Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7304 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 16/03/2021), n.7304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16232-2014 proposto da:

M.F., T.L., PRATA SRL, P.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 19,

presso lo studio dell’avvocato MICHELINO LUISE, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FLAVIO MATTIUZZO, FABRIZIA MOZZATO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS), FALLIMENTO

(OMISSIS) SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 94/2013 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 18/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. MARIA ELENA MELE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Il Fallimento della società (OMISSIS) srl agiva in revocatoria nei confronti dei due acquirenti di distinti immobili loro ceduti con due atti di compravendita da M.A..

Il Tribunale di Udine, con unica sentenza, accertava la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria dichiarando inefficaci nei suoi confronti i due atti di compravendita. La sentenza condannava, altresì, la M., a seguito del vittorioso espletamento dell’azione esecutiva, a restituire agli acquirenti la somma di Euro 522.000,00, di cui Euro 276.000,00 in favore di Prata srl e di Euro 246.000,00 in favore di M.F. corrispondenti al prezzo da essi rispettivamente pagato per le compravendite.

In relazione a tale sentenza, l’Agenzia delle entrate emetteva distinti avvisi di accertamento liquidando l’imposta di registro, D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, parte I, ex art. 8, lett. b), nella misura di Euro 15.693,72, calcolata sulla base imponibile di Euro 522.000,00.

Gli acquirenti e il Fallimento impugnavano detto avviso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Udine che accoglieva il ricorso con sentenza che veniva riformata in appello dalla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia con sentenza n. 94/1013, emessa il 25.9.2013 e depositata il 18.12.2013 non notificata.

Avverso tale pronuncia i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. L’Agenzia resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, parte I, art. 8, lett. e) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La CTR avrebbe erroneamente ricondotto la sentenza revocatoria all’ipotesi di cui alla Tariffa, art. 8, lett. b), recando essa la condanna alla restituzione degli immobili, mentre tale statuizione sarebbe accessoria rispetto a quella che ha revocato le compravendite, avendo effetto puramente ripristinatorio della situazione anteriore. La fattispecie rientrerebbe piuttosto nella previsione del TUIR, tariffa allegata, art. 8, lett. e), con applicazione dell’imposta in misura fissa.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 1, e art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 avendo la sentenza impugnata confermato la liquidazione di imposta effettuata in maniera indistinta e solidale nei confronti dei ricorrenti, pur contenendo la sentenza tassata statuizioni distinte in relazione ai due diversi contratti di compravendita.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la CTR non avrebbe considerato che le condanne alle restituzioni contenute nella decisione del giudice civile erano sottoposte alla condizione sospensiva del vittorioso esito dell’azione esecutiva da parte del Fallimento (OMISSIS) sui beni oggetto delle compravendite e non avevano pertanto effetto immediato. Pertanto l’imposta avrebbe dovuto essere applicata in misura fissa.

Il primo motivo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono fondati.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, parte prima, art. 8, assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente un giudizio, prevedendo le fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa e quelle in cui è dovuta in misura proporzionale.

In particolare, ai sensi della lett. a), sono soggetti alle stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti, i provvedimenti “recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti”; ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; la lett. e), assoggetta ad imposta fissa quelli “che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorchè portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto”.

Nel caso di specie, la sentenza sottoposta a registrazione, in accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare, ha dichiarato inefficaci nei confronti del Fallimento (OMISSIS) srl i due contratti di compravendita conclusi con distinti acquirenti e ha condannato la venditrice, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione esecutiva da parte del Fallimento sui beni oggetto dei contratti di compravendita, a restituire l’importo del prezzo convenuto e pagato da ciascuno degli acquirenti.

