Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7318 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 07/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 07/03/2022), n.7318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.T.I. Solfotecnica Italiana Spa, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv. Mario Martelli del

Foro di Bologna, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv.to Giorgia Passacantilli, alla

via Francesco Siacci, n. 38, in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi, n. 12, in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 616, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna il 27.2.2014, e pubblicata il

31.3.2014;

ascoltata, in Camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La S.T.I. Solfotecnica Italiana Spa impugnava il provvedimento di diniego di annullamento in autotutela n. 60542/2007, emesso in relazione all’avviso di accertamento n. (OMISSIS), avente ad oggetto Irpeg ed Iva in riferimento all’anno 2002, mediante il quale veniva contestata la mancata annotazione separata dei costi dichiarati con riferimento a transazioni commerciali stipulate con operatori appartenenti a Paesi inclusi nella c.d. black-list.

2. La contribuente impugnava il diniego innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna invocando l’intervenuta adozione di modifiche legislative, aventi effetti retroattivi, che importano la riduzione della sanzione alla misura del 10%, con un massimo di Euro 50.000,00 (sent. CTR, p. 1). L’Agenzia delle entrate replicava che l’atto impositivo era divenuto definitivo per effetto della sua mancata impugnazione, e la contribuente aveva già proposto ricorso avverso la conseguenziale cartella esattoriale. La CTP dichiarava inammissibile il ricorso, perché proposto avverso un atto impositivo ormai divenuto definitivo.

3. La S.T.I. Spa spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, innanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, rinnovando le proprie contestazioni. La Ctr rigettava il ricorso proposto dalla società.

4. Avverso la decisione assunta dalla Commissione tributaria regionale di Bologna ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la S.T.I. Spa contesta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, del D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, e del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, nonché dell’art. 2909 c.c., dell’aret. 324 c.p.c., e dell’art. 97 Cost., per avere il giudice dell’appello ritenuto legittimo il diniego di annullamento in autotutela opposto dall’Amministrazione finanziaria, sul solo fondamento della pretesa definitività dell’atto impositivo contestato. Nell’illustrare il motivo, la società afferma anche la (nullità della sentenza impugnata, in conseguenza della) omessa pronuncia per non avere la Ctr rilevato l’illegittimità del diniego impugnato, perché non motivato (ric., p. 17 ss.).

2. La contribuente censura, mediante il suo strumento di ricorso, la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la Ctr dell’Emilia-Romagna per aver ammesso l’impugnabilità del provvedimento di diniego dell’autotutela, ma avere poi ritenuto che nel caso di specie l’opposizione non potesse essere accolta perché rivolta avverso un provvedimento impositivo definitivo.

Diversamente, secondo il disposto di cui al D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, come conv., e del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, sono insuscettibili di annullamento in autotutela “unicamente gli atti nei cui confronti si sia formato il giudicato” (ric., p. 13 s.), pertanto all’esito di un procedimento giurisdizionale. La ricorrente non contesta che l’Amministrazione finanziaria goda di discrezionalità nel valutare l’accoglimento dell’istanza di annullamento in autotutela, ma grava comunque su di essa, nella prospettazione della ricorrente, l’obbligo di riesaminare il proprio provvedimento. Diversamente, l’Agenzia delle Entrate ha scritto nel suo provvedimento di diniego che “contro l’atto non è stato presentato alcun ricorso nei termini prescritti, tenuto conto anche del periodo di sospensione feriale, l’importo accertato è stato iscritto a ruolo… a parere dello scrivente Ufficio, l’atto è divenuto definitivo” (ric., p. 21).

La controricorrente Agenzia delle entrate ha osservato, innanzitutto, che la modifica legislativa invocata dalla ricorrente è sopraggiunta successivamente all’intervenuta definitività dell’avviso di accertamento contestato dalla ricorrente, che avrebbe potuto muovere le proprie contestazioni in sede di impugnazione dell’atto impositivo, ma non lo aveva fatto. La ricorrente, inoltre, ha pure impugnato la cartella di pagamento conseguente all’avviso di accertamento in relazione al quale si controverte in questo giudizio, proprio contestando il difetto di notifica dell’atto presupposto, “pertanto le contestazioni ad esso riferite avrebbero potuto essere sollevate solo in quel giudizio” (controric., p. 4).

