Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7306 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. II, 26/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.N., M.D. e M.S.,

rappresentati e difesi, in forza di procura speciale per

sottoscrizioni autenticate in data 23 maggio 2007 dal notaio Giuseppe

Reggio di Catania (rep. n. 66982), dall’Avv. Di Rienzo Savino,

elettivamente domiciliati in Roma, via Pinerolo, n. 43, presso lo

studio dell’Avv. Stefano Latella;

– ricorrenti –

contro

P.M. e S.L., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Carrara

Maurizio, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.

Giuliano Bologna in Roma, via Merulana, n. 234;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano depositata il 21

marzo 2007;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 4

marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. GIUSTI Alberto;

udito l’Avv. Giuliano Bologna, per delega dell’Avv. Maurizio Carrara;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Finocchi Ghersi Renato, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza depositata in data 17 luglio 2003, il Tribunale di Busto Arsizio, decidendo la causa promossa da M.S. nei confronti di M.N., M.R., M. D. e M.S. e della terza chiamata P. M., ha respinto le domande proposte in via principale dall’attore (dirette ad ottenere la declaratoria di simulazione assoluta del contratto di compravendita stipulato in data (OMISSIS) tra i convenuti e la terza chiamata, ed il trasferimento coattivo dell’immobile, sito in (OMISSIS), oggetto del preliminare intercorso in data (OMISSIS) tra esso attore ed i convenuti) e ha condannato i promittenti venditori alla restituzione della somma di L. 140 milioni da essi ricevuta a titolo di corrispettivo, oltre interessi legali dal giorno della domanda al saldo; ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dai convenuti nei confronti dell’attore per l’occupazione dell’immobile dalla data di anticipata esecuzione del preliminare, quella di esecuzione in forma specifica del citato preliminare e quella di nullita’ del contratto di vendita proposta dai M. nei confronti della P. e di S.L.; ha rigettato per infondatezza le ulteriori domande; infine, ha condannato i convenuti in solido alla rifusione delle spese nei confronti delle altre parti.

Il primo giudice, in particolare, ha reso una doppia statuizione di validita’: (a) da un lato, del contratto preliminare concluso in data (OMISSIS) tra M.S., promissario acquirente, e M.N., con esclusione del vizio di forma costituito dalla circostanza che il promittente venditore aveva agito senza mandato da parte dei figli, comproprietari per quote indivise del bene; e (b), dall’altro, mancando la prova dell’accordo simulatorio, della vendita effettuata dai detti M., rappresentati per procura speciale da S.L., alla moglie di questo, P. M., con atto regolarmente trascritto; conseguentemente ha dichiarato che la P.M., avendo adempiuto alla prestazione di pagamento del prezzo, era divenuta proprietaria dell’appartamento e per tale ragione il contratto preliminare non poteva trovare esecuzione coattiva, e che il M.S. aveva diritto di ricevere in restituzione la somma da esso corrisposta ai promittenti venditori per tale titolo.

2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 marzo 2007, ha rigettato l’appello principale proposto da N., R., D. e M.S. nei confronti di S.L., di P. M. e di M.S. nonche’ l’appello incidentale proposto da quest’ultimo.

La Corte d’appello ha riconosciuto la piena validita’ del contratto preliminare.

Quanto alle domande con le quali gli appellanti principali hanno impugnato l’atto di trasferimento concluso dal loro procuratore ( S.L.) con P.M., la Corte d’appello, nel pervenire ad una statuizione di rigetto dei motivi di censura, ha rilevato:

che la prova del pagamento del prezzo, il cui difetto avrebbe determinato la risoluzione del contratto, e’ stata fornita in modo idoneo dall’acquirente sia attraverso la produzione dell’atto nel quale e’ contenuta la corrispondente attestazione, sia attraverso la produzione del documento di quietanza sottoscritto dai M. a vantaggio dello S.L.: dalla combinazione di tali evidenze scritte si ricava che la P.M. verso’ a S.L. la somma di L. 80 milioni a titolo di corrispettivo e che tale importo fu girato dallo S.L. ai M. a chiusura dell’operazione economica;

