Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7316 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 22/03/2017, (ud. 07/02/2017, dep.22/03/2017),  n. 7316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.G., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avvocato Fernando Leoni;

– ricorrente –

contro

T.A.; R.C.; R.M.; Z.E.,

Z.A. e ZA.Al., questi ultimi tre nella qualità di eredi di

R.T.; T.O.; rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati

Domenico Legrenzi ed Enrico Ivella, con domicilio eletto nello

studio di quest’ultimo in Roma, via Ugo Bartolomei, n. 23;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

M.B.; M.M.; B.A., quale erede

di R.P.; R.L.; P.A.; P.M. quale

erede di P.I.; G.R.; BO.Se.;

BA.Al.; BA.Al.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n.

1888/2012 in data 30 maggio 2012.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7

febbraio 2017 dal Consigliere Giusti Alberto;

udito l’Avvocato Enrico Ivella;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità e

in subordine il rigetto sia del ricorso principale che del ricorso

incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 1093 del 2010 il Tribunale di Como ha disposto lo scioglimento della comunione ereditaria fra gli attori R.T. + ALTRI OMESSI

Oggetto della comunione ereditaria era un immobile di tre piani fuori terra in (OMISSIS) non divisibile secondo le quote di comproprietà, come accertato con la c.t.u. eseguita in primo grado, avente un valore di stima di circa 147.000 Euro.

Di tale immobile il Tribunale di Como ha disposto la vendita, in vista della successiva ripartizione del ricavato netto tra i coeredi.

Il giudice di primo grado ha contestualmente respinto la domanda di usucapione dell’immobile comune avanzata da F.G., compensando nella misura di 1/2 le spese legali e condannando la convenuta F. a rimborsare la residua metà a R.P., + ALTRI OMESSI

Il Tribunale ha posto, infine, le spese di c.t.u. a carico solidale di tutte le parti e ha disposto la rimessione della causa sul ruolo per le operazioni di vendita.

2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 30 maggio 2012, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame di F.G. e, per l’effetto, ha confermato la sentenza del Tribunale di Como, ponendo a carico dell’appellante le spese sostenute dagli appellati costituiti.

2.1. – Respinta l’eccezione preliminare dell’appellato T.O. di inesistenza della vocatio in ius in appello di R.T., R.L., R.M., T.A. e dello stesso T.O. per non avere l’appellante formato un nuovo atto di citazione in appello per integrazione del contraddittorio ed essersi, invece, limitata a far notificare loro una copia dell’atto di citazione in appello come originariamente formato, la Corte d’appello ha giudicato infondata la censura relativa alla mancanza di prova della contitolarità del diritto di proprietà in capo ai nove attori del giudizio di primo grado, e ciò alla luce della produzione delle numerose dichiarazioni di successione, attestanti come agli attori in primo grado siano pervenute quote di comproprietà dell’immobile in (OMISSIS).

Tali produzioni documentali – ha osservato la Corte – non attengono, stante la peculiarità del giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, alla prova delle pretese fatte valere in giudizio, ma semplicemente alla verifica della legittimazione di ciascuno a promuovere il giudizio di divisione ed alla precisa determinazione della quota di comproprietà di ognuno.

Questo genere di produzioni – ha precisato la Corte territoriale non è soggetto alle preclusioni di cui al previgente art. 184 c.p.c.; d’altra parte, la stessa F., scegliendo di rimanere contumace durante i cinque anni in cui si svolse l’istruzione della causa ma coltivando contestuali trattative con i nove attori in primo grado, ne riconobbe implicitamente la legittimazione all’azione per lo scioglimento della comunione ereditaria, in seguito negata.

La Corte di Milano ha ritenuto, per contro, irrimediabilmente tardiva la domanda riconvenzionale di usucapione del bene comune da parte di F.G., da costei proposta solo con la comparsa di costituzione depositata dopo la riassunzione della causa, cancellata dal ruolo per inattività delle parti dopo essere giunta, nella contumacia della F., fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

La Corte d’appello ha inoltre rilevato – al di là di questo rilievo ritenuto assorbente – che la F. non ha provato od offerto di provare alcuna circostanza indicativa di una sua volontà, protrattasi per il lungo tempo utile all’usucapione, di escludere gli altri comproprietari dal godimento della cosa.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso F.G., con atto notificato l’8 gennaio 2013, sulla base di tre motivi.

Hanno resistito, con controricorso, T.A. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe, proponendo a loro volta ricorso incidentale, sulla base di un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo di ricorso incidentale attiene ad una questione pregiudiziale di rito. Con esso si chiede che venga cassata senza rinvio la sentenza della Corte d’appello per avere rigettato l’eccezione processuale di inammissibilità dell’appello proposto dalla F., deducendosi che l’appellante non ha provveduto entro il termine fissato dalla Corte alla rituale integrazione del contraddittorio, con la conseguenza che l’impugnazione doveva essere dichiarata inammissibile, secondo la previsione dell’art. 331 c.p.c..

1.1. – Il ricorso incidentale va esaminato solo in caso di accoglimento del ricorso principale. Il ricorso incidentale, infatti, è proposto dalla parte totalmente vittoriosa e investe una questione che è stata oggetto di una decisione esplicita da parte del giudice del merito.

