Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7305 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. II, 26/03/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 26/03/2010), n.7305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato CHIOZZA

ANNA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLEMENTI

GIUSEPPE, FEDERICA SEVERINO, CLEMENTI PIETRO, TOLENTINATI MAURIZIO,

CAMPOSTRINI PAOLA, BERNARDINO CLEMENTI;

– ricorrente –

contro

C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI PAOLO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO CUGOLA;

– controricorrente –

e contro

CASA ITALIANA SRL in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 752/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;

udito l’Avvocato CHIOZZA Anna, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CALVETTA Domenico con delega dell’Avvocato PANARITI

Paolo, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 13.1.2000 C.E. conveniva in giudizio avanti al tribunale di Brescia, A.F. e la Casa Italia srl, deducendo di avere con lei stipulato la scrittura privata del (OMISSIS) con la quale aveva promesso di vendere alla convenuta l’immobile di sua proprietà posto in (OMISSIS), in cambio di una somma di danaro ed in permuta di un appartamento sito in montagna, al passo del (OMISSIS). Poichè in seguito aveva appreso dalla stessa convenuta che tale immobile non era di sua proprietà, ma della soc. Casa Italia srl che si era impegnata a trasferirlo direttamente ad essa attrice, si era indotta a concludere due preliminari, uno con la stessa A., relativo all’immobile di (OMISSIS) e l’altro con la predetta società, riguardante l’appartamento della montagna, nel quale atto si dava come quietanzata una somma mai versata, che rappresentava la differenza con la somma concordata per il trasferimento della casa di (OMISSIS). Tale ultimo immobile veniva quindi da lei trasferito all’ A. con rogito notarile del (OMISSIS), mentre a lei erano state consegnate le chiavi dell’appartamento della montagna, il cui rogito doveva essere stipulato entro il 31.12.1999.

Successivamente aveva però scoperto che tale immobile era occupato da terzi che si erano qualificati proprietari e che lo stesso non apparteneva in realtà alla srl Casa italia, ma bensì ad altra società, la soc. Del Duca, che però ne aveva subordinato il trasferimento al versamento di un ulteriori L. 90 milioni. Tutto ciò premesso chiedeva l’attrice la declaratoria di risoluzione dei suddetti preliminari e del contratto definitivo concluso con le convenute, con la condanna dell’ A. a restituirle l’immobile di (OMISSIS), ed a risarcirle i danni che indicava in L. 120 milioni.

L’ A., costituendosi, rilevava che il preliminare relativo alla casa de (OMISSIS) era stato stipulato direttamente con la Casa Italia, per cui l’eventuale inadempimento era ascrivibile solo a quest’ultima quale unica promittente venditrice; aggiungeva poi che il rogito riguardante la casa di (OMISSIS) era stato stipulato dall’attrice pur sapendo che l’immobile della montagna non era di proprietà della predetta società. Concludeva quindi per il rigetto della domanda attrice e chiedendo il risarcimento dei danni scaturenti dalla trascrizione dell’atto di citazione. Rimaneva contumace la srl Casa Italia. Sull’eccezione d’incompetenza per territorio sollevata dall’ A., il giudizio veniva poi riassunto avanti il competente il tribunale di Verona; previa istruzione della causa, il tribunale adito, con la sentenza n. 1516/04 depos. in data 26.4.2004, dichiarava risolto per inadempimento di Casa Italia il contratto preliminare con essa concluso il (OMISSIS) ma rigettava tutte le domande proposte dall’attrice contro l’ A., disponendo la cancellazione della trascrizione della citazione relativa all’immobile di (OMISSIS) e condannando la C. al pagamento in favore dell’ A. della somma di Euro 10.000,00, oltre interessi, per danni conseguenti alla trascrizione di tale atto. Secondo il tribunale non esisteva un collegamento negoziale tra i vari contratti stipulati dalle parti, per la mancanza di una clausola che esplicitasse il sinallagma tra le cessioni dei due appartamenti avendo le contraenti adottato, nel corso delle trattative, strumenti contrattuali distinti ed autonomi;

