Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7300 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 21217/2013 R.G. e 21224/2013 RG,

proposti da:

EG HOLDING Srl (già Ghirlanda Smart Card Solution Spa), in persona

del legale rappresentante. pro tempore, rappresentata e difesa,

anche disgiuntamente tra loro, dagli Avvocati Giuseppe Zizzo,

Claudio Lucisano e Maria Sona Vulcano, giusta procura speciale a

margine dei ricorsi, elettivamente domiciliata in Roma, via

Crescenzio n. 91, presso lo studio degli Avvocati Claudio Lucisano e

Maria Sonia Vulcano;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 38/2013 e 39/2013 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositate in data 11 febbraio 2013;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24.11.2020 dal

Consigliere Dott. Grazia Corradini;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Giacalone Giovanni, che ha chiesto l’annullamento con rinvio per

IRAP, motivo primo, RG n. 21217/2013 con applicazione art. 8.

Rigetto degli altri motivi circa IRAP e di tutti i motivi IVA.

Uditi i difensori delle parti che hanno confermato le conclusioni

assunte.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di p.v.c. del 7 aprile 2009 emesso a conclusione di una verifica della Guardia di Finanza che aveva riguardato il periodo da 1 gennaio 2004 all’11 febbraio 2009, l’Agenzia delle Entrate notificò in data 15.2.2010 alla contribuente Ghirlanda Smart Card Solutions spa (in seguito EG Holding Srl), sia in qualità di consolidante che di consolidata, nel domicilio eletto presso la consolidante, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale venne contestata l’indebita deduzione di costi a fini IRES, relativa all’anno 2005, per Euro 6.250.135,00 accertando un maggior reddito imponibile da imputare al consolidato di Euro 2.062.545,00. Nella stessa data notificò poi l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) (dal quale origina il presente giudizio) con il quale contestò l’indebita deduzione di costi ai fini IRAP per Euro 6.250.135,00, così accertando una maggiore IRAP di Euro 265.631,00 e l’indebita detrazione della relativa IVA per Euro 1.250.027,00 ed irrogò una sanzione unica pari ad Euro 1.875.040,00 determinata applicando il cumulo giuridico.

La verifica fiscale e le conseguenti riprese a tassazione scaturivano da indagini di p.g. condotte nei confronti del gruppo societario “Gabrius”, all’esito delle quali era emersa un’associazione a delinquere dedita alla realizzazione di una frode fiscale (c.d. “(OMISSIS)”), consistente nell’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, aventi ad oggetto la commercializzazione di licenze relative ad un database, dirette alla costante costituzione di un credito Iva. Secondo quanto risultato dalle indagini la frode veniva realizzata tramite società cartiere, che vendevano le licenze fittizie a distributori italiani, i quali agivano come società filtro e che a loro volta le rivendevano a società estere; tali società ne determinavano, infine, il ritorno nella disponibilità di una delle società del gruppo Gabrius.

L’accertamento relativo all’IRAP ed IVA per l’anno 2005 fu impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano dalla contribuente, la quale lamentò la nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione per omessa indicazione delle ragioni per cui erano state disattese le doglianze formulate con la memoria difensiva presentata ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la illegittimità e la infondatezza dell’atto, la mancanza di prove idonee a supportare la pretesa fittizietà delle operazioni, l’inesistenza della pretesa frode e della consapevole complicità del contribuente, la impossibilità di ricondurre i costi ritenuti indeducibili a fatti costituente reato ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis anche perchè l’unico procedimento penale a carico del legale rappresentante della società era stato archiviato, nonchè, in una prospettiva subordinata, la necessità di escludere i ricavi correlativi ai costi ritenuti fittizi onde evitare una doppia imposizione ed infine l’inapplicabilità delle sanzioni per mancanza di colpevolezza.

La CTP di Milano, con sentenza 190/41/2011, depositata il 12 maggio 2011, accolse in parte il ricorso confermando la ripresa ai fini IVA ed annullando invece l’accertamento quanto all’IRAP. La CTP ritenne motivato l’accertamento, anche perchè una risposta alla memoria difensiva, pur se stringata, vi era stata e che fosse irrilevante la archiviazione penale del procedimento. Ritenne poi la deducibilità dei costi ai fini IRAP poichè la disposizione di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, poneva seri dubbi di conformità al principio di capacità contributiva e di violazione degli artt. 53 e 3 Cost.. Quanto invece all’IVA confermò la indetraibilità ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 considerato anche che la contribuente non era stata in buona fede come emergeva da specifiche acquisizioni probatorie e la stessa non aveva offerto elementi in senso contrario.

Contro la sentenza della CTP proposero appello sia la contribuente (cui venne attribuito il n. RGA 34/2012) che l’Ufficio (cui venne attribuito il n. RGA 94/2012) per quanto di rispettiva soccombenza, riproponendo le questioni già svolte in primo grado.

Sull’appello della contribuente la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia decise con sentenza n. 38/20/2013 depositata l’11.2.2013, che lo rigettò ritenendo legittimo l’avviso di accertamento impugnato quanto alla indetraibilità dell’IVA affermata dai verificatori e dall’accertamento dell’Ufficio. Premesso che, sulla base di quanto emerso in sede di verifica, si poteva affermare che la Ghirlanda fosse una delle società inserite in un sistema di frode costituito da varie società che mirava costantemente a frodare l’Erario ed ottenere indebiti vantaggi fiscali, la CTR ritenne non meritevole di accoglimento l’appello della contribuente alla luce del rilievo che il disconoscimento dei costi non si fondava sulla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, bensì come chiarito nel primo grado e come emergeva dal verbale della Guardia di Finanza, sull’art. 109 del TUIR la cui applicazione non era mai stata contestata e che aveva originato la ripresa a tassazione dei costi sia ai fini IRES che ai fini IRAP, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 11. La non inerenza dei costi e l’inesistenza oggettiva delle operazioni erano stati dimostrati attraverso il meccanismo di frode descritto nel pvc, che era diretto a costruire un falso credito IVA nei confronti dell’Erario, così come era rimasta provata la assenza di buona fede della società il che determinava, oltre alla indeducibilità dei costi per assenza della loro documentazione, anche la indetraibilità dell’IVA in considerazione del carattere fraudolento delle operazioni fittizie e della consapevolezza che la parte aveva avuto della frode.