Va fatta applicazione, al riguardo, del principio secondo cui anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito che investa questioni pregiudiziali di rito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito rilevabili d’ufficio non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito; qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., Sez. Un., 6 marzo 2009, n. 5456).

2. – Cominciando, quindi, con l’esame del ricorso principale, con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 305 c.p.c., la ricorrente denuncia “estinzione del processo per mancata riassunzione a seguito del decesso di due attori”. La ricorrente rappresenta che nel corso del giudizio di primo grado, nell’anno 2003, era defunto l’attore R.P., che figurava però ancora attore nel ricorso per riassunzione. Anche R.T. era deceduta, nel (OMISSIS). Nessuno lamenta la ricorrente – ha dichiarato in giudizio l’avvenuto decesso, nè si sono costituiti gli eredi in loro vece. La mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di R.T. e R.P. importerebbe la nullità assoluta, rilevabile d’ufficio anche in cassazione, del procedimento e della sentenza che lo ha concluso, e cioè della sentenza di primo grado.

2.1. – Il motivo è infondato, per una duplice e concorrente ragione.

In primo luogo perchè in caso di morte della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione dell’evento ad opera di quest’ultimo comporta, per la regola dell’ultrattività del mandato, che il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonchè in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta, ovvero se il procuratore, già munito di procura valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4, (Cass., Sez. lav., 18 gennaio 2016, n. 710). D’altra parte, nel caso di morte di una parte costituita in giudizio, la mancata dichiarazione dell’evento ad opera del suo procuratore, ai fini interruttivi ai sensi dell’art. 300 c.p.c., non impedisce alla controparte che sia comunque a conoscenza di tale evento di prendere l’iniziativa della chiamata in giudizio dei successori di detta parte, dovendosi in questo caso il termine riassunzione intendersi impropriamente usato come atto d’impulso processuale non conseguente ad una precedente fase di interruzione, ma volto anzi ad evitarla (Cass., Sez. 2^, 15 febbraio 2005, n. 3018; Cass., Sez. lav., 30 aprile 2010, n. 10525).

Va inoltre considerato che le norme che disciplinano l’interruzione del processo sono preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l’unica legittimata a dolersi dell’irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interrutti-va; ne consegue che la mancata interruzione del processo non può essere eccepita dall’altra parte come motivo di nullità (Cass., Sez. 3^, 13 novembre 2009, n. 24025; Cass., Sez. 1^, 19 agosto 2016, n. 17199).

3. – Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 184 c.p.c., artt. 2697, 533 e 713 c.c. Premesso che gli attori hanno allegato di essere eredi di R.M., deceduta a (OMISSIS), la ricorrente afferma che in realtà nessuna prova è stata fornita circa il diritto di proprietà di R.M. e dei suoi danti causa. Tale carenza non consentirebbe di verificare la sussistenza di condizioni dell’azione di divisione, quali la sussistenza del diritto dominicale in capo agli attori. Alla carenza di documentazione avrebbero cercato di porre rimedio tardivamente gli attori con documentazione, in ogni caso carente, depositando in data 27 gennaio 2009 la memoria istruttoria, produzione alla quale si è opposta la convenuta F. con il primo atto utile. Nè poteva il giudice desumere dalla espletata c.t.u. la prova della comproprietà in capo agli attori, giacchè il c.t.u. non può sostituirsi agli attori, sollevandoli dall’onere della prova.

3.1. – Il motivo è inammissibile perchè non attinge l’intera ratio decidendi.

La Corte d’appello ha ritenuto raggiunta la prova della contitolarità del diritto di proprietà in capo agli attori non solo dalla produzione della documentazione in giudizio, ma anche dal comportamento processuale della stessa convenuta F., la quale – pur scegliendo di rimanere contumace durante i cinque anni in cui si svolse l’istruzione della causa – coltivò contestuali trattative per lo scioglimento consensuale della comunione ereditaria, così implicitamente riconoscendone la legittimazione.

Contro questa ratio, da sola sufficiente a sostenere la decisione circa la sussistenza delle quote di comproprietà in capo agli attori, la ricorrente non ha articolato una specifica censura.

4. – Con il terzo motivo la ricorrente in via principale lamenta motivazione insufficiente, contraddittoria e omessa su un fatto decisivo per la controversia. La Corte d’appello avrebbe apoditticamente fatto riferimento, per dimostrare la proprietà degli attori, alla presenza di numerose dichiarazioni di successione, senza in realtà individuare tali documenti. Mancherebbero criteri idonei a sorreggere e a individuare con chiarezza la ratio decidendi.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha dato conto del proprio convincimento, affermando – in maniera concisa e chiara – che la documentazione prodotta in giudizio (dichiarazioni di successione) consente pianamente di ritenere raggiunta la prova, in capo agli attori, delle quote di comproprietà dell’immobile oggetto della domanda di scioglimento della comunione.

La censura è generica e pretende di ravvisare un’aporia motivazionale nel fatto che il convincimento del giudice è affidato ad una valutazione sintetica della documentazione in atti, ma non considera ancora una volta – la ragione concorrente rappresentata dal comportamento nel tempo della stessa F., dimostrativo di un riconoscimento del diritto di comproprietà degli altri soggetti.

5. – Il ricorso principale è rigettato.

L’esame del ricorso incidentale resta assorbito.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la F. al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre a spese generale nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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