che le obbligazioni assunte con il preliminare sottoscritto dalla C. e dall’ A. erano state adempiute con la stipula del definitivo; mentre la mancata vendita dell’immobile a passo (OMISSIS) non era imputabile all’ A. che non aveva assunto alcun obbligo di trasferirlo alla C.. Avverso la predetta sentenza quest’ultima proponeva appello sottolineando la sussistenza di un collegamento tra le operazioni concluse dalle parti e i negozi riguardanti i due immobili. Si costituiva l’appellata A. chiedendo il rigetto del gravame e avanzando appello incidentale con riguardo al quantum dei danni risarciti in suo favore.

La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza parziale n. 752/08 depos. in data 28 maggio 2008, dichiarava risolta, per inadempimento dell’ A., l’originaria convenzione del 28.3.99 e conseguentemente anche i successivi preliminari del (OMISSIS), nonchè il contratto definitivo di vendita del (OMISSIS), perchè ritenuti attuativi dell’originario accordo de (OMISSIS);

condannava l’ A. a riconsegnare l’immobile di (OMISSIS) alla C., ingiungendo altresì a quest’ultima di restituire alla prima ex art. 1458 c.c. il prezzo di compravendita e le rate del mutuo accollate e pagate per complessivi Euro 90.396,27; rimetteva la causa sul ruolo per la quantificazione, tramite CTU, dei danni lamentati dalla C. a causa della mancata disponibilità dell’immobile di passo (OMISSIS). Per la cassazione di tale pronuncia, propone ricorso l’ A. sulla base di 18 censure, illustrate da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso la C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente rileva il Collegio che il presente ricorso per Cassazione non è stato ritualmente notificato alla srl Casa Italia;

la questione però non ha rilevo ai fini dell’eventuale integrazione del contraddittorio, atteso che detta società risulta cancellata dal registro delle imprese fin dal 18.10.2007. Al riguardo, le S.U. con la recentissima decisione n. 4060 del 22.2.2010 risolvendo un precedente conflitto giurisprudenziale, nel sottolineare che dopo la riforma del diritto societario del 2003, la società si estingue senz’altro con la cancellazione, hanno ribadito che dopo tale evento non vi può essere alcuna forma di prosecuzione della capacità giuridica e della soggettività sia pure attenuata delle società in questione.

Ciò posto e passando all’esame dei motivi del ricorso, si osserva che, con un primo gruppo delle censure, l’esponente sottopone a questo Collegio la decisiva questione dell’esistenza o meno de collegamento negoziale tra i vari contratti stipulati dalle parti. E precisamente con il primo, il 2 ed il 3 motivo la ricorrente, denunciando un vizio di motivazione, sostiene che l’avvenuta distruzione del 1 contratto (del (OMISSIS)) in occasione della stipula dei nuovi accordi e la restituzione della caparra di L. 10.000.000 che la C. aveva ricevuta all’ A. in esecuzione della convenzione stessa, sarebbero indice della volontà novativa delle parti nei successivi contratti da essi stipulati. Si sostiene in particolare (con il 3 motivo) che la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alle deposizioni su tali fatti rese dei testi Ca. (marito dell’ A.) e dall’ Al. (agente immobiliare), deposizioni che però non sono state integralmente riportate in ricorso, contravvenendo al principio di autosufficienza.

Le censure non sono fondate.

Non è invero ravvisabile alcun vizio di motivazione; la corte territoriale al riguardo ha stabilito, con motivazione congrua ed immune da vizi, che i contratti successivi alla prima convezione del 28.3.99, avevano funzione attuativa della convenzione stessa; a tal fine ha adeguatamente vagliato anche le dichiarazioni dei testi suddetti, pur non essendo obbligata a prendere in esame ciascuno degli argomenti dedotti dalle parti a sostegno della rispettive tesi.