Sull’appello dell’Ufficio la CTR decise separatamente, con sentenza n. 39/20/2013, emessa nella stessa udienza e depositata ugualmente l’11 febbraio 2013, accogliendolo e dichiarando legittimo l’avviso di accertamento anche quanto all’IRAP, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle sviluppate con la sentenza n. 38/20/2013.

Contro le due sentenze di appello ha proposto due distinti ricorsi per cassazione, notificati il 25 settembre – 30 settembre e 2 ottobre 2013, la società contribuente ai quali sono stati attribuiti i numeri RG 21217/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 38/2013) ed RG 21224/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 39/2013), affidati rispettivamente a nove ed a dieci motivi di ricorso. La ricorrente ha presentato altresì successive memorie difensive.

Resiste con due separati controricorsi la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale va disposta la riunione tra i ricorsi n. 21217/2013 e 21224/2013, chiamati entrambi alla presente udienza e relativi ad impugnazione dello stesso avviso di accertamento per IRAP ed IVA per l’anno 2005, decisa con la stessa sentenza di primo grado, da cui erano però scaturite due sentenze di appello per avere la CTR omesso di riunire gli appelli contro la stessa sentenza. L’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova infatti applicazione, a norma dell’art. 335 c.p.c., anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi sia, a maggior ragione, in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello in un medesimo giudizio, legate l’una all’altra da un rapporto di pregiudizialità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione, trattandosi nella specie della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza di appello (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22631 del 31/10/2011 Rv. 620433 – 01).

2. Ciò posto, con il ricorso n. 21217/2013 RG la contribuente impugna con nove motivi la sentenza della CTR n. 38/2013, che aveva respinto l’appello della società contribuente relativo all’IVA, così confermando integralmente l’accertamento dell’Ufficio.

2.1. Con il primo motivo la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 e art. 7, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, per avere i giudici ritenuto sufficiente la motivazione offerta nell’accertamento in ordine alle ragioni per le quali erano state respinte le osservazioni formulate con la memoria difensiva presentata dalla società dopo la notifica del pvc, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., per essersi i giudici di appello pronunciati sulla questione della deducibilità dei costi ai fini IRAP che non era devoluta alla loro cognizione poichè l’appello era statà proposto dalla contribuente che non aveva interesse a sottoporre al giudice di appello una questione sulla quale era rimasta vittoriosa in primo grado.

2.3 Con il terzo motivo si denunzia la nullità della sentenza per inidoneità al raggiungimento dello scopo per assenza della motivazione, in violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, art. 132 c.p.c., comma 2 n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. n. 546, art. 36, comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la CTR ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione della inesistenza oggettiva delle operazioni fossero dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.5. Con il quinto motivo la contribuente denunzia la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, codice di rito, per avere i giudici ritenuto che l’elemento offerto dall’Ufficio a dimostrazione della frode e cioè una generica dichiarazione resa in sede penale, non corroborata da ulteriori elementi, fosse dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

2.6.Con il sesto motivo si denunzia la medesima violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione della assenza della buona fede della società fossero dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.7. Con settimo motivo si lamenta omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti costituito dalla effettiva attuazione delle operazioni oggetto di contestazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5.

2.8. Con l’ottavo motivo si sostiene omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti costituito dalla consapevole partecipazione della Ghirlanda alla asserita frode, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.9. Infine, con il nono motivo si sostiene omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine alla non applicabilità delle sanzioni per mancanza di colpevolezza, in violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 17 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3. Con il ricorso n. 21224/2013 RG la stessa contribuente impugna con dieci motivi la sentenza della CTR n. 39/2013 che aveva accolto l’appello dell’Ufficio e confermato l’accertamento anche con riguardo all’IRAP.

3.1. Con il primo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di secondo grado ritenuto che l’archiviazione ex artt. 408 e ss. c.p.p. dell’unico procedimento penale avviato sui fatti in contestazione non abbia determinato l’inapplicabilità del divieto di deduzione di costi.

3.2. Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici ritenuto che il divieto di deduzione operi anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, quali sono quelle oggetto della controversia.

