Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7305 del 23/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 23/03/2018, (ud. 05/12/2017, dep.23/03/2018),  n. 7305

Fatto

1. La Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento, che aveva respinto la domanda proposta da A.G. nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dell’Ufficio scolastico provinciale di Agrigento diretta a far accertare l’illegittimità del licenziamento senza preavviso irrogato al ricorrente all’esito di procedimento disciplinare.

2. L’Amministrazione datrice di lavoro aveva irrogato tale sanzione in data 26 novembre 2012, in applicazione dell’art. 95, comma 8, lett. c) del CCNL Scuola, a seguito della condanna riportata dall’ A. in sede penale alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione per i reati di detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. L’episodio aveva avuto luogo in data (OMISSIS) allorquando l’appellante, per non meglio precisati diverbi originati in ambiente familiare, si era munito di una pistola con la quale aveva esploso alcuni colpi all’indirizzo di M.A., uccidendolo. La Corte di assise di appello di Palermo aveva ritenuto che la peculiarità delle circostanze e dei motivi a delinquere del prevenuto fossero tali da concretare la sussistenza di una causa di giustificazione e precisamente della legittima difesa, per cui aveva assolto l’ A. dalla più grave accusa di omicidio, condannandolo per il reato di detenzione e porto abusivo di arma da fuoco.

2.1. L’ A. aveva impugnato il licenziamento sostenendo che il Ministero si era sottratto al doveroso compito di valutare la gravità in concreto della condotta, avendo la stessa Corte di assise d’appello riconosciuto come giustificabile l’essere uscito di casa armato, a causa della grave minaccia incombente sulla stessa persona del ricorrente.

2.2. Il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Palermo aveva rigettato il ricorso, osservando che l’art. 95, comma 8, lett. c) del CCNL, recante rinvio all’ipotesi delittuosa in esame quale giusta causa di licenziamento, non lasciasse all’interprete alcun margine di apprezzamento circa la gravità del fatto, alla stregua della valutazione astratta operata dalle stesse parti sociali.

3. La Corte di appello di Palermo, nel rigettare il gravame, pur convenendo sulla necessità che venga formulato un giudizio di proporzionalità della sanzione anche nel caso in cui la condotta sia tipizzata dalle parti sociali come suscettibile di sanzione espulsiva, ha ritenuto che tale giudizio di gravità fosse sotteso alla contestazione mossa dall’Ufficio Scolastico e che tale apprezzamento fosse condivisibile alla stregua dei connotati oggettivi e soggettivi della fattispecie. Ha osservato, infatti, che “nella concreta dinamica dei fatti ascritti al ricorrente, reo di aver detenuto una pistola senza autorizzazione, di averla portata all’esterno della propria abitazione, consapevole della possibilità di utilizzarla anche al solo scopo di difendersi dall’altrui minaccia, è plausibile cogliere i connotati di una personalità capace a destare allarme sociale e indiscutibilmente inadeguata a preservare il vincolo fiduciario con il proprio datore di lavoro, tanto più nel contesto di una funzione educativa rivolta a soggetti minori di età, cui il ricorrente era istituzionalmente chiamato a collaborare”, nella sua veste di collaboratore scolastico in servizio presso l’Istituto Comprensivo “(OMISSIS)” di (OMISSIS). Ha poi affermato che non poteva valere a ridimensionare la gravità della condotta la circostanza dell’avvenuta assoluzione dal più grave reato di omicidio per “incidenza della scriminante della legittima difesa, avuto riguardo alle concrete modalità della condotta e all’intensità dell’elemento intenzionale emergente dalla circostanza processualmente accertata dell’avvenuta esplosione di ben sette colpi di arma da fuoco”.

4. Per la cassazione di tale sentenza A.G. propone ricorso affidato a tre motivi (erroneamente rubricati come quattro).

5. Quanto all’instaurazione del contraddittorio nel giudizio di legittimità, deve rilevarsi la nullità della notifica del ricorso eseguita presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato; a fronte di tale nullità, è ammissibile la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 1, (ex plurimis, Cass.. S.U. n. 608 del 2015, nonchè Cass. nn. 19702 e 9411 del 2011, n.22767 del 2013, n. 22079 del 2014, n. 710 del 2016).

5.1. Tuttavia, poichè il ricorso deve essere respinto per le ragioni che verranno di seguito esposte, l’esigenza di speditezza nella definizione del giudizio giustifica l’omissione degli adempimenti funzionali alla regolarizzazione del contraddittorio, i quali implicherebbero un prolungamento dei tempi processuali senza alcuna incidenza sull’esito del giudizio medesimo. 5.2. Trova difatti applicazione il principio, affermato da questa Corte, secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass. n. 15106 del 2013; Sezioni Unite, n. 23542 del 2015).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 96, comma 5, CCNL comparto Scuola del 20 novembre 2007, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che la sanzione prevista dall’art. 95, come conseguenza delle condanne penali citate nei commi 7, lett. f), e 8 lett. c) e d), non ha carattere automatico e che vi è un obbligo da parte dell’Ufficio scolastico, nel procedimento di licenziamento, di esprimere apprezzamenti di merito sulla condotta del dipendente; censura altresì la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. per avere la Corte d’appello confermato una decisione fondata sul mero rilievo della riconducibilità della fattispecie alla anzidetta previsione contrattuale, senza indagare sulla gravità dei fatti ascritti.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 95, comma 8, lett. c) CCNL per avere la sentenza impugnata interpretato la fattispecie astratta senza esaminare l’intero contesto normativo nel quale la previsione è stata inserita senza considerare che lo stesso art. 95, comma 1, imponeva di valutare in concreto e non in astratto le ragioni che avrebbero potuto giustificare il venir meno del rapporto fiduciario.