che i M. hanno dichiarato per iscritto che, contrariamente a quanto risulta dalla procura, il mandatario era espressamente esonerato da ogni obbligo di rendiconto in relazione alla vendita di quanto ivi menzionato, essendo stati essi mandanti saldati di ogni loro spettanza in relazione alla vendita di cui alla suddetta procura; che, tenuto conto della quietanza contenuta nell’atto pubblico di compravendita redatto dal notaio Schiantarelli di Tirano, deve ritenersi processualmente accertato che la P.M., in regime di separazione dei beni dal proprio marito, effettuo’ il versamento del corrispettivo adempiendo in tal modo alla prestazione gravante su di essa acquirente;

che in esecuzione del mandato lo S.L. consegno’ il corrispettivo ai M. come da costoro attestato nella dichiarazione di quietanza.

In relazione alla domanda – dichiarata d’ufficio inammissibile dal primo giudice per novita’ – di nullita’ di detto contratto di vendita “per assenza totale di forma ad sunstantiam e per violazione dell’art. 1325 c.c.”, la Corte d’appello, confermando la statuizione del Tribunale, ha ritenuto ininfluente il fatto che controparte non avesse rifiutato il contraddittorio su tale domanda azionata in sede di precisazione delle conclusioni, giacche’ “l’art. 345 c.p.c. (nuovo testo)… assegna al giudice il potere di rilevazione officiosa della inammissibilita’ di domande nuove”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello M. N., M.D. e M.S. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 31 maggio 2007 (a P.M. e a S.L.) ed il 9 marzo 2009 (a M.R.), sulla base di cinque motivi.

Hanno restituito, con controricorso, S.L. e P. M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va dichiarata inammissibile la censura processuale formulata dal ricorrente nelle pagg. 11 (in fine) – 13 del libello introduttivo, con cui si prospetta la nullita’ della sentenza per violazione della regola di immodificabilita’ del collegio.

Le deduzioni che – sotto la rubrica “sul piano procedimentale” – veicolano detta censura, infatti, non sono accompagnate dalla formulazione del quesito di diritto, prescritta, a pena di inammissibilita’, dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 applicabile ratione temporis, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata in data 21 marzo 2007.

L’altra doglianza (pagg. 13 – 14), contenuta sotto la rubrica “altra questione di procedura”, con cui si lamenta che il Tribunale non avrebbe potuto, d’ufficio, in assenza di espressa opposizione della controparte, dichiarare l’inammissibilita’ della domanda, proposta in sede di precisazione delle conclusioni, di nullita’ del contratto di vendita tra i M. e lo S.L. (rectius: tra i M., rappresentati dallo S.L., e la P.M.) per assenza totale di forma ad substantiam e per violazione dell’art. 1325 c.c., e’ poi sviluppata come quinto motivo di ricorso, e sara’ pertanto esaminata piu’ avanti.

2. – Con il primo dei motivi di ricorso si censura la sentenza impugnata sotto tre distinti profili: (a) per “mancanza assoluta di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alle ragioni della prevalenza delle ammissioni del procuratore rispetto al disconoscimento espresso ai sensi dell’art. 2719 c.c.”; (b) per “violazione degli artt. 2729, 2730, 2726, 2724, 2719 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto si e’ posto a fondamento di prova del pagamento del prezzo della vendita immobiliare l’ammissione del procuratore che non e’ confessione, tutt’al piu’ puo’ essere mero elemento indiziario non ammesso e non utilizzabile nei contratti di trasferimento di diritti reali”; (c) per “violazione dell’art. 2726 c.c. in quanto le quietanze (i pagamenti) sono soggetti al divieto di prova testimoniale e, quindi, della prova per presunzioni”. Il motivo e’ accompagnato dai seguenti quesiti: (aa) “se il giudice di merito in un contratto a forma vincolata (trasferimento di diritti reali) possa ritenere, in un giudizio comparativo, prevalenti le cd. ammissioni del procuratore rispetto al disconoscimento operato ai sensi dell’art. 2719 c.c. e se tale giudizio comparativo possa mancare di motivazione senza che cio’ comporti il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5”; (bb) “se il giudice di merito possa utilizzare, nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, le ammissioni del procuratore in violazione dell’art. 2729 c.c. decidendo la causa sulla base di solo questo elemento”; (cc) “se in relazione agli artt. 2724, 2726 e 2729, 2730, 2719 c.c. la Corte milanese ha rettamente utilizzato la prova per presunzioni dal momento che nel presente caso i convenuti, P.M. e S.L., erano gravati della prova del pagamento del prezzo della vendita immobiliare mediante prova scritta”.