3.3. Con il terzo motivo si denunzia la nullità della sentenza per inidoneità al raggiungimento dello scopo per assenza della motivazione, in violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e D.Lgs. n. 546, art. 36, comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la CTR ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione della inesistenza oggettiva delle operazioni fossero dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.5. Con il quinto motivo la contribuente denunzia la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3), codice di rito, per avere i giudici ritenuto che l’elemento offerto dall’Ufficio a dimostrazione della frode e cioè una generica dichiarazione resa in sede penale, non corroborata da ulteriori elementi, fosse dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

3.6.Con il sesto motivo si denunzia la medesima violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione della assenza della buona fede della società fossero dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.7. Con settimo motivo si lamenta omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti costituito dalla effettiva attuazione delle operazioni oggetto di contestazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.9 Con l’ottavo motivo si sostiene omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti costituito dalla consapevole partecipazione della Ghirlanda alla asserita frode, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.9. Con il nono motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 72,83,85 e 109 TUIR e degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, n. 3), codice di rito, per non avere ritenuto i Giudici che, poichè le operazioni contestate avevano generato anche ricavi e questi erano risultati superiori ai correlati costi, la deduzione dei secondi doveva comunque essere ammessa. La ricorrente, in particolare, deduce che, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 convertito nella L. n. 44 del 2012, sulla base dei principi dell’ordinamento tributario, quali desumibili dagli artt. 3 e 53 Cost. e dalle altre disposizioni del TUIR richiamate (artt. 72,83,85 e 109), nel caso in cui sia accertato il carattere fittizio di un’operazione, i relativi ricavi, in quanto fittizi, devono escludersi dalla formazione dell’imponibile, e, simmetricamente, che assoggettando ad imposizione i ricavi fittizi devono considerarsi deducibili i connessi costi fittizi, in quanto riferibili ad attività e beni da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito.

3.10. Con il decimo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 convertito nella L. n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la CTR applicato alla presente fattispecie la suddetta norma, che risulta applicabile, ove più favorevole, anche retroattivamente.

4. in via preliminare, si deve prendere atto della esistenza delle sentenze di questa Code n. 7896 e 7897 del 2016 (delle quali si dà atto nel ricorso RGN 6448/2018 chiamato ugualmente alla odierna udienza), che, decidendo su due ricorsi proposti sempre dalla EG HOLDIND Srl (basati su motivi similari a quelli proposti con gli attuali ricorsi) contro speculari accertamenti emessi dalla Agenzia delle Entrate con riguardo all’IRES ed all’IVA – IRAP per la annualità 2006, hanno rigettato i primi nove motivi di ricorso – che attenevano alla dedotta violazione dell’obbligo di motivazione degli accertamenti, alla dedotta inapplicabilità del divieto di deduzione dei costi in presenza di archiviazione ex artt. 408 e segg. dell’unico procedimento penale avviato sui fatti in contestazione, al divieto di deduzione dei costi in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, alla violazione della regola dell’onere della prova in relazione a diversi profili ed alla pretesa violazione della normativa in materia di deducibilità dei costi fittizi in presenza di ricavi superiori ai costi, anche prima della modifica legislativa di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 convertito dalla L. n. 44 del 2012, considerato che, anteriormente all’entrata in vigore della detta disposizione, sia in materia di accertamento dell’iva, che delle imposte sui redditi, qualora l’amministrazione, ritenendo fittizia (oggettivamente o soggettivamente) un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione – ed hanno invece accolto il decimo e l’undicesimo motivo dei ricorsi, annullando le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinviando anche per le spese innanzi ad altra sezione della CTR della Lombardia.

4.1. In proposito le suddette sentenze di questa Corte hanno rilevato, per quanto qui interessa, che, con riguardo alle operazioni inesistenti, quali configurabili nel caso di specie, il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, come convertito nella L. n. 44 del 2012 – costituente ius superveniens, applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3 – aveva stabilito in riferimento alle imposte sui redditi che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese. In tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.

4.2. Orbene, le suddette sentenze di questa Corte, che affrontano – sia pure per la annualità successiva (2006), peraltro collegata a quella esaminata negli attuali ricorsi (2005) perchè gli accertamenti delle imposte erano scaturiti dalla unitaria verifica fiscale ed erano motivati in modo sostanzialmente ripetitivo – questioni analoghe a quelle oggetto del presente giudizio, non possono integrare il giudicato esterno, alla luce dei principi propri della materia tributaria per cui l’effetto vincolante del giudicato esterno trova ostacolo in relazione alle qualificazioni giuridiche, nonchè alle argomentazioni della sentenza, poichè detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, nè è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto; cosicchè l’efficacia del giudicato esterno è limitata ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata con consequenziale esclusione della efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale o in relazione a più ridotti periodi temporali (v. ex pluribus Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013 Rv. 628972 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 21824 del 07/09/2018 Rv. 650505 – 01). Le indicate sentenze n. 7896 e 7897 del 2016 di questa Corte integrano peraltro un precedente del tutto in linea con gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità ormai consolidati in ordine alle questioni che investono l’attuale giudizio, di cui si darà conto nel corso dell’esame dei motivi di ricorso proposti nel presente giudizio, ai quali si ritiene di dare continuità anche in questa sede.

5. Ciò posto, potendosi trattare congiuntamente i motivi, pur relativi a diversi ricorsi, che peraltro investono identiche questioni e partendo dai motivi di ricorso con cui si deduce omissione di pronuncia e conseguente nullità della sentenza per mancanza di motivazione idonea a raggiungere lo scopo a causa della incomprensione del ragionamento logico che aveva condotto la sentenza impugnata ad una certa decisione (motivo n. 3 del ricorso n. 21217/2013 e motivo n. 3 del ricorso n. 21224/2013), occorre preliminarmente rilevare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 (Rv. 627268 – 01).

5.1. Nel caso in esame, pur essendo stata dedotta la omessa pronuncia con specifico riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, in realtà la ricorrente si duole non già della mancanza della decisione (che riconosce essere presente quanto meno nel dispositivo della sentenza, in concordanza con le sia pure sintetiche esplicitazioni della motivazione), bensì di insufficienza della motivazione con riguardo a motivi di appello che erano stati proposti, in relazione ai quali la sentenza impugnata avrebbe risposto in modo meramente apparente, in particolare con riguardo alle questioni poste dalla contribuente con riferimento alla effettività delle operazioni, alla inesistenza della pretesa frode affermata con l’accertamento ed alla consapevole partecipazione della società alla asserita frode.