2.1. Invero, come del resto affermato anche dalla Ctr nella decisione impugnata, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. 431 n. 546 del 1992, art. 19, è suscettibile di una interpretazione estensiva, e deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità di ricorrere, nei termini di legge, alla tutela assicurata dal giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’Ente impositore, e dunque anche in caso di provvedimenti di diniego, o comunque emessi in sede di autotutela – ancorché l’originario provvedimento sia divenuto già definitivo – ogni qual volta tali provvedimenti siano idonei ad incidere sul rapporto tributario, essendo configurabile un collegamento tra gli atti dell’Amministrazione e il rapporto tributario sottostante, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di invocare difesa relativamente al provvedimento di diniego di autotutela, non conseguendo ad esso alcun ulteriore atto impositivo.

Occorre in proposito rammentare che la valutazione circa la sussistenza del presupposto dell’esercizio dell’autotutela dipende dal contemperamento tra l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l’interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici e pertanto all’incontestabilità degli atti impositivi quando essi siano divenuti definitivi.

2.2. In merito si è espressa anche la Corte Costituzionale, la quale – oltre a confermare la giurisprudenza di questo Giudice di legittimità secondo cui, tenuto conto del carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario, questo “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente” – ha espressamente affermato che pure “in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti – e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere – secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio” (Corte Cost., sent. 13.07.2017, n. 181).

2.3. Ne consegue, ha statuito questa Corte di legittimità, che “nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente”, Cass. sez. V, ord. 24.08.2018, n. 21146 (evidenza aggiunta). La Corte di legittimità, del resto, aveva già da tempo chiarito che il contribuente il quale richieda “all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. (Nell’enunciare il principio, la S.C. ha rigettato il ricorso, escludendo un obbligo di adozione del provvedimento in autotutela, a fronte di censure attinenti esclusivamente alla legittimità dell’atto impositivo ormai divenuto definitivo)”, Cass. sez. VI-V, 2.12.2014, n. 25524 (evidenza aggiunta).

2.3.1. Il principio ricordato è stato anche confermato, statuendosi che “in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di annullamento di alcuni atti impositivi in sede di autotutela in virtù del passaggio in giudicato di una sentenza che aveva operato una ricostruzione incompatibile con quella compiuta in detti atti ormai inoppugnabili, poiché i vizi prospettati erano quelli originari, che il contribuente avrebbe potuto far valere impugnando i relativi atti), Cass. sez. V, 28.3.2018, n. 7616.

3. Nel caso in esame la ricorrente società, nel primo grado del giudizio così come in sede di appello, ha censurato il provvedimento di diniego di rimozione in autotutela dell’atto impositivo da parte dell’Ente impositore, affermando profili di illegittimità del rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria che avrebbero dovuto, a suo dire, indurre l’Ente impositore a riesaminare l’atto presupposto, onde procedere, se del caso, al suo annullamento, nonostante la definitività dell’avviso di accertamento, in conseguenza di elementi non solo sopravvenuti, ma anche già presenti al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento.

In particolare la ricorrente afferma che l’Ente impositore avesse il dovere di riesaminare l’atto, anche alla luce di normativa sopravvenuta, con specifico riferimento al profilo delle sanzioni applicabili, e comunque avrebbe dovuto motivare il proprio diniego, essendo incorsa la Ctr anche nel vizio di omessa pronuncia per non aver esaminato questa contestazione.

3.1. Invero la contribuente non esplicita per quale ragione ritenga che l’accoglimento delle sue contestazioni, e pertanto l’annullamento-revoca-ritiro del provvedimento di diniego, avrebbe dovuto rappresentare per l’Amministrazione finanziaria una necessità, originata dall’esigenza di evitare una lesione ad un interesse di natura generale, superabile soltanto mediante la rimozione dell’atto. La contribuente muove censure che attengono al regiudizio individuale che afferma di aver subito in conseguenza dell’emissione, e del mancato annullamento in autotutela, dell’atto impositivo, ma neppure allega le ragioni di interesse generale che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione finanziaria a provvedere nel senso richiesto.

Chiarezza suggerisce pertanto di dettare il principio di diritto secondo cui “il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo è consentito, ma nei limiti dell’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo”.

4. Pertanto, la decisione adottata dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, che comunque riconosce la facoltà di impugnazione del provvedimento di diniego di rimozione in autotutela dell’accertamento tributario divenuto definitivo, risulta conforme a diritto e dovendo solo sottolinearsi che la ricorrente non ha neppure provveduto ad illustrare quali siano le ragioni di interesse generale in conseguenza delle quali l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto procedere alla rimozione dell’accertamento tributario emesso nei suoi confronti, e divenuto definitivo, né simili ragioni emergono dagli atti a disposizione della Suprema Corte.

Il ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.

5. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della controversia. Risulta dovuto anche il pagamento, da parte della contribuente, del c.d. doppio contributo.

La Corte.

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto da S.T.I. Solfotecnica Italiana Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle entrate, e le liquida in complessivi Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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