Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7311 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 22/03/2017, (ud. 16/12/2016, dep.22/03/2017),  n. 7311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1781-2014 proposto da:

V.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA

BARBANTINI FEDELI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

PASSI;

– ricorrenti –

contro

D.E., (OMISSIS), D.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio

dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI BRANCA;

D.M.A.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA OVIDIO 26, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA DE

FAZIO, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI ANTONIO

PICCIONI, GIULIA ZAMBELLONI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1337/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 21/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato LUIGI BARBANTINI, con delega orale dell’Avvocato

GIUSEPPE BORELLI difensore del ricorrente, che si riporta agli atti

depositati;

udito l’Avvocato GIOVANNI BRANCA, difensore dei Signori D., che

si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato GIULIA ZAMBELLONI, difensore della Signora D.,

che si riporta agli atti depositati e deposita tre cartoline di

ricevimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

V.E. citò in giudizio D.G. davanti al Tribunale di Cremona, al fine di sentire condannare il convenuto a: 1) corrispondergli l’importo di Euro 92.962,24; 2) fargli conseguire la piena proprietà di una villetta come pattuito; 3) trasferire a suo favore, per il prezzo indicato, la proprietà del terreno oggetto degli accordi. A tal fine deduceva di aver svolto, in qualità di presidente della disciolta Cooperativa Vento, dal 1988, attività a favore del convenuto, al fine di far ottenere il mutamento di destinazione d’uso di un terreno di proprietà di costui, così da renderlo edificabile. Gli accordi tra i due, narrava l’attore, prevedevano, al verificarsi della suddetta condizione (l’edificabilità) entro il 30.09.2002, il pagamento di una somma di denaro in favore del V. pari ad Euro 92.962,24, nonchè l’impegno da parte del convenuto di trasferire all’attore la piena proprietà di una villetta a schiera da costruirsi, con annessa area.

Si costituì in giudizio D.G. il quale in via preliminare eccepì la carenza di legittimazione attiva del V., in quanto quest’ultimo aveva stipulato con lui due contratti preliminari di compravendita immobiliare in qualità di presidente della disciolta Cooperativa Vento, quindi agendo in nome e per conto della stessa. Nel merito chiese il rigetto delle domande attoree, assumendo la mancata verificazione della condizione che doveva legittimare il pagamento del compenso, dato che la variante approvata dalla Regione (che aveva attribuito l’edificabilità) era stata pubblicata sul BURL solo il 9.10.2002, quindi dopo il termini fissato negli accordi tra i due.

Il Tribunale di Cremona, con la sentenza n. 478/010, ritenuta fondata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del V., affermò nel merito, senza aver sollecitato il contradditorio sul punto, che le pattuizioni intervenute tra le parti erano nulle, poichè prive di causa o, comunque, con causa illecita (pattuizione di una provvista per compensi illeciti a pubblici funzionari, al fine di ottenere lo scopo agognato dell’edificabilità).

Avverso la sentenza propose appello il V., contestando l’intero impianto della pronuncia, tra l’altro eccependone anche la nullità per violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c., per avere il giudice di primo grado posto alla base della decisione una questione rilevabile d’ufficio (la mancanza o l’illiceità della causa del negozio) senza aver previamente sollecitato sul punto il contradditorio.

D.M.A.E., D.E., D.R., eredi di D.G., nel frattempo deceduto, costituitisi in giudizio, chiesero disattendersi l’impugnazione.

La Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 1337/2012, dep. 21.11.2012, rigettò l’appello proposto e confermò la sentenza del Tribunale, della quale condivise il giudizio di nullità per illiceità della causa, pur avendo riconosciuto, a differenza del primo giudice, la legittimazione attiva del V..

Rilevò, peraltro, che non potevasi riscontrare alcuna violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in quanto la norma che aveva introdotto quel comma era entrata in vigore dopo l’instaurazione della causa; in ogni caso l’appellante non aveva indicato quali sarebbero state le sue difese, atte a contrastare la tesi della nullità del contratto affermata dal giudice di primo grado.

Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione V.E. formulando quattro distinti motivi. Resistono in giudizio con apposito controricorso D.M.A.E. sia D.E..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente con il primo motivo eccepisce la violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza impugnata che aveva avallato quella di primo grado, la quale aveva omesso di sollecitare il contraddittorio in ordine alla questione della nullità del contratto rilevata d’ufficio.

Il primo motivo è infondato.

Non è controverso in sede di valutazione di legittimità che l’omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione rilevabile d’ufficio, sulla quale si fonda la decisione, comporta la nullità della stesa per violazione del diritto di difesa solo quando la parte che se ne duole prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in sua difesa, qualora il contraddittorio sulla predetta eccezione fosse stato tempestivamente assicurato, in quanto, alla stregua del canone costituzionale di ragionevole durata del processo, detta indicazione non costituisce un adempimento fine a sè stesso, la cui omissione è censurabile in sede di impugnazione a prescindere dalle sue conseguenze pratiche, ma assume rilievo solo quando finalizzata all’esercizio effettivo dei poteri di difesa (Sez. 3, n.6051 del 12-03-10, Rv. 612079; Sez. 3, n.8936 del 12/04/2013, Rv. 626018; Sez. 1, n. 2984 del 16/02/2016, Rv. 638556; Sez. 3, n. 3432 del 22/02/2016, Rv. 638918).

Con il secondo motivo l’impugnante lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte territoriale, qualificandolo quale mero accordo ricognitivo, aveva omesso di considerare l’importanza fondamentale del patto intervenuto tra le parti in data 15.05.2000, con cui il D. aveva riconosciuto al V. determinati compensi, che poi avevano costituito l’oggetto dell’azione giudiziaria proposta dall’attuale ricorrente.

Con il terzo motivo il V. eccepisce la violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, nonchè vizio di motivazione e travisamento dei fatti, perchè, a suo avviso, doveva reputarsi del tutto irrilevante che il V. non avesse la qualifica professionale del mediatore, ovvero che non avesse fornito una prova specifica della quantificazione del suo credito.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c., nonchè vizio motivazionale per aver omesso di valutare ed esaminare fatti decisivi per il giudizio e contenuti nella scrittura del 15.05.2000 prodotta in giudizio.

I motivi sopraesposti in sintesi non possono formare oggetto di scrutinio di legittimità poichè inammissibili per palese aspecificità e non autosufficienza.

In definitiva, il ricorrente invece che contrapporre alla ratio decidendi avversata un ragionamento alternativo, capace di scardinarne il ragionamento, si limita a denunciare la non condivisione della decisione (cfr., da ultimo, a scolpire la mancanza di specificità impugnatoria, Sez. 1, n. 18932 del 27/9/2016, Rv. 641832 – 01).

Per altro verso il ricorso evoca atti e fatti del processo (in particolare, il contenuto dell’accordo) che il giudice di legittimità non può che ignorare, stante che gli è dato conoscere solo della sentenza impugnata, del ricorso, del controricorso e delle memorie depositate.

Quindi, come anticipato, il ricorso in relazione ai predetti motivi si presenta come anche non autosufficiente (cfr., per le più recenti applicazioni del principio, il cui rispetto viene richiamato in misura crescente, Sez. 1, n. 11738 dell’8/6/201, Rv. 640032 – 01; Sez. 1, n. 9888 del 13/5/2016, Rv. 639725 – 01; Sez. 5, n. 19410 del 30/9/2015, Rv. 636606 – 01).

L’epilogo impone condannarsi parte ricorrente al pagamento delle spese legali di questo giudizio di legittimità in favore della controparte che, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte, possono liquidarsi siccome in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali del giudizio di legittimità in favore dei resistenti, che liquida nella complessiva somma di Euro 4.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Il fascicolo è stato scrutinato con la collaborazione dell’assistente di studio M.G..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 16 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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