5.2. Appare peraltro impropria anche la deduzione di insufficiente motivazione, poichè – premesso che le due separate sentenze di appello n. 38 e n. 39/2012 della CTR della Lombardia, oggetto dei due ricorsi per cassazione riuniti in questa sede, derivano dalla circostanza che la CTR non aveva disposto la riunione degli appelli proposti separatamente contro la stessa sentenza ed aveva poi risposto alle censure dell’una o dell’altra delle parti in causa, in parte nell’una ed in parte nell’altra sentenza collegata (pur se non oggetto di un provvedimento formale di riunione) pronunciata nella stessa data fra le stesse parti – la riunione dei ricorsi contro le due sentenze emesse con riguardo allo stesso accertamento di IRAP ed IVA per la annualità 2005, disposta in questa sede, ha consentito di verificare che è intervenuta la decisione sulla intera materia del contendere attraverso una visione unitaria derivante dalla ricomposizione degli appelli contro la stessa sentenza, per cui non si può parlare di omissione di pronuncia, potendo eventualmente il vizio di incompletezza della motivazione essere devoluto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti in cui lo consente la detta disposizione nel testo novellato.

5.3. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel caso in esame, essendo state le sentenze impugnate depositate l’11 febbraio 2013, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5) presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014 (Rv. 632914 – 01 e successive conformi). Nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non può invece ritenersi sussistente nè la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, nè la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. L -, Sentenza n. 26764 del 21/10/2019 Rv. 655514 – 01).

5.4. Calando tali principi derivanti da una elaborazione giurisprudenziale consolidata di questa Code nel caso concreto, appare allora come presentino ampi profili di inammissibilità e siano comunque infondati i motivi di ricorso sopra indicati poichè sostengono la mera apparenza della motivazione sotto il profilo che le sentenze impugnate avrebbero fatto riferimento solo alle tesi dell’Ufficio ovvero alle motivazioni di altre sentenze pronunciate nella stessa data fra le stesse parti; però le sentenze impugnate, sia pure sinteticamente, non solo dichiarano esplicitamente, in un caso, di ritenere fondato e di accogliere l’intero appello dell’ufficio e, nell’altro, di rigettare in toto l’appello della società Ghirlanda in quanto completamente infondato, ma ricostruiscono anche, nella lunga parte espositiva, il meccanismo fraudolento posto consapevolmente in atto dalla contribuente e fanno quindi propria tale ricostruzione, sulla base delle prove offerte dai verificatori, come si legge a pagina 4 di entrambe le sentenze, laddove la CTR scrive “Sulla base di quanto emerso in sede di verifica, si può con certezza affermare che la Ghirlanda fosse una delle società inserite in un sistema di frode costituito da varie società che mirava costantemente a frodare l’Erario per ottenere indebiti vantaggi fiscali” e, quindi, a pagina 4 di entrambe le sentenze, le ulteriori ragioni per cui l’appello dell’Ufficio era stato accolto, in un caso, e, nell’altro caso, era stato respinto l’appello della contribuente (rispettivamente per l’IRAP e per l’IVA) con riguardo al disconoscimento dei costi basato sull’art. 109 del TUIR, la cui applicazione non era mai stata contestata, per cui i costi erano stati ripresi a tassazione ai fini IRES ed IRAP ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 11 per assenza di rigorosa documentazione ed era stata altresì ritenuta indetraibile l’IVA stante il carattere fraudolento delle operazioni che dimostrava la assenza di buona fede della società, considerato anche che si trattava di operazioni oggettivamente inesistenti alla luce delle risultanze del pvc, non smentite dalle argomentazioni della controparte; il che era sufficiente per escludere il vizio di omessa pronuncia sotto il profilo della motivazione meramente apparente, avendo le sentenze impugnate in effetti fatto propria la ricostruzione delle prove operata dai verificatori, esplicitando peraltro ampliamente, da pagina 1 a pagina 3 delle sentenze impugnate, le argomentazioni attraverso cui le prove raccolte (ed analiticamente riportate) conducevano alla univoca conclusione della partecipazione consapevole della Ghirlanda alle operazioni truffaldine da cui erano scaturite le operazioni oggettivamente inesistenti. D’altronde la valutazione delle prove, sia pure per adesione alla ricostruzione operata dai verificatori, non appare censurabile in sede di legittimità, tanto meno sotto il profilo della omessa pronuncia.

5.5. La dedotta omissione di pronuncia non sussiste neppure con riguardo alla esposizione dei fatti di causa e alla concisa esposizione dello svolgimento del processo, nonchè all’omesso esame delle questioni giuridiche poste dalla contribuente in relazione alla inidoneità dei fatti accertati a dimostrare il preteso sistema di “(OMISSIS)” e la consapevole partecipazione della società ad esso, oltre che la inapplicabilità alla fattispecie in esame del divieto di deduzione contenuto nella L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis perchè anche in tal caso la sentenze impugnate espongono certamente i fatti e lo svolgimento del processo e pure (pag. 3) i motivi di appello proposti in un caso dalla contribuente e nell’altro caso dall’Ufficio (pur non potendo la esposizione dei fatti determinare un motivo di nullità della sentenza e tanto meno per omessa pronuncia) ed indicano poi a pagine 3 e 4 il meccanismo fraudolento posto consapevolmente in atto dalla contribuente e le ragioni per cui era stato rigettato l’appello della contribuente ed accolto quello dell’Ufficio con riguardo al ritenuto accertamento della predisposizione di falsi documenti e di false scritture contabili, oltre che di false dichiarazioni dei redditi, da cui erano scaturite le operazioni oggettivamente inesistenti, cosicchè, “sulla base di quanto emerso in sede di verifica, si poteva con certezza affermare che la Girlanda fosse una delle società inserite in un sistema che mirava costantemente a frodare l’Erario ed ottenere indebiti vantaggi fiscali”. E ciò, nonostante la sinteticità e la difficoltà di lettura della motivazione, esclude che si possa trattare di omessa pronuncia o comunque di motivazione inesistente o apparente.