Con il secondo mezzo si prospetta: (a) “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per travisamento della prova, difetto di motivazione, illogicita’ della decisione, in quanto la sentenza impugnata da un lato ha omesso di esaminare se l’atto al quale i convenuti S. L. e P.M. affidavano la prova dell’intervenuto pagamento del prezzo fosse dimostrativo del fatto, dall’altro ha travisato il contenuto della dichiarazione in quanto lo stesso non contiene la confessione di un fatto”; (b) “violazione degli art. 2730 c.c., art. 1362 c.c. e segg., art. 2702 c.c., artt. 112, 113 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la sentenza impugnata ha fatto erronea applicazione dell’art. 2730 c.c., dell’art. 1362 c.c. e segg. con travisamento del contenuto letterale e fattuale della presunta quietanza nonche’ ha ignorato il principio di diritto (art. 2702 c.c.) in forza del quale l’eventuale riconoscimento delle sottoscrizioni e’ prova sino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, ma non impedisce, ne’ esclude che il giudice debba esaminare il contenuto dell’atto per appurare la sua valenza giuridica, anzi l’omesso esame del contenuto costituisce, nel dissenso tra le parti, violazione dello stesso art. 2702 c.c. in relazione agli artt. 112, 113 e 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Di qui i seguenti quesiti: “Se e’ legittimo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, il comportamento della Corte di Milano che ha omesso l’esame del contenuto intrinseco dell’atto presuntivamente quietanza, in presenza dell’eccezione di mancanza di pagamento del prezzo da parte dei sigg. M., nonche’ in presenza del rilievo che la dichiarazione non contiene l’affermazione di un fatto contro gli stessi dichiaranti, anzi il fatto (cioe’ la consegna del prezzo) e’ completamente assente nella dichiarazione. Se un atto possa qualificarsi quietanza e, quindi, confessione ai sensi dell’art. 2730 c.c., quando non contiene l’affermazione della intervenuta consegna del prezzo (il fatto). Se la Corte di Milano, in relazione alla verifica del contenuto intrinseco, confessorio o meno, della pretesa quietanza, ed in presenza di dissenso sul contenuto intrinseco da parte dei M., e’ venuta meno al dovere giuridico, ai sensi degli artt. 112, 113, 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, di esaminare il contenuto intrinseco dell’atto, trattandosi di fatto costitutivo del diritto o dell’eccezione dei convenuti S.L. e P.M.”.

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata e’ errata quando ha affermato l’esistenza di due quietanze, perche’ “tale affermazione si pone contraddittoriamente in contrasto con l’affermazione fatta dalla stessa sentenza che il pagamento e’ stato unico e precisamente alla data del 5 luglio 1999 e che anche l’operazione economica e’ stata u-nica. La quietanza contenuta nell’atto di vendita del 15 settembre 1999 rilasciata da S.L. alla moglie intanto e’ valida in quanto e’ valida quella da cui trae causa, cioe’ quella del 5 luglio 1999 essendo stato pagato il prezzo della vendita solo una volta in quest’ultima data, come afferma la stessa sentenza impugnata”. Il motivo si conclude con il quesito “se la sentenza impugnata ha compiuto violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quando ha affermato l’esistenza di due quietanze pur in presenza di ricostruzione del fatto dalla stessa operata secondo il quale l’operazione economica compiuta dalle parti e’ stata unica e il pagamento del prezzo della vendita e’ avvenuto solo in data 5 luglio 1999 e non in data 15 settembre 1999”.

