soltanto lo scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente) ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova (Cass. n. 14388 del 9/6/2017).

E’, infatti, orientamento di questa Corte che la presunzione semplice è un procedimento logico da cui il giudice desume l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto sul presupposto di una loro successione nella normalità dei casi. E’, pertanto, evidente che anche un solo fatto – qualora presenti i requisiti della gravità e precisione – può essere idoneo per una tale deduzione e costituire, quindi, la fonte della presunzione (Cass. n. 2082 del 30/1/2014; Cass. n. 4472 del 26/3/2003, in motivazione).

Nella specie, la C.T.R. ha omesso qualsiasi riferimento alla incongruenza rilevata, con riguardo ad uno degli immobili compravenduti, tra il prezzo dichiarato nell’atto di cessione e l’ammontare del mutuo erogato all’acquirente, pur trattandosi di fatto che è, invece, astrattamente idoneo a fondare una presunzione, salvo naturalmente l’esame del merito della questione, non consentito in questa sede. Ha, parimenti, omesso di considerare, come evidenziato dall’Ufficio, gli altri atti di vendita e la documentazione contabile, documenti dai quali si evidenziava che a fronte di costi per Euro 275.507,87 risultavano ricavi dichiarati per Euro 286.00,00 a riprova della antieconomicità dell’operazione di vendita di una società il cui oggetto sociale era la compravendita di beni immobili effettuati su beni propri.

La Commissione regionale è, quindi, incorsa nel vizio di insufficiente motivazione, perchè dalle argomentazioni giustificative della decisione è evincibile una obiettiva carenza nell’iter logico che l’ha condotta a regolare la vicenda al suo esame e ad accogliere il gravame della contribuente riguardo ai ricavi non contabilizzati, considerato che non ha rispettando i principi che regolano l’accertamento presuntivo. La decisione deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che dovrà provvedere al riesame della vicenda, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

 

 

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