6. E’ inammissibile, in primo luogo per mancanza di interesse, il secondo motivo del ricorso n. 21217 del 2013 con cui si deduce vizio di ultrapetizione per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi la sentenza n. 38 del 2013 pronunciata sulla deducibilità dei costi ai fini IRAP pur riguardando l’appello del contribuente solo l’IVA.

6.1. Premesso che il vizio di ultrapetizione ricorre quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, alterando così gli elementi obiettivi dell’azione, petitum e/o causa petendi, nella specie, come si è già rilevato nella parte espositiva, la sentenza della CTR n. 38 del 2013, che qui viene in considerazione, aveva deciso formalmente sull’appello del contribuente contro la sentenza della CTP n. 190 per la parte in cui la contribuente era rimasta soccombente quanto all’IVA, ma alla stessa udienza era stata emessa la sentenza n. 39 che aveva accolto l’appello dell’Ufficio (il quale aveva impugnato per la parte di sua soccombenza relativa all’IRAP) contro la stessa sentenza della CTP n. 190 ritenendo dovuta anche l’IRAP esclusa invece dal giudice di primo grado; per cui la sentenza n. 38, laddove ha fatto riferimento all’IRAP ed all’IRES, pur oggetto di separate sentenze e di separati appelli, ha sostanzialmente inteso richiamare, per completezza, anche la questione dell’IRAP attinente all’appello dell’altra parte, separatamente deciso, ma nella sostanza collegato. Nessun interesse ha peraltro la parte contribuente alla elisione di tale pronuncia dalla sentenza n. 38, poichè su tale questione vi è la pronuncia della CTR con la sentenza n. 39 oggetto di separato ricorso della stessa parte contribuente.

7. Il motivo n. 1 del ricorso n. 21217 del 2013. con cui si deduce violazione di legge con riguardo alla mancanza di motivazione dell’accertamento per omessa risposta alle deduzioni proposte ai sensi dell’art. 12, comma 7, dello statuto dei diritti del contribuente, è infondato.

7.1. Premesso che non è qui in discussione la violazione da parte dell’Amministrazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 del termine dilatorio di sessanta giorni (dal rilascio di copia del pvc di chiusura delle operazioni) per l’emanazione dell’avviso di accertamento che, in conformità ad indirizzo ormai consolidato di questa Corte (a partire da Cass. S.U. 18184/2013), determina di per sè l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, salva la ricorrenza, da comprovarsi da parte dell’Ufficio, di specifiche ragioni di urgenza, essendo, nel caso di specie, pacifico il rispetto da parte dell’Amministrazione del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 la contribuente lamenta invece che nella motivazione dell’avviso di accertamento non siano state specificamente confutate le deduzioni ed osservazioni rese all’esito della notifica del p.v.c. e deduce sotto tale profilo la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7.2. Ora, se è vero che il rispetto del termine dilatorio su menzionato, in quanto strumentale a consentire all’Amministrazione la valutazione delle osservazioni e deduzioni del contribuente, risulta direttamente attuativo del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, “quale indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del miglior esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione” (cosi Cass. S.U. 24823/2015), non può però ritenersi che il rispetto del contraddittorio si traduca in un obbligo di specifica motivazione, nell’avviso di accertamento, sulle deduzioni ed osservazioni del contribuente, sanzionato a pena di nullità, considerato anche che la nullità deve essere espressamente prevista e che non è stata prevista in tale ipotesi. Nè tale obbligo è in generale previsto dallo Statuto del contribuente, che, all’art. 7 prevede che gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione.

7.3. L’ordinamento tributario conosce peraltro ipotesi, specifiche, in cui l’obbligo di motivazione in ordine alle deduzioni del contribuente è espressamente previsto a pena di nullità, come nell’ipotesi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, commi 4 e 5 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 7 ma, al di fuori di casi specifici, espressamente previsti dalla legge o connaturati alla stessa natura dello strumento utilizzato (come nel caso degli “accertamenti standardizzati”), non è ravvisabile un obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento in relazione a qualsivoglia deduzione del contribuente, dovendo invece ritenersi che il relativo obbligo sia soddisfatto mediante l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che giustificano le diverse contestazioni, con un grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa, sì da porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente Iman” ed il “quantum debeatur” (Cass. 16836/2014).

7.4. E’ ben possibile perciò una reiezione implicita delle allegazioni del contribuente, con la conseguenza che non può affermarsi la mancanza di motivazione dell’accertamento per il solo fatto che le osservazioni suddette, pur valutate dall’Ufficio, non siano state espressamente richiamate in motivazione (magari con mera clausola di stile), sussistendo, al contrario, una obiettiva carenza motivazionale del provvedimento, solo quando risulti, ricadendo il relativo onere probatorio sul contribuente, che, a fronte di contestazioni specifiche e rilevanti, incidenti su fatti decisivi, idonee ad inficiare gli stessi presupposti dell’accertamento (o di singole riprese), l’atto impositivo abbia del tutto omesso di indicare le ragioni per le quali dette contestazioni sono state disattese ed i relativi temi d’indagine non approfonditi, onde da tale mancanza sia derivata una obiettiva e sostanziale incompletezza o incoerenza della ratio delle riprese a tassazione.

