Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7316 del 16/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/03/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 16/03/2020), n.7316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27419-2018 proposto da:

T.M., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato MORENA RIPA;

– ricorrenti –

contro

UBI BANCA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 17, presso lo

studio dell’avvocato RENZO RISTUCCIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANGELO PETRONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1555/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con sentenza del 6/7/2017 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 27/5/2010 del Tribunale di Firenze, ha condannato la Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio s.p.a., quale successore ex lege della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio soc.c.oop. a pagare a T.M. e M.A. la somma di Euro 147.508,57, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè i 2/3 delle spese processuali del doppio grado di giudizio, così riducendo in proporzione al valore delle cedole medio tempore riscosse dagli investitori, l’importo della condanna restitutoria disposta in primo grado per l’importo di Euro 200.087,26 oltre interessi dal di dell’investimento, previa pronuncia risoluzione dell’ordine di acquisto di obbligazioni argentine del 1/3/1999;

avverso la predetta sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso per cassazione T.M. e M.A., svolgendo tre motivi, al quale ha resistito con controricorso UBI Banca s.p.a. (società incorporante di Banca Tirrenica s.p.a., già Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio s.p.a.), chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

in data 7/1/2020 il Consigliere relatore ha proposto ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata, previa delibazione dell’inammissibilità e della manifesta infondatezza dei motivi di ricorso;

le parti hanno illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le rispettive difese;

ritenuto che:

con il primo motivo i ricorrenti lamentano omesso esame del fatto decisivo dedotto con l’appello e oggetto di discussione fra le parti, relativamente alla inammissibilità dell’appello per effetto dell’acquiescenza espressa prestata da parte della banca alla sentenza di primo grado ex art. 329 c.p.c., consistita nell’aver venduto i titoli obbligazionari ricevuti in restituzione dagli attori;

la censura è articolata, del tutto impropriamente, in termini di omesso esame di fatto decisivo e1 art. 360 c.p.c., n. 5, mentre in realtà i ricorrenti si lamentano dell’omessa pronuncia su di una eccezione preliminare di rito, implicitamente rigettata;

il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Sez.3, 11/10/2018, n. 25154; Sez.6, 14/03/2018, n. 6174) e non ricorre comunque quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Sez. trib., 06/12/2017, n. 29191; Sez.2, 13/08/2018, n. 20718);

in ogni caso la tesi sostenuta dagli attuali ricorrenti e implicitamente disattesa dalla Corte di appello è manifestamente infondata, perchè l’acquiescenza tacita alla sentenza ex art. 329 c.p.c. è ravvisabile solo quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare, in tutto o in parte, gli effetti giuridici della pronuncia, ponendo in essere condotte assolutamente incompatibili con la volontà di impugnare (Sez. 2, n. 7181 del 22/03/2018, Rv. 647960 – 01; Sez. 2, n. 3934 del 29/02/2016, Rv. 638974 – 01), il che non può predicarsi per effetto dell’alienazione di beni del tutto fungibili e suscettibili di liquidazione per equivalente, come le obbligazioni di cui si discute;

con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge per effetto della asserita inapplicabilità alla controversia dell’art. 2033 c.c. in relazione alla disposta detrazione dal capitale oggetto di restituzione del valore delle cedole riscosse medio tempore;

l’assunto dei ricorrenti è manifestamente infondato alla luce del consolidato indirizzo di questa Corte, secondo il quale quando viene dichiarata la risoluzione del contratto d’investimento in valori mobiliari, scattano tra le parti reciproci obblighi restitutori, in forza dei quali l’intermediario deve restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione dei dividendi e delle cedole, costituenti frutti civili, dal giorno della percezione, se l’accipiens è in mala fede, o dal giorno della domanda, se in buona fede; qualora, poi, i titoli siano stati nel frattempo rivenduti a terzi, è dovuta la restituzione del corrispettivo conseguito o, in caso di vendita in mala fede, del valore equivalente delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati, secondo la disciplina di cui all’art. 2038 c.c.; i reciproci crediti vantati dalle parti, ove ne ricorrano i presupposti, possono compensarsi legalmente, ai sensi dell’art. 1243 c.c. (Sez. 1, n. 2661 del 30/01/2019, Rv. 652415 – 01; Sez. 1, n. 6664 del 16/03/2018, Rv. 648251 – 02);

con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge per la mancata necessaria applicazione dell’art. 1458 c.c., che avrebbe comportato la decorrenza degli interessi sulla somma dovuta dalla Banca non già dalla data della domanda giudiziale ma dalla precedente data dell’investimento;

anche questa censura è manifestamente infondata alla stregua della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in caso di risoluzione per inadempimento di un contratto, le restituzioni a favore della parte adempiente non ineriscono ad un’obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni, e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore, ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all’art. 1224 c.c. che va, peraltro, provato dal richiedente (Sez. 2, n. 14289 del 04/06/2018, Rv. 648837 – 03; Sez. 3, n. 5639 del 12/03/2014, Rv. 630187 01);

in tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi, contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno di cui essi integrano una componente necessaria, hanno fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono, sicchè gli stessi (corrispettivi, compensativi o moratori) possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., soltanto su espressa domanda della parte (Sez. 2, n. 18292 del 19/09/2016, Rv. 641074 – 01; Sez. 2, n. 4423 del 04/03/2004, Rv. 570789 – 01);

ai sensi dell’art. 1458 c.c. alla risoluzione del contratto consegue, oltre all’effetto liberatorio, per le obbligazioni che ancora debbono essere eseguite, anche un effetto restitutorio, per quelle che siano, invece, già state oggetto di esecuzione ed in relazione alle quali sorge, per l’accipiens, il dovere di restituzione, anche se le prestazioni risultino ricevute dal contraente non inadempiente;

allorchè tale obbligo restitutorio ha per oggetto somme di denaro, il ricevente è tenuto a restituirle maggiorate degli interessi calcolati dal giorno della domanda di risoluzione e non da quello in cui la prestazione pecuniaria era stata eseguita dall’altro contraente (Sez. 1 -, n. 6911 del 20/03/2018, Rv. 647762 – 01; Sez. 2, n. 18518 del 14/09/2004, Rv. 577069 – 01; Sez.1, n. 2661 del 30/1/2019);

nella specie, inoltre, i ricorrenti in primo grado avevano chiesto l’attribuzione degli interessi legali dalla domanda al saldo e la Banca appellante con il sesto motivo di gravame aveva censurato la decisione di primo grado per vizio di ultra-petizione (sentenza impugnata, pag.5, terzo paragrafo);

la Corte di appello ha accolto tale richiesta, sia pur senza una espressa motivazione, e i ricorrenti non affrontano tale profilo, implicito nella pronuncia impugnata, dimostrando di aver richiesto tempestivamente gli interessi dalla diversa data di decorrenza, con conseguente a-specificità della censura;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 4.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2020

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