Peraltro la controricorrente ha spiegato che il fatto in questione – cioè la distruzione di una copia del contratto – si spiegherebbe agevolmente con l’intenzione delle parti di non lasciarne traccia ai fini fiscali ma non varrebbe come indizio di alcuna volontà di novazione. Si ricorda a questo proposito che secondo la S.C., vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione non sussiste quando nella motivazione, sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa, senza però che il giudice abbia l’obbligo di esaminare tutti gli argomenti logici e giuridici prospettati dalle parti per sostenere le loro domande ed eccezioni (Cass. n. 11193 del 15/05/2007).

Passando all’esame congiunto dei connessi motivi 4^, il 5^ e il 6^, si rileva che con dette censure la ricorrente denuncia l’omessa motivazione in ordine alla natura di contratto definitivo o preliminare della convenzione del 28.3.99, rilevando che, ove tale contratto fosse stato ritenuto definitivo, esso non avrebbe potuto essere attuativo – come sostiene la Corte territoriale – di successivi preliminari se non tramite effetto novativo. La convenzione del 28.3.99 sarebbe in realtà un contratto definitivo (traslativo della proprietà degli immobili, come ritenuto dal tribunale) che come tale non poteva essere attuato con i due successivi contratti preliminari, ma solo estinto o novato e sostituito dai predetti successivi negozi. Si deduce ancora, al riguardo, l’incompatibilità dei vari atti ad essere considerati unitariamente; incompatibilità della prima convenzione con i contratti successivi, sia per quanto concerne il loro contenuto che le condizioni economiche in essi previste (in cui erano stati modificati, tra l’altro, anche i prezzi degli immobili). La corte veneziana non avrebbe adeguatamente motivato sull’esistenza di siffatto collegamento tra i contratti per escludere l’autonomia degli atti in esame.

Anche tali censure non hanno pregio, richiamate in proposito le argomentazione sopra svolte. Il giudice d’appello in realtà ha ampiamente motivato il proprio assunto di ritenere sussistente il collegamento negoziale fra i vari atti ( v. sentenza pag. 14 – 15), non trascurando di adeguatamente valutare anche tali riscontrate differenze di contenuto, ritenendole però solo marginali e non significativi.

La Corte peraltro, solo all’esito di tale completa disamina, ha considerato ininfluente ogni ulteriore indagine sulla natura meramente formale del primo contratto del (OMISSIS). Ha puntualmente evidenziato, invero, “…che l’atto del (OMISSIS) denominato convenzione privata configurante l’assetto negoziale finale che le parti intendevano conseguire non è stato sostituito ma attuato con le successive pattuizioni che ove correttamente adempiute da tutte le parti, avrebbero portato all’attuazione dell’assetto patrimoniale voluto e perseguito appunto con la detta iniziale pattuizione”.

Con il 9 e 10 motivo, congiuntamente esaminati, la ricorrente denuncia altro vizio di motivazione in quanto sarebbe erroneo, ritenere – come ha fatto la Corte veneziana – che vi fosse “una perdurante validità ed efficacia della convenzione 28.3.99” per cui cadendo tale presupposto sarebbe carente il ragionamento seguito;

parimenti il giudice a quo non avrebbe adeguatamente considerato, per escludere l’esistenza di un collegamento tra i vari contratti, che la soc. Casa Italia non avrebbe potuto esser partecipe al nesso teleologico tra i negozi, per non avere preso parte alla 1A convenzione a cui era rimasta del tutto estranea. Anche dette doglianze sono prive di fondamento. Va ribadito che la Corte territoriale ha spiegato (v. pag. 14 – 16 sentenza) in modo diffuso e convincente che invece era pacifico e provato l’esistenza del collegamento negoziale tra tutte le parti. Era infatti evidente che esse si muovevano secondo un disegno unitario che vedeva da un lato la C. e Casa Italia cedere gli immobili all’ A. ed in mezzo la stessa A. che li ritrasferiva evitando in tal modo il doppio passaggio di proprietà ed i maggiori aggravi fiscali conseguenti. Quest’ultima era ben conscia di non essere proprietaria dell’immobile del (OMISSIS), ma aveva consegnato alla C. le chiavi del predetto appartamento, dimostrando così di averne la disponibilità, con il consenso, evidentemente, della stessa società Casa Italia che dunque era partecipe all’intera operazione di vendita.