3. – I motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.

E’ pacifico che, per dimostrare di avere corrisposto ai M. il pagamento del prezzo della vendita dell’immobile, lo S.L. ha prodotto una quietanza di data 5 luglio 1999, con la quale i M. “in relazione alla procura speciale conferita in data odierna al signor S.L.” dichiaravano “che, contrariamente a quanto risulta dalla procura suddetta, il mandatario sopra generalizzato e’ espressamente esonerato da ogni obbligo di rendiconto in relazione alla vendita di quanto ivi menzionato, essendo stati i mandanti saldati di ogni loro spettanza in relazione alla vendita di cui alla procura suddetta”.

Ai sensi dell’art. 2719 c.c., le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformita’ con l’originale (e’ attestata da pubblico ufficiale competente ovvero) non e’ espressamente disconosciuta.

Nella specie la Corte territoriale da atto che, in un primo momento, il difensore dei M., all’udienza del 3 ottobre 2001, procedette al disconoscimento della genuinita’ della copia della quietanza prodotta dallo S.L.; successivamente, con la memoria del 2 novembre 2001, lo stesso difensore dei M. dichiaro’ che la dichiarazione di quietanza era “frutto di errore”, precisando che “I sigg. M. non hanno letto ne’ prima ne’ dopo quanto sottoscritto; credevano, date le circostanze di tempo e di luogo (lo studio del notaio e l’occasione del conferimento del mandato) che la sottoscrizione servisse per uno dei documenti necessari per rilasciare la procura a S. per provvedere a sanare l’immobile per cui e’ causa; nessuno li ha informati preventivamente che trattasi di rilascio di una quietanza liberatoria ne’ il notaio ne’ la sua segretaria ne’ lo stesso S.L.”.

Tanto premesso in fatto, non v’e’ dubbio, in punto di diritto, che il disconoscimento di cui all’art. 2719 c.c. puo’ essere effettuato dal procuratore ad litem, non rientrando tra gli atti che implicano disposizione del diritto in contesa ed aventi natura negoziale sostanziale. Trattasi, invero, di atto processuale concernente la utilizzabilita’ della fotocopia come mezzo di prova che, percio’, e’ revocabile dallo stesso procuratore. Il disconoscimento, e la revoca di esso, fanno parte dei poteri processuali di gestione della lite conferiti, con la procura ad litem, al difensore (cfr. Cass., Sez. 1^, 5 ottobre 1990, n. 9829; Cass., Sez. 2^, 6 dicembre 2000, n. 15502).

Resta la valutazione che i giudici, nei due gradi di merito, hanno concordemente fatto della memoria depositata dal difensore dei M. in data 2 novembre 2001 come atto implicante la revoca del disconoscimento, in quanto comportante una manifestazione di volonta’ incompatibile con quella di mantenerlo fermo.

Trattasi di una valutazione effettuata con corretti criteri logici e pertanto insindacabile in questa sede.

Invero, con il disconoscimento del 3 ottobre 2001 s’intendeva negare la genuinita’ della copia; laddove le dichiarazioni contenute nella memoria del 2 novembre 2001 miravano a riconoscere che la quietanza prodotta in fotocopia dallo S.L., sebbene conforme all’originale, era stata sottoscritta dai M. per errore, senza averne preventivamente esaminato (o compreso) il contenuto;

tendevano, in altri termini, a dedurre un vizio nell’avere frainteso l’oggetto della dichiarazione, nel senso che essi non avevano l’intenzione di rilasciare una quietanza liberatoria come invece risultava dal tenore dell’atto.

