Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7307 del 16/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 16/03/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 16/03/2020), n.7307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30155/2014 proposto da:

C.E.I. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO FINOCCHIARO;

– ricorrente –

contro

SE.RI.T. SICILIA S.P.A.;

– intimata –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI,

CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ESTER ADA

SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 1161/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/11/2013 R.G.N. 1460/2009.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la CEI srl propose opposizione avverso la cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 97.844,61 per contributi e somme aggiuntive vantati dall’INPS in conseguenza dell’indebita percezione da parte della società dello sgravio di cui alla L. n. 448 del 1998, art. 3;

2. il Tribunale di Catania adito, con sentenza del 5 dicembre 2008, dichiarò non dovuti i contributi;

3. interposto gravame dall’INPS, la Corte di Appello di Catania, con sentenza del 22 novembre 2013, in riforma di detta pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dalla CEI srl;

4. premesso in diritto che era onere della società dimostrare la ricorrenza dei “presupposti di legge al fine di una legittima fruizione degli sgravi”, la Corte, esaminato il materiale probatorio acquisito, ha concluso che “non è stata fornita, da parte della CEI srl, la prova della sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla L. n. 448 del 1998 per avere diritto agli sgravi”, in particolare “la prova che la propria realtà aziendale aveva i requisiti di novità e diversità rispetto alla precedente ditta individuale” denominata “CEI di P.G.”;

5. ha proposto ricorso per cassazione la società affidandosi a 3 motivi; non ha svolto attività difensiva nè l’INPS nè la SCCI Spa e la SERIT Spa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

il primo denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti atteso che gli elementi risultanti dal verbale ispettivo non erano idonei a suffragare la decisione e ad essere posti a fondamento della stessa (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”;

il secondo motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 e 416 c.p.c., non avendo posto a base della decisione e non tenendo conto, in quanto erroneamente qualificato come contestato, il fatto, invece non contestato, dell’espletamento da parte della CEI Srl di attività diversa da quella rispetto a quella svolta da P.G. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”;

il terzo motivo lamenta: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per aver mantenuto a carico della CEI sri l’onere della prova nonostante la posizione di parte appellata da quest’ultima nell’appello proposto dall’INPS”;

2. i motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non possono trovare accoglimento;

essi, infatti, nonostante lamentino anche violazioni e false applicazioni di norme di diritto, in realtà tendono tutti a contestare l’apprezzamento del materiale probatorio effettuato dalla Corte territoriale circa la ricorrenza dei presupposti, inevitabilmente fattuali, concernenti la fruizione degli sgravi da parte della società opponente;

in generale i motivi non tengono adeguato conto che, in seguito alla novellata formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, ogni rivalutazione del merito è preclusa a questa Corte;

in particolare poi risultano ìnappropriati i richiami sia all’art. 2697 c.c., sia agli artt. 115 e 116 c.p.c.;

per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697 c.c., è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa la prova dei fatti che giustificano il diritto o meno agli sgravi contributivi, opponendo una diversa valutazione;

per l’altro aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul plano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque solo nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, già richiamato (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017);

3. conclusivamente il ricorso va respinto; nulla per le spese in difetto di attività difensiva degli intimati;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n..228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2020

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