Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 73 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 04/01/2017, (ud. 13/10/2016, dep.04/01/2017),  n. 73

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5731-2011 proposto da:

D.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI BOIOCCHI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE PASCHI SIENA C.F. (OMISSIS), (già BANCA AGRICOLA

MANTOVANA S.P.A., fusasi per incoporazione nella BANCA MONTE DEI

PASCHI DI SIENA), in persona del legale rappresentante pro tempore,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio

dell’avvocato SAVERIO CASULLI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GIACINTO FAVALLI, MARIA DAMIANA LESCE,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 616/2009 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 02/03/2010 r.g.n.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA;

udito l’Avvocato CASULLI SAVERIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 616 del 2009, la Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva rigettato la domanda con la quale D.L. chiedeva di ritenere la sussistenza della giusta causa delle dimissioni che aveva rassegnato in data 17/7/2007 dal rapporto di lavoro con Banca Agricola Mantovana, a motivo del demansionamento che asseriva di avere subito, e conseguentemente di condannare la Banca alla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso nella misura di otto mensilità; confermava la sentenza di primo grado anche laddove aveva accolto la domanda riconvenzionale dell’istituto di credito che chiedeva, sul presupposto dell’ insussistenza del demansionamento, la liquidazione in suo favore dell’indennità sostitutiva del preavviso che, tenuto conto del patto di prolungamento del preavviso sottoscritto dalle parti in data 16/5/2006, era pari a 12 mesi.

La Corte territoriale argomentava che dal supplemento istruttorio compiuto era emerso che nell’ambito di una ristrutturazione aziendale, Banca Agricola Mantovana aveva deciso che alcune filiali della provincia di (OMISSIS), tra cui quella di (OMISSIS) della quale il D. era responsabile, venissero trasformate in sportelli avanzati, con la conseguente perdita dell’autonomia creditizia. Tale perdita comportava che la gestione dei clienti “small business” (le aziende con fatturato sino ad Euro 2.500.000) sarebbe passata alla sede di (OMISSIS), mentre sarebbe rimasta alla filiale la gestione dei rapporti con i clienti privati. Tale modifica non costituiva ad avviso della Corte d’appello un demansionamento idoneo a costituire giusta causa di dimissioni, in assenza di prova del numero dei clienti aziendali sottratti alla filiale, e considerato che la ristrutturazione si era protratta per soli nove giorni prima delle stesse. Aggiungeva che il patto di prolungamento del preavviso a 12 mesi stipulato in data 16/5/2006 faceva seguito ad un precedente patto dello stesso tenore del 2001 e non poteva considerarsi nullo per violazione dell’art. 2077 c.c., in quanto il termine più breve previsto dal contratto collettivo era dichiarato espressamente derogabile da accordi individuali, che nel caso esso era retribuito in modo congruo (con un importo di Euro 5000,00 per il 2006) ed inoltre che valeva solo per due anni, decorsi i quali era previsto che il lavoratore potesse recedere con sei mesi di preavviso.

Per la cassazione della sentenza D.L. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena (già Banca Agricola Mantovana S.p.A.), che ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo, il ricorrente denuncia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa il punto decisivo dell’accertamento della dequalificazione. Lamenta in particolare che la Corte d’appello avrebbe preso pressochè ad esclusivo riferimento per valutare la portata del preteso mutamento delle sue mansioni, da direttore di filiale a responsabile di sportello avanzato, un passo della deposizione del teste R. estrapolandolo dal contesto, ignorando l’affermazione resa dal teste B. il quale, facendo riferimento al colloquio avuto con il D., ebbe a dichiarare che la filiale di (OMISSIS) avrebbe perduto la sua autonomia creditizia, che sarebbe passata alla sede di (OMISSIS); avrebbe ulteriormente ignorato un documento confessorio, in quanto proveniente dalla stessa banca, ossia l’ordine di servizio del 25/6/2007, relativo alla riduzione a sportello della filiale di (OMISSIS), ove si legge che gli sportelli “sono da considerare alla stregua di un prolungamento operativo sul territorio della capozona”. Avrebbe inoltre ritenuto poco attendibile il documento proveniente dalla F.a.b.i., relativo ai nuovi inquadramenti previsti per le filiali e gli sportelli, ignorando il fatto che esso prevede che la preposizione alla filiale ordinaria comporta da subito l’attribuzione della qualifica di quadro di 2^ Livello, mentre la gestione dello sportello presuppone l’inquadramento di semplice impiegato di 3^ Livello, inferiore a quello del D. che e QD2.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. In merito all’operata critica della ricostruzione fattuale, occorre ribadire che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (pur nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012), non equivale a revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione del giudice del merito per una determinata soluzione della questione esaminata, posto che essa equivarrebbe ad un giudizio di fatto, risolvendosi in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità: con la conseguente estraneità all’ambito del vizio di motivazione della possibilità per questa Corte di procedere a nuovo giudizio di merito attraverso un’autonoma e propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 28 marzo 2012, n. 5024; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). Sicchè, per la configurazione di un vizio di motivazione su un asserito fatto decisivo della controversia è necessario che il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia, tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze fondanti il convincimento del giudice, onde la ratio decidendi appaia priva di base, ovvero che si tratti di elemento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata (Cass. n. 22065 del 2014, Cass. n. 18368 del 2013, Cass. n. 16655 del 2011, n. 16655; Cass. (ord.) n. 2805 del 2011).