7.5. Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a censurare la mancata risposta alle proprie deduzioni difensive esplicitate in 45 pagine, senza indicare peraltro nel ricorso quale sarebbe stato il contenuto della memoria, riportando invece la pur sintetica risposta dell’Ufficio, contenuta nell’accertamento, dove era scritto che l’Ufficio aveva ritenuto che la memoria “non contenga elementi validi per contrastare i rilievi evidenziati dai militari ed accolti nel presenti atto (pag. 4 dell’avviso di accertamento)”. Una risposta vi è quindi stata, mentre manca qualsiasi indicazione dei motivi per cui la mancanza di confutazione avrebbe determinato una sostanziale carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, con sostanziale disapplicazione del contraddittorio e delle argomentazioni difensive della contribuente, il che rende pure non specifico il motivo di ricorso per cassazione.

8. I motivi nn. 5, 6 e 7 di entrambi i ricorsi possono essere esaminati congiuntamente poichè lamentano violazione o falsa applicazione, da parte delle sentenze impugnate, della regola sulla valutazione delle presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio provassero la inesistenza oggettiva delle operazioni, nonchè la esistenza della frode e la assenza della buona fede della società, considerato che le dichiarazioni rese in sede penale, quali quelle di C.S., del suo collaboratore G. e di T. consistevano in mere informazioni prive di efficacia dimostrativa, al pari della corrispondenza di posta elettronica, mentre le modalità di pagamento e la cessione dei crediti attuata in caso di omesso pagamento da parte dei clienti svizzeri poteva considerarsi in linea con le logiche di mercato e dunque estranea ad una qualsiasi forma di frode, a fronte peraltro della produzione, da parte della contribuente, dei contratti di distribuzione e delle fatture e degli ordini di pagamento diretto o tramite cessione del credito o compensazione che dimostravano la veridicità delle operazioni.

8.1. I suddetti motivi, come proposti sotto il profilo della violazione di legge, rivelano in primo luogo ampi profili di inammissibilità poichè la violazione dei precetti che presidiano la valutazione delle prove sono censurabili per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (v, per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01 Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020 Rv. 658840 – 01).

8.2. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste infatti nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, come nel caso in esame in cui la ricorrente censura la rilevanza e la convergenza degli indizi come ricostruiti dal giudice del merito, è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv. 652398 – 01).

8.3. I suddetti motivi sono comunque pure infondati alla luce del consolidato indirizzo di questa Corte per cui, allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali, anche da sole, possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a dimostrare i relativi fatti e situazioni sostanziali, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi (Cass.26022/2011).

8.4. Nel caso di specie la CTR risulta essersi conformata a tali principi, avendo valutato complessivamente l’insieme degli elementi istruttori ed esaminato non soltanto le risultanze del processo penale, ma anche le acquisizioni probatorie della Guardia di Finanza confluite nel processo verbale di constatazione (pag. 1-3 della sentenza impugnata), le dichiarazioni (ed ammissioni) rese dal dominus dell’operazione e dal suo uomo di fiducia, Sig. G., le motivazioni delle collegate sentenze rese nella stessa data in procedimenti connessi fra le stesse parti, nonchè la corrispondenza via e-mail intercorsa fra la commercialista della società e il responsabile amministrativo e contabile della stessa che dimostravano senza alcun dubbio l’assoluta consapevolezza delle parti in causa della fittizietà delle operazioni commerciali connesse al commercio delle licenze, ritenendo, con valutazione di merito, che, in quanto fondata su un corretto procedimento logico e sorretta da motivazione adeguata e non contraddittoria, non è sindacabile nel presente giudizio, la gravità, precisione e concordanza degli indizi acquisiti.

8.5. La sentenza impugnata ha infatti rilevato che i verificatori e la Amministrazione Finanziaria, che aveva fatto proprie quelle emergenze, avevano evidenziato obiettivi elementi dai quali desumere il carattere fittizio delle operazioni, nonchè il meccanismo circolare di frode posto in essere e che faceva sorgere costantemente un credito IVA in capo alle società filtro (italiane) a seguito della cessione delle fittizie licenze a soggette giuridici extracomunitari e di incamerare, tramite mancati versamenti, l’IVA esposta nelle fatture di vendita emesse dalla società cartiera: sistema nel cui ambito la società Ghirlanda, sulla base degli elementi probatori sopra indicati, fra cui le dichiarazioni rese nel processo penale dal C.S., che risultava l’ideatore del sistema di frode e dal suo collaboratore G., ma anche di una dipendente che svolgeva funzioni contabili in una delle società coinvolte nell’operazione, risultava avere svolto un ruolo fondamentale rappresentando una società filtro di cui si avvaleva C.S., atteso che acquistava fittiziamente licenze d’uso del software dalla Gabrius o da altre società riconducibili sempre a C.S., maturando così un credito IVA nei confronti dell’Erario e rivedendo subito dopo le licenze fittizie alle società straniere che non scontavano l’IVA.