La Corte d’appello ha non solo logicamente tratto la conclusione che le successiva memoria depositata dal difensore dei M. superava ormai il disconoscimento, da intendersi per cio’ revocato, posto che l’autenticita’ delle sottoscrizioni non aveva mai formato oggetto di contestazione e la conformita’ della fotocopia all’originale non era piu’ messa in discussione; ma ha anche escluso, con motivazione adeguata, che i M. non avevano dato la dimostrazione del lamentato errore di fatto in cui sarebbero incorsi nel rilascio della quietanza liberatoria, non avendo neppure articolato prove a sostegno del loro assunto, e correttamente affermato che la quietanza, rilasciata dai creditori al debitore allatto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto estintivo dell’obbli-gazione, secondo la previsione dell’art. 2735 c.c. e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verita’ del fatto stesso, essendo fatta valere nella controversia in cui sono parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti rispettivamente autori e destinatario di quella dichiarazione di scienza.

Cio’ stando, le censure articolate dai ricorrenti per un verso non colgono la ratio decidendi, perche’, da un lato, partono dal presupposto che la prova del pagamento del prezzo sarebbe stata raggiunta per presunzioni, laddove invece la Corte territoriale si e’ basata sulla quietanza scritta, affermando che essa attesta che in esecuzione del mandato lo S.L. consegno’ il corrispettivo ai M.; e, dall’altro, lamentano che sia stata data una indebita prevalenza a semplici ammissioni del procuratore rispetto all’intervenuto disconoscimento della fotocopia, mentre i giudici del gravame, mettendo a confronto la dichiarazione del difensore del 3 ottobre 2001 e la memoria dallo stesso presentata il successivo 2 novembre, hanno ragionato in termini di sostanziale revoca del disconoscimento della quietanza sotto l’asserito profilo della sua non conformita’ all’originale, attese le successive dichiarazioni rese dallo stesso difensore in termini di vizio della dichiarazione sotto il profilo dell’errore di fatto.

La’ dove, poi, i motivi prospettano un travisamento, ad opera della Corte d’appello, del contenuto letterale della quietanza, essi tendono in realta’ a contrapporre all’interpretazione che di essa ha dato, con congrua e logica motivazione, quel giudice rispetto a quella sostenuta e ritenuta esatta dai ricorrenti, e percio’ si risolvono in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione. A cio’ aggiungasi che la denuncia di un travisamento di fatto, che attenga, come nella specie, all’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione, ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, importando un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimita’ (Cass., Sez. Lav., 13 novembre 2006, n. 24166; Cass., Sez. 1^, 3 agosto 2007, n. 17057).

Ne’ e’ configurabile la dedotta erroneita’ e contraddittorieta’ della motivazione sul punto della esistenza di due diverse quietanze:

giacche’ la Corte territoriale ha sottolineato, con argomentazione esente da mende logiche e giuridiche, che le due quietanze (quella dei M. allo S.L. e quella dello S.L. alla P.M.), pur riguardando aspetti differenti della medesima operazione economica, sono in realta’ convergenti, perche’ la seconda, resa nel contesto dell’atto pubblico di compravendita del 15 settembre 1999, attesta che il versamento del prezzo da parte dell’acquirente al procuratore dei M. e’ avvenuto in data anteriore alla stipula dell’atto, e quindi non collide con il contenuto della quietanza rilasciata il 5 luglio 1999 dai M. al loro rappresentante.

4. – Con il quarto mezzo si chiede di “annullare la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1390, 1391, 1394 e 1439 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e comunque per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per omesso esame del motivo, motivazione mancante ed illogicita’ della decisione ex art. 360 c.p.c., n. 5”. Il quesito e’ “se la Corte milanese ha violato gli artt. 1390, 1391, 1394 e 1349 recte 1439 c.c., l’art. 112 c.p.c. e comunque se doveva, anche a seguito dell’affermazione della esistenza della prova del pagamento del pagamento del prezzo, esaminare la domanda di annullamento evidenziata con l’appena riferito motivo n. 4”.

4.1. – Il motivo e’ inammissibile.

Da un lato il vizio di omessa pronuncia su uno dei motivi di appello relativi alla richiesta di declaratoria di invalidita’ per conflitto di interessi e per dolo del contratto di vendita intercorso tra lo S.L., in veste di rappresentante dei M., e la P. M., e’ prospettato, inammissibilmente, come vizio di violazione e falsa applicazione di legge sostanziale e come vizio di motivazione.