Costituisce principio ripetutamente enunciato da questa Corte quello per cui il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria (ordinaria o) fallimentare del negozio stipulato dal debitore poi fallito non determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, nè alcun effetto direttamente traslativo nei confronti dei creditori, bensì soltanto l’inefficacia dell’atto rispetto ai creditori procedenti, rendendo il bene alienato, o comunque oggetto di atti dispositivi, assoggettabile all’azione esecutiva, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l’avvenuta disposizione (ex multis Cass., Sez. 5, n. 31277 del 2018, Rv. 651775-01; Cass. Sez. 1, n. 17590 del 2005; Cass. Sez. 1, n. 8419 del 2000; Cass. Sez. 1, n. 8962 del 1997; Cass. Sez. 3, n. 2154 del 1984).

Tale conclusione non muta per effetto della circostanza che la sentenza reca anche la condanna alla restituzione del prezzo pagato dagli acquirenti, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione esecutiva da parte del Fallimento sui beni oggetto delle compravendite.

Infatti, a differenza che nell’azione revocatoria ordinaria, l’accoglimento della revocatoria fallimentare si inserisce in una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori e l’acquisizione del bene revocato alla massa attiva della procedura non ne comporta, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia generale dei creditori sancita dall’art. 2740 c.c., a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa (Cass., Sez. 5, n. 31277 del 2018; Cass., Sez. 1, n. 3757 del 1985; Cass., Sez. 1, n. 2936 del 1978).

Diverso è il caso in cui la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare abbia ad oggetto un pagamento eseguito dal fallito. Tale sentenza “non ha infatti quale necessario presupposto la declaratoria di inefficacia del negozio “a monte” del pagamento revocato; essa, inoltre, non determina la mera inopponibilità di tale pagamento al fallimento, ma ha un effetto traslativo pieno, in quanto, condannando l’accipiens alla restituzione della somma di denaro in precedenza appresa e già confusa nel suo patrimonio, comporta il depauperamento di tale patrimonio, con contestuale, immediato trasferimento al fallimento della corrispondente ricchezza”. Conseguentemente essa è soggetta all’aliquota proporzionale di cui alla Tariffa, parte prima, art. 8, comma 1, lett. b) (Cass. n. 31277 del 2018 cit.).

In conclusione, dunque, deve ritenersi che la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria fallimentare di un contratto di compravendita immobiliare rientri nella previsione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, parte prima, art. 8, comma 1, lett. e) essendo assimilabile alle sentenze che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorchè portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, sicchè essa è soggetta a tassazione in misura fissa.

Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.

Preliminarmente si deve rilevare che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, nella parte in cui stabilisce che sono tenute al pagamento dell’imposta di registro le parti in causa, deve intendersi riferito a tutti coloro che abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva e la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti di tale decisione, in quanto la finalità di detta norma è quella di rafforzare la posizione dell’erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti di colui che è civilmente tenuto al pagamento (ex plurimis Cass. n. 29158 del 2018).

Tuttavia, l’obbligazione solidale prevista dall’art. 57 TUIR, per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti non grava, quando si tratti di litisconsorzio facoltativo, sui soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio, assumendo rilievo non la sentenza in quanto tale, ma il rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva. Ne consegue che il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza (Cass., n. 12009 del 2020, Rv. 657930-01; Cass. n. 21134 del 2014, Rv. 632570-01).

Ai fini della verifica della debenza o meno dell’imposta nascente da una sentenza, è pertanto necessario avere riguardo esclusivamente alla situazione sostanziale che ha dato causa alla sentenza registrata. In caso di litisconsorzio facoltativo, infatti, pur nell’identità delle questioni, ben può permanere l’autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici, delle singole causae petendi e dei singoli petita, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte (Cass. n. 1710 del 2018).

Nel caso di specie la sentenza revocatoria soggetta a registrazione aveva ad oggetto due distinti rapporti sostanziali, rappresentati dai due contratti di compravendita conclusi dalla medesima parte venditrice con due diverse parti acquirenti e conteneva, nella parte dispositiva, statuizioni distinte (pur se di contenuto analogo) per ciascuno di essi. Pertanto, rispetto a ciascun rapporto, le parti dell’altro costituiscono soggetti ad esso estranei di tal che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 57 TUIR.

Il ricorso va, pertanto, accolto con la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa con l’accoglimento del ricorso originario.

Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso. Condanna la controricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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