2.2. Nel caso, il ricorrente si limita a proporre la propria lettura degli atti e dei documenti che sono già stati esaminati dalla Corte d’appello, che ha tratto la consistenza della ristrutturazione aziendale proprio dall’esame delle deposizioni e dei documenti che sono stati richiamati dal ricorrente, desumendone che la perdita dell’autonomia creditizia che ne derivava per la filiale di (OMISSIS) non ne privasse il direttore delle sue prerogative di autonomia e responsabilità.

2.3. Occorre poi rilevare, in relazione alla comunicazione del 22/6/2007 che non è stata espressamente richiamata dalla Corte territoriale nella motivazione, che il ricorso non osserva le prescrizioni desumibili dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (nel testo che risulta a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, operante ratione temporis), nell’interpretazione che ne ha in più occasioni ribadito questa Corte, secondo la quale qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, per rispettare il principio di specificità dei motivi del ricorso – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – ha l’onere di indicare nel ricorso medesimo il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali: ciò allo scopo di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato, senza compiere generali verifiche degli atti (v. Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, Cass. Sez. L, n. 17168 del 2012, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1391 del 2014, Sez. L, Sentenza n. 3224 del 2014). Nel caso, il contenuto del documento è riportato per sintesi e valorizzandone solo alcuni passaggi, di cui solo uno virgolettato, dal significato ambiguo (gli sportelli… “sono da considerare alla stregua di un prolungamento operativo sul territorio della capozona”), il che non consente di coglierne la significatività ai fini di smentire la ricostruzione fattuale della Corte d’appello.

2.4. La Corte territoriale peraltro si è attenuta all’insegnamento in più occasioni ribadito da questa Corte, secondo il quale non è sufficiente qualunque modificazione qualitativa o quantitativa della prestazione per costituire giusta causa di dimissioni ex art. 2119 c.c., essendo invece necessario che essa incida sul livello professionale raggiunto dal dipendente, sulla sua collocazione nell’ambito aziendale, e, con riguardo al dirigente, altresì sulla rilevanza del ruolo (Cass. Sez. n. 8589 2004, n. 14496 del 2005, n. 11430 del 2006).

2.5. Si aggiunge nei richiamati arresti che la valutazione dell’idoneità della condotta del datore di lavoro a costituire giusta causa di dimissioni ex art. 2119 c.c., sotto il profilo del demansionamento, si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. In tal senso, non soffre delle lacune lamentate la motivazione della Corte territoriale, che ha escluso i presupposti per le dimissioni per giusta causa sia sulla base della valutazione del mutamento organizzativo quale realizzato in concreto, sia sulla base della considerazione (che non è stata fatta oggetto di specifica censura) che le dimissioni erano intervenute solo 9 giorni dopo l’introduzione della nuova figura, il che impediva di verificare in concreto quale fosse la differenza qualitativa e quantitativa tra i due incarichi.

3. Come secondo motivo, il ricorrente deduce omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione nella parte in cui la pattuizione relativa al prolungamento del preavviso è stata ritenuta lecita e conforme alle disposizioni dell’art. 2077 c.c.. Premettendo di non porre in discussione l’interpretazione dell’art. 2077 c.c., fornita dalla Corte bresciana, lamenta che essa non avrebbe spiegato perchè la previsione dovesse essere ritenuta migliorativa rispetto al contratto collettivo e quindi in sintonia con la previsione della disposizione codicistica.

4. Neppure tale motivo è fondato.

4.1. Occorre premettere che secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Cass. n. 4991 del 2015 e Cass. n. 22933 del 2015), la durata del preavviso stabilita dal contratto collettivo può essere derogata dal contratto individuale, in relazione a finalità meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, quale quella del datore di lavoro di garantirsi nel tempo la prestazione di un lavoratore particolarmente qualificato, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro.

4.2. La Corte bresciana ha poi adeguatamente compiuto la valutazione di idoneità del patto a comporre gli interessi delle parti ed a realizzare il miglior soddisfacimento (anche) di quello del dipendente, rilevando che, in primo luogo, la previsione del contratto collettivo che stabiliva in un mese la durata del preavviso era dichiarata espressamente derogabile da accordi individuali, dall’altro, che il patto, rinnovatosi negli anni (dopo la prima pattuizione del 2001 ve ne era stata un’altra nel 2006) era adeguatamente remunerato, prevedendo a favore del lavoratore un premio annuo di Euro 5.000,00, in luogo dei 6 milioni di lire l’anno previsti nella clausola del 2001, ed inoltre che era definito temporalmente.

4.3. Risultano pertanto esaminati, nell’ambito della valutazione discrezionale che compete al giudice di merito, tutti gli aspetti della vicenda, sicchè nessun vizio di motivazione può ravvisarsi ed il motivo integra una mera contrapposizione valutativa.

5. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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