Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7317 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 16/03/2021), n.7317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23163/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Biffi Italia Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Russo, con

domicilio eletto presso il suo studio, in Roma via Castro Pretorio

122, giusta procura speciale notarile in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 44/9/13, depositata il 20 maggio 2013,

notificata il 24 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 ottobre

2020 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate emetteva, nei confronti di Biffi Italia Srl, avvisi di accertamento relativi ai periodi d’imposta 1 ottobre 2002-30 settembre 2003 e 1 ottobre 2003-30 settembre 2004 in relazione all’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, asseritamente emesse per il pagamento di servizi di intermediazione, ma, in realtà, finalizzate a costituire fondi per attività penalmente illecite e a precostituire la detrazione Iva.

In particolare, secondo l’Ufficio, l’attività effettivamente attuata era costituita dal procacciamento di dati e notizie riservate presso funzionari compiacenti sì da far risultare la propria offerta la migliore ed ottenere commesse nell’ambito di pubblici appalti; tale condotta veniva realizzata non direttamente dai soggetti interessati alla commessa (tra i quali la Buffi Italia Srl) ma attraverso intermediari nella specie la CO.TE.CO. Srl di C.A. – ed i relativi costi erano contabilizzazione mediante false fatturazioni per prestazioni di consulenza e correlata stipula di contratti fittizi, il cui pagamento (con un parziale ritorno del denaro in azienda) era il mezzo per compensare l’attività illecita.

L’impugnazione degli avvisi da parte della Biffi Italia Srl con separati ricorsi era, previa riunione, rigettata dalla CTP di Piacenza. La sentenza era riformata dal giudice d’appello, attesa l’intervenuta assoluzione in sede penale del legale rappresentante della Biffi Italia Srl, sig. D.P..

L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con due motivi. Resiste Biffi Italia Srl con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato con tre motivi. La contribuente deposita memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, per aver la CTR ritenuto decisive le sentenze penali di assoluzione del legale rappresentante della Biffi Italia Srl ai fini della decisione sul giudizio tributario, omettendone un vaglio autonomo e critico.

1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente motivazione su fatto controverso decisivo, doglianza che viene altresì declinata in via subordinata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 82 del 2012, art. 54, quale omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione.

Le doglianze attingono, in particolare, l’omessa considerazione da parte della CTR delle dichiarazioni confessorie ed incriminanti rese dal C., legale rappresentante della CO.TE.CO. Srl.

2. I motivi, in evidenza logicamente connessi, possono essere esaminati unitariamente e sono fondati nei termini che seguono.

2.1. Preliminarmente non meritano accoglimento le eccezioni di inammissibilità sollevate dal controricorrente.

Quanto al primo motivo, infatti, la censura non è carente in punto di autosufficienza avendo l’Ufficio riprodotto estensivamente (ancorchè in sede di esposizione sommaria del fatto) la sentenza criticata, con articolazione, in termini idonei, dell’asserita violazione di legge.

Quanto al secondo, seppur è vero che la deduzione del vizio di insufficiente motivazione è inammissibile, trattandosi di doglianza non più consentita ex art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile poichè la decisione è stata pubblicata il 20 maggio 2013, è invece ammissibile la doglianza di omesso esame di fatto decisivo, proposta in via subordinata.

Va infatti disattesa l’eccepita inammissibilità per l’inopinato cumulo delle censure che, pur contenute all’interno del medesimo motivo, sono espressamente formulate in rapporto di subordine (esclusa dunque l’asserita rimessione alla Corte quanto alla “scelta” della censura) mentre, nel corpo del motivo, sono partitamente ed autonomamente trattate.

Nè essa è carente in punto di autosufficienza e ciò sia con riguardo alla sentenza impugnata – come già sopra rilevato – sia con riguardo alle dichiarazioni rese e agli atti pertinenti (sentenze penali, avviso di accertamento), adeguatamente riprodotti.

2.2. Nel merito, va rilevato che la CTR, dopo aver premesso di dover valutare le sentenze penali (delle quali, invero, il giudice d’appello aveva sottolineato di non essere in condizioni “di conoscere se siano divenute irrevocabili”,) “come semplici indizi o elementi di prova critica in ordine ai fatti accertati dai giudici in sede penale”, in linea con il consolidato orientamento della Corte secondo il quale “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, ancorchè emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare” (Cass. n. 17258 del 27/06/2019; Cass. n. 28174 del 24/11/2017), non ha, in concreto, dato effettiva e corretta applicazione al suddetto principio.

2.3. La CTR, difatti, da un lato ha limitato la propria disamina alle sole risultanze probatorie che la sentenza penale ha ritenuto validamente apprezzabili in quella sede, dall’altro non ha considerato nè il complesso degli elementi a disposizione del giudice penale e le ragioni, sul piano probatorio, della decisione stessa, omettendo di confrontarsi con le diverse condizioni e limiti operanti per il processo tributario, mentre, dall’altro ancora, ha completamente omesso di considerare i fatti – ritualmente dedotti ed allegati dall’Ufficio (che ha soddisfatto pure il relativo onere di autosufficienza riproducendo le dichiarazioni e gli elementi documentali) – introdotti in giudizio e di evidente rilievo indiziario, concludendo che le operazioni contestate rispondevano a criteri di regolarità formale, sicchè “in mancanza di indizi contrari accertati e verificati” la pretesa impositiva doveva ritenersi non fondata.

