Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7299 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. un., 22/03/2017, (ud. 21/02/2017, dep.22/03/2017),  n. 7299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Presidente aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso, iscritto al N.R.G. 16380 del 2015, proposto da:

V.C., rappresentata e difesa, per procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avvocato Gianfranco Polinari, presso lo

studio del quale in Roma, viale Giulio Cesare n. 118, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAMPAGNANO DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del

controricorso, dall’Avvocato Mauro Taglioni, presso lo studio del

quale in Roma, via F. Caracciolo n. 10, è elettivamente

domiciliato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 6, n.

1652/15, depositata il 30 marzo 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

febbraio 2017 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il contro ricorrente, l’Avvocato Cristofari con delega;

sentito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.C., con ricorso notificato il 23 maggio 2013, chiedeva al TAR del Lazio l’annullamento dell’ordinanza n. 24 del 22 marzo 2013, emessa dal Comune di Campagnano di Roma, con la quale le veniva ingiunta la demolizione delle opere edilizie abusive realizzate nel territorio di detto Comune. La ricorrente censurava l’indicato provvedimento unicamente evidenziando che lo stesso era stato emesso a seguito del rigetto dell’istanza di condono, altresì impugnato in separato giudizio.

Il TAR, premesso che il Comune aveva rigettato le istanze di condono presentate dalla ricorrente e che la istanza cautelare proposta da quest’ultima unitamente alla impugnazione del diniego di condono era stata rigettata, rilevava che il diniego di condono risultava tuttora efficace. Dichiarava poi inammissibile il ricorso perchè carente di censure in ordine a vizi del provvedimento impugnato, in violazione del disposto di cui all’art. 40 cod. proc. amm.

Avverso questa decisione la V. proponeva ricorso al Consiglio di Stato che, con sentenza n. 1652 del 2015, in accoglimento della eccezione del resistente Comune, dichiarava inammissibile l’appello, sul rilievo che l’appellante non aveva svolto censure autonome rispetto alla statuizione di inammissibilità contenuta nella sentenza impugnata, essendosi limitata a denunciare, quanto alla ordinanza di demolizione, il mancato accertamento dei presupposti del provvedimento e, quanto alla sentenza del TAR, la “mancata valutazione degli atti, di cui al presente giudizio”, non potendosi individuare un legittimo presupposto per l’emissione dell’ordine di demolizione, prima della conclusione della controversia instaurata in rapporto al diniego di condono, sostenendo altresì che il tribunale avrebbe dovuto valutare se vi erano fondate ragioni per revocare il citato diniego, oggetto di autonomo giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza, la ricorrente ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo.

Il Comune di Campagnano di Roma ha resistito con controricorso, eccependone l’inammissibilità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione dell’art. 295 c.p.c., dolendosi del fatto che il Consiglio di Stato, pur riconoscendo la pregiudizialità del provvedimento di diniego del condono rispetto all’ordine di demolizione, ha poi ritenuto di poter decidere in ordine alla impugnazione dell’ordine di demolizione prima dell’accertamento, con efficacia di giudicato, della legittimità o non del diniego di condono.

2. – Il ricorso è inammissibile.

L’art. 111 Cost., u.c., sancisce: “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso per cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

In applicazione di tale principio, l’art. 362 c.p.c. e l’art. 110 cod. proc. amm., ribadiscono che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, si è chiarito che “i motivi inerenti alla giurisdizione – in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., e dell’art. 362 c.p.c., il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato – vanno identificati nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale o i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione, ossia quando abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito. Detti limiti di sindacabilità delle sentenze del Consiglio di stato non variano a seconda che le sue pronunce siano state emesse nell’esercizio della giurisdizione in materia di interessi legittimi o ricadano nell’ambito della giurisdizione esclusiva, riguardante anche i diritti” (Cass., S.U., n. 13176 del 2006; Cass. n. 8882 del 2005; affermazioni, queste, di recente ribadite da S.U. n. 8586 del 2016, in motivazione).

3. – Nella specie, la ricorrente si limita a dedurre la violazione di una norma processuale; prospetta cioè una censura che non è in alcun modo idonea ad introdurre un motivo attinente alla giurisdizione, non essendo contestato che la controversia rientrasse nella giurisdizione del Consiglio di Stato e neanche allegato che la dedotta violazione di norma processuale abbia comportato un eccesso di potere giurisdizionale, con violazione dei limiti esterni della non contestata giurisdizione del giudice amministrativo.

4. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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