Passando all’esame delle connesse censure 12A e 13A (violazione degli artt. 1350 e 1351 c.c.) con esse si sostiene, in particolare, che il collegamento negoziale tra i contratti in parola doveva emergere in modo esplicito dal tenore degli stessi, trattandosi di negozi soggetti a forma scritta ad substantiam in quanto relativi a trasferimenti immobiliari; e che i due contratti successivi all’originaria convenzione, non erano stati stipulati contestualmente, ma a qualche giorno di distanza l’uno dall’altro ciò che proverebbe lo “scollegamento” tra le vendite dei due appartamenti.

Entrambe le suddette doglianze non hanno pregio.

La corte territoriale ha invero evidenziato, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, che anche gli elementi testuali, presenti negli stessi atti, consentono invece di ritenere l’esistenza del collegamento negoziale in esame, rilevando altresì che il nesso causale può essere espresso anche in forma tacita. Invero la S.C. ha ribadito, che ” il collegamento negoziale non da luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, il criterio distintivo tra contratto unico e contratto collegato non è dato da elementi formali, quali l’unità o pluralità dei documenti contrattuali, o dalla contestualità delle stipulazioni, bensì dall’elemento sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti.

Accertare se vi è un solo contratto o una pluralità di contratti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Cass. Sez. 3, n. 11240 del 18/07/2003 ; Cass. Sez. 2, n. 8844 del 28/06/2001).

Ai fini della sussistenza del requisito della forma scritta nei contratti, questa Corte ha evidenziato che ” non occorre che la volontà negoziale sia manifestata dai contraenti contestualmente e in un unico documento, dovendosi ritenere il contratto perfezionato anche qualora le sottoscrizioni siano contenute in documenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora, sulla base di una valutazione rimessa al giudice di merito, si accerti che il secondo documento è inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo” (Cass. n. 3088 del 13/02/2007).

Tali conclusioni comportano l’assorbimento delle censure 7 e 8 con cui esponente esamina ancora la questione della natura del 1^ contratto e della asserita natura novativa dei successivi negozi. E precisamente con il 7 motivo si deduce la violazione dell’art. 1453 c.c.” per avere la Corte ritenuto risolvibile un contratto novato e perciò estinto dagli originari contraenti prima della sua esecuzione da parte dei contraenti stessi”; con l’8^ motivo si denunzia un error in procedendo (violazione dell’art. 112 c.p.c.) in quanto “una volta accertato come non risolvibile per inadempimento dell’ A. la convezione privata del 28.3.99, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rigettare tout court ed a priori anche la domanda della C. di risoluzione dei contratti successivi in quanto formulata dalla C. solo in via meramente consequenziale all’avvenuta pronuncia di risoluzione dell’originaria convenzione privata 28.3.99″. Invero la Corte fiorentina – come si è visto – non ha mai affermato la risolvibilità di una contratto già novato, ma ha dichiarato al contrario che non vi era stata alcuna novazione per cui i contratti erano stati risolti. Sotto tale profilo si osserva altresì che i quesiti di diritto enunciati nel ricorso sono del tutto inconferenti.

Passando all’esame congiunto dei connessi motivi 11, 14, 15, 16, 18, con essi l’esponente esamina la questione della sussistenza dell’inadempimento dell’ A. e della sua gravità. E precisamente, con l’11^ motivo sottolinea come la C. al momento della stipula dell’atto di vendita del suo immobile del lago, era a conoscenza delle difficoltà insorte per l’acquisto della casa del (OMISSIS) e le problematiche relative all’intestazione della stessa peraltro non vi sarebbe alcuna prova che l’ A. avesse fornito alla C. assicurazioni circa il buon fine della vendita della casa del (OMISSIS).

