Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 731 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 731 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 28639-2012 proposto da:
DI MATTEO ROSSANA DMTRSN60P57H501F, elettivamente domiciliata in ROMA,
LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso lo studio degli avvocati FERRIOLO
GIOVAMBATTISTA, e ABBATE FERDINANDO EMILIO, che la rappresentano e
difendono, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope
legis;
– resistente 1

Data pubblicazione: 15/01/2014

avverso il decreto n. 447/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del
19.12.2011, depositato il 28/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/07/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Ranieri Roda (per delega avvocati Ferdinando E.
Abbate e Giovambattista Ferriolo) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Rossana Di Matteo ha, con ricorso alla Corte d’appello di Perugia, proposto domanda di
equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, del danno non patrimoniale sofferto a
causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione regolato dalla stessa
legge, introdotto nell’ottobre del 2005 dinnanzi alla Corte d’appello di Roma. Giudizio
che, dopo la definizione in sede di merito nel marzo 2007, era proseguito in cassazione
sino alla emissione della sentenza nel marzo 2010.
La Corte territoriale, con il decreto indicato in epigrafe, ha dichiarato inammissibile la
domanda, ritenendo che il rimedio previsto dalla L. n. 89 del 2001 sia unico, e quindi
non possa essere attivato in relazione alla durata di un procedimento di equa riparazione.
Per la cassazione di questo decreto la Di Matteo ha proposto ricorso sulla base di un
motivo, cui resiste l’intimata Amministrazione con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nel ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art.
2, degli artt. 6.1, 13 e 41 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 111
Cost., osservando come nessuna di queste norme di diritto consenta di escludere dalla
sua applicazione il procedimento di equa riparazione, quale procedimento giurisdizionale
contenzioso destinato a concludersi con una pronuncia idonea ad avere efficacia di titolo
esecutivo, al pari di ogni altro procedimento regolato dalle norme stesse.
2. Il ricorso è fondato. Dalla ricognizione della giurisprudenza della Corte Europea – che
come noto costituisce necessario elemento di riferimento nella interpretazione delle
disposizioni della C.E.D.U. – ed anche della giurisprudenza di questa Corte, emerge
2

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che ha

come non sia in discussione la ammissibilità della domanda di equa riparazione per la
durata irragionevole di un procedimento di equa riparazione: del resto, ne’ la L. n. 89 del
2001, art. 2 ne’ l’art. 6 della C.E.D.U. risultano escludere, espressamente o
implicitamente, dal proprio ambito di applicazione tale procedimento giurisdizionale. 2.1.
Discussa è piuttosto la individuazione di quale sia la ragionevole durata di un giudizio di
equa riparazione, specie nel caso – qui ricorrente – in cui tale giudizio si sia svolto

riguardo, nella sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa Cocchiarella
contro Italia, si è affermato che “il periodo di quattro mesi previsto dalla legge vinto
soddisfa il requisito di rapidità necessario perché un rimedio sia effettivo. L’unico
ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine
massimo per l’emissione della decisione. Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata
dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine
previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli” (par. 99). Nella successiva decisione della
Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa Simaldone contro Italia (par. 29), si è invece
ritenuta eccessiva una durata di un giudizio “Pinto”, svoltosi in un solo grado dinnanzi
alla Corte d’appello e protrattosi per undici mesi. Nel caso deciso dalla Seconda Sezione
il 22 ottobre 2010, causa Belperio e Ciarmoli contro Italia, dopo aver dato atto del
contenuto della sentenza Cocchiarella, si è ulteriormente precisato che la durata di un
giudizio “Pinto” davanti alla Corte d’appello, inclusa la fase di esecuzione, salvo
circostanze eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi. Da ultimo, nella decisione
27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa CE.DI.SA . Fortore s.n.c. Diagnostica
Medica Chirurgica contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, per due
gradi di giudizio, la durata di un procedimento “Pinto” non debba essere, salvo
circostanze eccezionali, superiore a due anni.
2.2. Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la ragionevole durata
del giudizio di equa riparazione previsto e disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada
determinata in mesi quattro dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla
indicazione chiaramente desumibile dall’art. 3, comma 6, della medesima legge (Cass. n.
8287 del 2010). Il Collegio ritiene che a tale orientamento non possa essere data
3

dinnanzi alla Corte d’appello e in sede di impugnazione dinnanzi a questa Corte. A tale

continuità e che – rimandandosi alle singole fattispecie la valutazione della durata
ragionevole di una procedura ex lege n. 89 del 2001 che si svolga solo dinnanzi alla Corte
d’appello – ove, come nel caso di specie, la procedura si sia svolta anche dinnanzi alla
Corte di cassazione, la durata complessiva del giudizio non possa comunque eccedere il
termine ragionevole di due anni, tenuto conto, da un lato, delle indicazioni desumibili
dagli ultimi approdi (sopra riassunti) della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti

quattro mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, dall’altro della durata ragionevole del
giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è
suscettibile di estensione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno.
3. Il decreto impugnato è quindi cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti
di fatto, può decidersi nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.. Il giudizio è iniziato
con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Roma nell’ottobre 2005 ed è stato
definito con sentenza di questa Corte nel marzo 2010. Detratto il termine ragionevole,
stimato in due anni, e tenuto conto che l’impugnazione è stata proposta dopo tredici
mesi dal deposito della sentenza della Corte di merito (ben oltre il termine breve
legislativamente previsto per il ricorso per cassazione: v. Cass. n. 8287 del 2010), resta
una durata non ragionevole di circa un anno e sei mesi.
Ai fini della liquidazione dell’indennizzo, va fatta applicazione della giurisprudenza di
questa Corte (ex multis: n. 21840/09; n. 1893/10; n. 19054/10), a mente della quale
l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata
eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato paterna d’animo che
consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve
essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo. Pertanto, il
Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento in favore della ricorrente
di Euro 1125,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di un anno e sei mesi di
irragionevole durata. Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della
domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene
nell’operare siffatte liquidazioni.

4

dell’uomo in coerenza con il termine (pur avente natura meramente sollecitatoria) di

5. Le spese del giudizio di merito e di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo, tenendo conto, limitatamente al giudizio di legittimità (cfr. S.U. n.
17406/12), di quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione del D.L. n. 1 del
2012, art. 9, comma 2 conv. in L. n. 271 del 2012 (in particolare dei parametri indicati
dalla Tabella A – Avvocati per lo scaglione di riferimento, dei criteri di valutazione
previsti dall’art. 4 e della riduzione prevista dall’art. 9 del Decreto citato).

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore della ricorrente, della
somma di Euro 1125,00 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; condanna
inoltre il Ministero al pagamento delle spese del giudizio dinanzi alla Corte d’appello, in
complessivi Euro 775,00 – di cui Euro 445 per onorari e Euro 280 per diritti – oltre spese
generali ed accessori di legge, e di quelle dinanzi a questa Corte, in complessivi Euro
606,25 – di cui Euro100 per spese – oltre accessori di legge. Spese da distrarsi in favore
dell’avv. Ferdinando Emilio Abbate che se ne è dichiarato antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, il 16 luglio 2013.

P.Q.M.

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