3. Il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 93 CCNL nella parte in cui prescrive che “l’Ufficio deve dare conto delle giustificazioni addotte dal dipendente”, censura la sentenza per avere omesso di considerare che l’Ufficio scolastico, nel provvedimento di irrogazione della sanzione espulsiva, non aveva dato atto delle difese spiegate dal ricorrente nell’ambito del procedimento disciplinare e tale vizio inficiava radicalmente il provvedimento espulsivo; deduce che l’Amministrazione non poteva esimersi dall’obbligo motivazionale, che doveva essere rapportato alle difese del dipendente.

4. I primi due motivi di ricorso sono infondati e il terzo inammissibile.

5. Innanzitutto, il primo motivo, nella parte in cui allude alla circostanza che la sentenza di appello si sarebbe limitata a confermare un giudizio espresso nella sentenza di primo grado, trascura di considerare che la sentenza di appello ha carattere sostitutivo di quella di primo grado, per cui, ove pure il primo giudice non avesse espresso (come sostenuto dal ricorrente) alcuna valutazione di gravità nel caso concreto della condotta ascritta siccome riconducibile a fattispecie tipizzata dalle parti sociali, ciò nondimeno tale giudizio è stato chiaramente espresso dalla Corte di appello nella motivazione della sentenza ora impugnata, da ritenere dunque sostitutiva di quella posta a fondamento del decisum del primo giudice.

5.1. E’ principio consolidato che la sentenza di appello si sostituisce alla sentenza impugnata nei casi di conferma o di riforma per cui ha per oggetto il contenuto della pretesa sostanziale dedotta in giudizio e non l’operato del giudice (Cass. n. 7537 del 2009); poichè l’appello ha carattere sostitutivo, la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto della sentenza di primo grado (Cass. n. 16934 del 2013, n. 8575 del 2015).

6. Tanto premesso, va osservato che l’art. 96, comma 5, CCNL Scuola del 29.11.2007 prevede che “L’applicazione della sanzione prevista dall’art. 95, come conseguenza delle condanne penali citate nei commi 7, lett. f) e 8, lett. c) e d), non ha carattere automatico, essendo correlata all’esperimento del procedimento disciplinare, salvo quanto previsto dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 2”. Non è controverso in giudizio che la sanzione sia stata irrogata all’ A. a seguito di procedimento disciplinare e non quale effetto automatico della condanna penale.

7. Quanto al giudizio di gravità, la Corte territoriale ha evidenziato i seguenti elementi di fatto: a) l’essere il ricorrente un collaboratore scolastico presso un istituto comprensivo, svolgente mansioni correlate, in quanto strumentali, a quelle propriamente educative nei confronti di minori di età; b) l’idoneità della condotta a destare allarme sociale, atteso che l’arma era detenuta senza autorizzazione ed era stata portata dal ricorrente all’esterno della propria abitazione, con la consapevolezza della possibilità di utilizzarla, come poi era avvenuto. Alla stregua di tali fattori, ha confermato il giudizio di lesione irreparabile del vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.

7.1. Trattasi, all’evidenza, di un giudizio riconducibile alla “giusta causa” di recesso, rispetto al quale giova ribadire quale sia il controllo di legittimità sul giudizio di merito operato su c.d. norme elastiche.

8. Il giudizio espresso dal giudice di merito consiste nell’esprimere il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica (che, per la sua stessa struttura, si limita ad esprimere un parametro generale); in questo caso, il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa, dando concretezza a quella parte mobile (elastica) della stessa, introdotta per consentire alla norma stessa di adeguarsi ai mutamenti del contesto storico-sociale (cfr. ex plurimis, Cass. n. 5095 del 2011, 8017 del 2006, n. 7838 del 2005, n. 8254 del 2004).

8.1. Tenuto conto del tradizionale criterio distintivo tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità, l’applicazione delle norme elastiche non può essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto, mentre rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 3, nei casi in cui gli “standards” valutativi sulla cui base è stata definita la controversia finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, ed infine anche nei casi in cui i suddetti “standards” valutativi si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente (Cass. n. 16037 del 2004).

8.2. Nel caso in esame, il ricorso per cassazione non verte sulla violazione di “standard” valutativi, neppure indicati dall’attuale ricorrente, che il giudice di merito avrebbe erroneamente applicato nell’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, ma – più semplicemente – esso investe l’apprezzamento della gravità dei fatti, che costituisce un giudizio esclusivamente di merito.

9. E’ infine inammissibile la censura secondo cui il procedimento disciplinare sarebbe viziato per non avere il competente ufficio debitamente motivato in ordine alle difese addotte dal ricorrente in sede di manifestazione delle proprie discolpe. Il ricorrente richiama l’art. 93, comma 7, CCNL secondo cui “l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari sulla base degli accertamenti effettuati e delle giustificazioni addotte dal dipendente, irroga la sanzione applicabile tra quelle indicate al comma 1”.

9.1. Tuttavia, la questione, che verte su un (ipotizzato) vizio del procedimento disciplinare, è questione nuova e come tale inammissibile. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c. del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (ex plurimis, Cass. n. 23675 del 2013, n. 324 del 2007, nn. 230 e 3664 del 2006). Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass. n. 4787 del 2012).

9.2. Nel caso in esame, la sentenza di appello non evidenzia la proposizione di un motivo di gravame specificamente vertente su vizi del procedimento disciplinare, nè dal ricorso per cassazione risulta se ed in quali termini la questione (nei termini in cui è stata formulata con il terzo motivo) fosse stata sollevata in primo grado e riproposta in appello.

10. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio, non essendovi attività difensiva del M.I.U.R. e dell’Ufficio Scolastico provinciale di Agrigento.

11. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2018

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