2.4. Assumono peculiare incidenza, invece, le dichiarazioni rese dal C., di per sè oggetto di puntuale considerazione proprio da parte della stessa sentenza penale, e che, inoltre, si riflettono con carattere di decisività, quale fatto secondario, sul fatto storico dell’effettività delle prestazioni di consulenza rese da quest’ultimo, circostanza in diretto rapporto di causa rispetto alla prova dell’evasione e della falsità delle fatturazioni.

La stessa sentenza penale, del resto, ha affermato che per l’assoluzione era stata rilevante proprio l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal C. (già condannato ex art. 444 c.p.c. e che si era avvalso della facoltà di non rispondere).

La significatività di tale circostanza – ai fini dello stesso autonomo apprezzamento da parte del giudice tributario – ha puntuale riscontro nella stessa giurisprudenza su riportata in ordine alla valutazione delle risultanze emerse in sede penale, secondo la quale il giudice “nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio” (Cass. n. 28174/2017 cit.).

2.5. Ne deriva che la CTR, in concreto, si è limitata a trasporre automaticamente l’esito della decisione penale al giudizio tributario, omettendo la propria, necessaria, autonoma valutazione, che deve essere compiuta alla stregua dei criteri e dei principi in materia di prova vigenti ed applicabili nel processo tributario, omettendo altresì di esaminare il fatto decisivo – ritualmente introdotto dall’Ufficio e ad essa sottoposto – costituito dalle dichiarazioni del C..

3. Passando al ricorso incidentale condizionato, il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 111 Cost. per aver la CTR statuito, con motivazione apparente, sul difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, fondati esclusivamente sulle dichiarazioni di terzo acquisite nel corso del giudizio penale, di per sè inidonee.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La CTR, infatti, ha affermato – in termini articolati e con richiamo di precedenti pertinenti – l’idoneità della motivazione degli avvisi di accertamento fondata sulle dichiarazioni rese da terzi (nella specie, confessorie in sede penale), rendendo dunque chiaro e ben definito l’iter argomentativo e logico della sua decisione.

Non sussiste, dunque, la contestata violazione.

La ricorrente, in realtà, articola la propria censura, derivandone un’asserita, ma inesistente, apparenza motivazionale, su profili del tutto estranei alla questione: la doglianza, insistendo sull’inidoneità delle dichiarazioni di terzi, investe solo il merito della pretesa e non l’adeguatezza della motivazione dell’avviso, restando del tutto trascurata la distinzione tra la questione dell’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, requisito formale di validità, e quella concernente, invece, indicazione ed effettiva esistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che non è prescritta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo ma è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria da applicarsi nello svolgimento del giudizio (Cass. n. 8399 del 05/04/2013).

4. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 111 Cost. per aver la CTR statuito, con motivazione apparente, con riguardo all’eccepita nullità degli avvisi per essere gli stessi relativi ad esercizi precedentemente definiti attraverso l’istituto dell’accertamento con adesione e per non essersi verificate le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Non sussiste la denunciata apparenza, avendo la CTR operato uno specifico e puntuale accertamento in fatto evidenziando che “la natura parziale degli accertamenti definiti con adesione trova conferma con quanto dedotto nel processo verbale di constatazione oggetto di adesione (documenti 3 e 4 di parte ricorrente) e per gli specifici elementi di costo esaminati durante la fase istruttoria dall’Ufficio”, di per sè neppure censurabile, risolvendosi la doglianza in una inammissibile generica contestazione, significativa della mera non condivisione della statuizione della CTR.

5. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, per aver la Guardia di Finanza superato il limite di 30 giorni di permanenza presso la contribuente.

5.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, atteso che, per la consolidata e ripetuta giurisprudenza della Corte, senza che la contribuente abbia offerto elementi suscettibili di mutare l’orientamento della stessa, “in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, nè l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati” (Cass. n. 2055 del 27/01/2017; Cass. n. 966 del 20/01/2016; Cass. n. 7584 del 15/04/2015; Cass. n. 16323 del 17/07/2014; Cass. n. 17002 del 05/10/2012; da ultimo Cass. n. 15009 del 15/07/2020).

6. In accoglimento del ricorso, inammissibili i motivi del ricorso incidentale condizionato, la sentenza va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente che, in diversa composizione, valuterà altresì la sussistenza delle condizioni per l’eventuale applicazione del regime sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015 – chiesto dal contribuente con la memoria – ove più favorevole.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell’Emilia Romagna per l’ulteriore esame.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale condizionato, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale condizionato, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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