Invero, per costante giurisprudenza (tra le tante, Sez. 3^, 19 gennaio 2007, n. 1196; Sez. 3^, 4 giugno 2007, n. 12952), l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attivita’ del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error In procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e della violazione dell’art. 112 c.p.c..

La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice di merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende inammissibile la censura (Cass., Sez. 1^, 27 gennaio 2006, n. 1755).

D’altra parte, il quesito che accompagna la deduzione del vizio in iudicando e’ manifestamente inidoneo.

Per costante orientamento (tra le tante, Cass., Sez. 1^, 22 giugno 2007, n. 14682), il quesito che il ricorrente e’ chiamato a formulare, per rispondere alle finalita’ dell’art. 366 bis c.p.c., deve esser tale da consentire l’individuazione del principio di diritto che e’ alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso. Se cosi non fosse, se cioe’ il quesito non risultasse finalizzato alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, o comunque non apparisse idoneo a conseguire tale risultato, cio’ vorrebbe dire o che esso non ha in realta’ alcuna attinenza con l’impugnazione e con le ragioni che la sorreggono o che la parte ricorrente non ha interesse a far valere quelle ragioni. Nell’uno come nell’altro caso non potrebbe non pervenirsi alla conclusione dell’inammissibilita’ del motivo di ricorso.

Nella fattispecie in esame il quesito sopra riferito non risponde a tali requisiti, perche’ esso si limita ad una mera elencazione delle disposizioni di legge che il giudice di merito avrebbe dovuto applicare, ma non evidenzia in alcun modo l’esistenza di un’eventuale discrasia tra la criticata ratio decidendo, ed un qualche principio giuridico che i ricorrenti vorrebbero invece fosse posto a fondamento di una decisione diversa.

In ogni caso, tutta la complessiva censura muove dall’erroneo presupposto che “alla pretesa quietanza del 5 luglio 1999 non corrisponde alcun pagamento del prezzo”, quando invece la Corte d’appello ha affermato l’esatto contrario, che, cioe’, “in esecuzione del mandato S.L. consegno’ il corrispettivo ai M. come da questi attestato nella dichiarazione di quietanza”.

5. – I ricorrenti, con il quinto motivo, chiedono: “dichiarare, ove ve ne fosse bisogno, nullo il presunto ed inesistente contratto di vendita tra i sigg. M. e S.L. per assenza totale di forma ad substantiam e per violazione dell’art. 1325 c.c.. In conseguenza dichiarare nullo, ove ve ne fosse bisogno, il contratto di vendita fatto da S.L. alla moglie P.M.”. Il quesito che conclude il motivo e’ il seguente: “Se il giudice di primo grado puo’ rilevare d’ufficio la mutatio libelli, fermo restando che l’art. 345 c.p.c. vieta di proporre domande nuove domande e di rilevarlo d’ufficio solo in appello. Se il giudice d’appello ha commesso errore in procedendo allorquando ha affermato che e’ corretta la decisione del Tribunale in ordine alla declaratoria d’ufficio della inammissibilita’ del motivo n. 5 proposto in primo grado con la precisazione delle conclusioni e qui riprodotto con il motivo n. 5”.

5.1. – Il motivo e’ infondato, perche’, al di la’ dell’improprio riferimento compiuto dalla Corte d’appello all’art. 345 c.p.c. per giustificare una inammissibilita’ discendente da novita’ della domanda rilevata d’ufficio dal giudice di primo grado, la sentenza impugnata e’, nondimeno, conforme al diritto.

Infatti, nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 c.p.c., introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, la questione della novita’ della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilita’ delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo l’intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano – in quanto espressione di un interesse pubblico – l’ampliamento successivo del thema decidendi anche se su di esso si venga a registrare il consenso della controparte (Cass., Sez. 3^, 11 maggio 2005, n. 9875; Cass., Sez. 3^, 27 luglio 2006, n. 17152; Cass., Sez. 1^, 13 dicembre 2006, n. 26691).

6. – Il ricorso e’ rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida, in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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