Anche tale specifica questione è stata esaminata dalla corte territoriale che ha correttamente rilevato come tale circostanza ” se costituisce comportamento indicativo di un evidente mal riposto affidamento della C. in ordine al rispetto da parte dell’ A. delle obbligazioni assunte nei suoi confronti, non è certamente valorizzabile a conferma dell’insussistenza del collegamento tra i vari negozi”. Con il 15^ motivo si sostiene che la corte non avrebbe dovuto dichiarare la risoluzione del contratto relativo alla casa di (OMISSIS), ma limitarsi a condannare l’ A. al solo pagamento di una somma pari alla parte di prezzo non coperta dal trasferimento dell’immobile di Passo (OMISSIS). Con il successivo 16 motivo (violazione dell’art. 1453 c.c., comma 3) si sottolinea comunque il carattere non grave del dedotto inadempimento.

Si assume, in specie, che l’azione di risoluzione è stata proposta solo pochi giorni dopo lo spirare del termine (non essenziale) previsto per la stipula dell’immobile del Tonale, per cui la società Casa Italia, anche volendo, non avrebbe potuto più adempiere la propria obbligazione (art. 1453 c.c.) ; che non sussisteva dunque alcun inadempimento di Casa Italia e che in ogni caso esso non poteva ritenersi grave.

Con il 18 motivo del ricorso (violazione artt. 1478 e 1479 c.c.) si sostiene che, per effetto dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto, l’ A., non poteva essere condannata al risarcimento del danno, ma solo, al massimo, alla restituzione dell’immobile alla C.. Il relativo inadempimento non era ascrivibile all’ A. ma solo alla soc. Casa Italia.

Le suesposte censure sono infondate. La questione della configurabilità dell’inadempimento e della sua gravità sono state ampiamente esaminate ed adeguatamente valutate dalla Corte con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, come tale incensurabile in questo giudizio di legittimità: Anche i quesiti di diritto (censure 16 e 18) per converso sono del tutto sono inconferenti. E’ stato al riguardo sottolineato che era stata l’ A. a proporre alla C. l’acquisito della casa di montagna, promettendole, inoltre, di farle conseguire la proprietà dello stesso; il rischio del mancato trasferimento dunque gravava solo sull’ A..

Occorre ancora esaminare il 14 motivo (violazione di legge art. 1267 c.c.) con il quale si sostiene che l’ A. era titolare del c.d.

“diritto d’intestazione” della casa del (OMISSIS) che le sarebbe derivato (non si precisa in qual modo) dal proprio marito (al quale tale appartamento sarebbe stato offerto dalla srl Casa Italia in cambio, pare, di attività pubblicitaria da lui svolte in favore della stessa). Si sostiene come essa A. in realtà si fosse limitata a cedere alla C. tale suo diritto d’intestazione, per cui, nella fattispecie, troverebbe applicazione l’art. 1267 c.c., secondo cui il cedente di un credito non risponde della solvenza del debitore ceduto.

La doglianza, è chiaramente inconferente oltre che priva di autosufficienza. Infatti questo ipotetico ed imprecisato “diritto di intestazione” farebbe capo a quanto pare non all’ A. ma al di lei marito, il Ca., che è persona estranea (almeno formalmente) ai contratti in questione. D’altra pare è pacifico che l’ A. con il preliminare del marzo 1999 aveva ceduto alla C., non un credito, ma la proprietà dell’immobile di passo del (OMISSIS).

Quanto infine al restante 17 motivo (violazione dell’art. 96 c.p.c.) lo stesso deve ritenersi assorbito, essendo stati rigettati tutti gli altri motivi del ricorso.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4000,00 per onorario, oltre spese ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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