8.6. La sentenza impugnata ha poi indicato anche gli elementi documentali (deposizioni e corrispondenza e-mail), contabili (quali fatture retrodatate e compensazioni di posizioni debitorie e creditorie aperte nei vari conti economici e finanziari attinenti le licenze d’uso in modo da presentare saldi pari a zero in occasione delle verifiche trimestrali da parte della società di auting Price Waterhouse Coopers) e logici da cui aveva desunto la piena consapevolezza da parte dell’amministratore della società delle operazioni dirette a frodare costantemente il Fisco ed ottenere indebiti vantaggi fiscali. E, a fronte di tali elementi, ritenuti gravi e rilevanti, la CTR ha correttamente affermato che incombeva sulla contribuente l’onere di superare la presunzione di fittizietà e dimostrare la veridicità del rapporto sostanziale posto a fondamento delle fatture (Cass. n. 9108/2012), cosa non avvenuta avendo la società offerto mere argomentazioni che non smentivano la inesistenza oggettiva delle operazioni.

8.7. E’ opportuno aggiungere che neppure le argomentazioni svolte dalla ricorrente con i motivi di ricorso qui in considerazione, con riguardo alla pretesa prova contraria offerta, hanno pregio, poichè la fattura, di regola, salva l’ipotesi di contabilità inattendibile, è in effetti documento idoneo a rappresentare un costo per l’impresa, purchè sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto ivi prescritti (Cass. 15395/2008). A fronte dell’esibizione di una fattura spetta all’Ufficio dimostrare la mancanza delle condizioni per la detrazione e deduzione. Nell’ipotesi, dunque, di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, incombe sull’amministrazione che deduce la falsità del documento, l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura in realtà non è mai stata posta in essere. Tale prova può tuttavia essere fornita, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 mediante presunzioni semplici, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove certe. Considerato il contenuto precettivo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 le presunzioni semplici costituiscono dunque una prova completa alla quale il giudice può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della decisione, nel qual caso passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., comma 2 (Cass. 9108/2012). Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (v. Cass. n. 21953 del 2007 e Cass. n. 12802/2011).

8.8. Si deve quindi concludere che la sentenza impugnata è in linea con tali consolidati principi giuridici, già affermati da questa Corte con riferimento alla annualità di imposta 2006 con le sentenze n. 7896 e 897 del 2016, il che dimostra la infondatezza dei motivi qui in esame.

9. Ugualmente infondati sono i motivi n. 8 e n. 9 di entrambi i ricorsi che deducono, sotto il diverso profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ad un fatto decisivo e controverso ovvero all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, la mancata considerazione delle argomentazioni del contribuente che escludevano la effettiva attuazione delle operazioni oggetto di contestazione ed la effettiva partecipazione della società Ghirlanda alla frode.

9.1. Le censure si infrangono infatti contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione delle sentenze, depositate, nel caso in esame, l’11.2. 2013, si applica il testo novellato ancora nel 2012 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014), che è poi il vizio dedotto in concreto dalla ricorrente, la quale trascrive in parte la motivazione delle sentenze ma assume che non sarebbe stata sufficiente perchè non si fa carico degli argomenti sviluppati e già presi in esame al punto 11 della presente decisione.

10. Il motivo n. 1 del ricorso n. 21224 con cui si denunzia la violazione o falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di secondo grado ritenuto che l’archiviazione ex artt. 408 e ss. c.p.p. dell’unico procedimento penale avviato sui fatti in contestazione non abbia determinato l’inapplicabilità del divieto di deduzione di costi a fini IRAP, è inammissibile, in quanto non censura ambedue le rationes decidendi della statuizione impugnata (v. anche, specificamente, Cass. n. 7896 e 7897 del 2016).

10.1. La CTR, infatti, nel confermare la ripresa avente ad oggetto la indeducibilità dei costi non ha fatto soltanto riferimento al provvedimento di archiviazione in sede penale, ma ha altresì rilevato che il recupero si fondava anche sull’art. 109 TUIR, per cui i costi in oggetto erano stati ripresi a tassazione ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 11.

10.2. Come già ritenuto da questa Corte, in tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti – inserite, o meno, in una “(OMISSIS)” -, per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo per i costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo, ovvero che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass.26461/2014). E tale ulteriore ratio decidendi, vale a dire la mancanza di certezza, effettività ed inerenza dei costi, non risulta specificamente censurata dalla contribuente, il che determina la inammissibilità dei motivi di cui si tratta.

11. E’ inammissibile pure il motivo n. 2 del ricorso n. 21224 con cui si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici ritenuto che il divieto di deduzione operi anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, quali sono quelle oggetto della controversia. Esso infatti ripropone la sola violazione dell’art. 14 sopra citato ma non censura, neppure in tal caso, l’ulteriore ratio decidendi della statuizione impugnata, avente ad oggetto l’indeducibilità dei costi per la mancanza dei requisiti di cui l’art. 109 TUIR, cui è subordinata, in via generale, la deducibilità dei componenti negativi, e la cui ricorrenza deve, evidentemente, escludersi in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, quali quelle oggetto del presente giudizio.

12. Con il nono motivo del ricorso n. 21224 la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 72,83,85 e 109 TUIR, degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, n. 3), codice di rito, per non avere ritenuto i Giudici che, considerato che le operazioni contestate avevano generato anche ricavi e questi erano risultati superiori ai correlati costi, la deduzione dei secondi doveva comunque essere ammessa. La ricorrente, in particolare, deduce che, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 convertito dalla L. n. 44 del 2012, sulla base dei principi dell’ordinamento tributario, quali desumibili dagli artt. 3 e 53 Cost. e dalle altre disposizioni del TUIR richiamate (artt. 72,83,85 e 109), nel caso in cui sia accertato il carattere fittizio di un’operazione, i relativi ricavi, in quanto fittizi, devono escludersi dalla formazione dell’imponibile, e, simmetricamente, che assoggettando ad imposizione i ricavi fittizi devono considerarsi deducibili i connessi costi fittizi, in quanto riferibili ad attività e beni da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito.

12.1. In proposito deve anzitutto rilevarsi che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8 sia in materia di accertamento dell’iva, che delle imposte sui redditi, qualora l’amministrazione, ritenendo fittizia (oggettivamente o soggettivamente) un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione: l’amministrazione non aveva dunque alcun obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (Cass. 17729/2009 e Cass. 3267/2012).

12.2. Il motivo deve essere quindi rigettato, dovendosi dare continuità all’indirizzo per cui, in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, in base alla disposizione vigente ratione temporis e cioè prima della modifica legislativa di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 convertito dalla L. n. 44 del 2012, anche laddove la Amministrazione Finanziaria avesse ritenuto fittizi i costi non aveva alcun obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati, e la corretta applicazione della regola dell’onere della prova.

13. E’ invece fondato il decimo motivo del ricorso n. 21224 con cui si denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 convertito dalla L. n. 44 del 2012 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la CTR applicato alla presente fattispecie la suddetta norma, che risulta applicabile, ove più favorevole, anche retroattivamente.

13.1. Come già ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 7896 del 2016 Rv. 639570, conformemente ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato, sia precedente (Cass. 27040/2014 e Cass. 25967/2013) che successivo (Sez. 5 -, Ordinanza n. 19000 del 17/07/2018 Rv. 649776 – 01) a dette pronunce, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti e con riguardo alle imposte sui redditi, quali configurabili nel caso di specie, “ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv., con mod., nella L. n. 44 del 2012, che ha portata retroattiva ed è applicabile anche d’ufficio, i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese”. In tema di operazioni oggettivamente inesistenti, atteso che, infatti, non vi è simmetria, nè automatismo biunivoco tra costi per acquisti inesistenti e ricavi dichiarati e che, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv., con mod., nella L. n. 44 del 2012 (avente portata retroattiva, in quanto più favorevole della L. n. 537 del 1993, previgente art. 14, comma 4 bis), i componenti positivi direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, ne consegue che spetta al contribuente provare la diretta afferenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19000 del 17/07/2018 Rv. 649776 – 01). In tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.

13.2 Va in conseguenza accolto, nei termini sopra indicati il decimo motivo del ricorso n. 21224.

14. Resta da esaminare il nono motivo del ricorso del ricorso 21217 con cui la ricorrente lamenta, con riferimento all’IVA, omessa pronuncia sulla applicabilità della sanzione per mancanza di colpevolezza, in violazione del D.Lgs. n. 473 del 1997, artt. 5 e 17 poichè, a fronte dello specifico motivo del ricorso iniziale della contribuente, che aveva dedotto la assenza nel caso in esame dell’elemento soggettivo della violazione, contestata da parte della ricorrente, che si era premurata di verificare l’effettiva utilizzabilità delle licenze distribuite, nessuna risposta era stata fornita dalla sentenza di primo grado e neppure da quella di appello, benchè la contribuente, in sede di appello, a pagina 68, avesse dedotto che era assente qualsiasi motivazione in ordine all’elemento soggettivo della colpa.

14.1. Tale motivo è infondato.

14.2. In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 è infatti ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 22329 del 13/09/2018 Rv. 650506 – 01). Ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava invece sul contribuente ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12901 del 15/05/2019 Rv. 653863 – 01). La prova della assenza della colpa, che deve essere offerta dal contribuente, va poi distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (. Cass. Sez. 5 Sentenza n. 2139 del 30/01/2020 Rv. 656818 – 02; Sez. 2-, Sentenza n. 24081 del 26/09/2019 Rv. 655361 – 01).

14.3. In ogni caso sia il pvc, per la parte riportata nella sentenza impugnata, cui aveva pienamente aderito l’accertamento, ma anche le sentenze di primo e di secondo grado hanno ampiamente motivato sulla esistenza del comportamento non solo volontario, ma addirittura fraudolento della società e sulla piena consapevolezza della frode ai danni dell’Erario anche da parte dell’amministratore della società il quale si attivava per compensare le posizioni debitorie e creditorie aperte nei vari conti correnti economici e finanziari attinenti le licenze d’uso in modo da presentare saldi zero in occasione delle verifiche trimestrali da parte della società di auting Price Waterhouse Coopers, “per cui, sulla base di quanto emerso in sede di verifica, si poteva affermare con certezza che la società Ghirlanda fosse consapevolmente inserita nel sistema di frode costituito dal gruppo che mirava costantemente a frodare l’Erario ed ottenere indebito vantaggi fiscali”.

14.4. La sentenza impugnata, facendo a sua volta proprie le prove emerse in sede di pvc, ha quindi accertato non solo la coscienza e la volontà della condotta, bensì anche, pur non essendo richiesto dalla disposizione di cui all’art. 5 citato, il dolo, il che rende irrilevante la questione della mancanza di colpa dedotta dalla ricorrente. Nè rileva in quale parte dell’accertamento sia stata contenuta la motivazione relativa alla condotta dolosa poichè l’accertamento è un atto unitario che deve essere valutato come tale.

15. In conclusione, deve essere accolto il decimo motivo del ricorso n. 21224/2013, respinti gli altri e il ricorso n. 21217/2013. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata per nuovo esame. su tali punti, ad altra sezione della CTR della Lombardia, la quale procederà alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Considerato il totale rigetto del ricorso n. 21217/2013, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si deve dare atto, in relazione a tale ricorso, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte, Rigetta il ricorso n. 21217/2013;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, in relazione al ricorso rigettato, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto. Accoglie il decimo motivo del ricorso n. 21224/2013, respinti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, innanzi ad altra sezione della CTR della Lombardia, che deciderà in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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