Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7299 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti iscritti nn. 21216/2013 R.G., 21221/2013 RG,

21222/2013 Rg, 21223/2013 RG, proposti da:

EG HOLDING Srl (già Ghirlanda Smart Card Solution Spa), in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche

disgiuntamente tra loro, dagli Avvocati Giuseppe Zizzo, Claudio

Lucisano e Maria Sonia Vulcano giusta procura speciale a margine dei

ricorsi, elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio n. 91,

presso lo studio degli Avvocati Claudio Lucisano e Maria Sonia

Vulcano

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

-controricorrente –

avverso le sentenze n. 37/2013, 36/2013, 34/2013 e 35/2013 della

Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositate in data

11 febbraio 2013;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24.11.2020 dal

Consigliere Dott. Grazia Corradini.

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

(Ndr: testo originale non comprensibile).

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di p.v.c del 7 aprile 2009 emesso a conclusione di una verifica della Guardia di Finanza che aveva riguardato il periodo da 1 gennaio 2004 all’11 febbraio 2009, l’Agenzia delle Entrate notificò alla contribuente Ghirlanda Smart. Card Solutions spa (in seguito EG Holding Srl), sia in qualità di consolidante che di consolidata, anche nel domicilio eletto presso la consolidante, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale venne contestata l’indebita deduzione di costi a fini Ires, relativa all’anno 2005, per quanto qui interessa, derivante dalla rettifica dell’imponibile operata con il precedente avviso n. RIP0088B00149, per Euro 6.250.135,00, accertando un maggiore reddito imponibile da imputare al consolidato appunto di Euro 6.250.135 ed una maggiore imposta teorica di Euro 2.062.545,00 ed irrogando la sanzione per infedele dichiarazione.

La verifica fiscale e le conseguenti riprese a tassazione scaturivano da indagini di p.g. condotte nei confronti del gruppo societario “Gabrius”, all’esito delle quali era emersa un’associazione a delinquere dedita alla realizzazione di una frode fiscale (cd. “carosello”), consistente nell’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, aventi ad oggetto la commercializzazione di licenze relative ad un database, dirette alla costante costituzione di un credito Iva. Secondo quanto risultato dalle indagini la frode veniva realizzata tramite società cartiere, che vendevano le licenze fittizie a distributori italiani, i quali agivano come società filtro e che a loro volta le rivendevano a società estere; tali società ne determinavano, infine, il ritorno nella disponibilità di una delle società del gruppo Gabrius.

Gli accertamenti furono impugnati con quattro separati ricorsi – da cui scaturirono quattro distinti giudizi – dalla società contribuente, la quale lamentò la nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione per omessa indicazione delle ragioni per cui erano state disattese le doglianze formulate con la memoria difensiva presentata ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la illegittimità e la infondatezza dell’atto, la mancanza di prove idonee a supportare la fittizietà delle operazioni, l’esistenza della pretesa frode e la consapevole complicità del contribuente, nonchè, in una prospettiva subordinata, la necessità di escludere i ricavi correlativi ai costi ritenuti fittizi onde evitare una doppia imposizione ed infine la mancata applicazione, quanto al trattamento sanzionatorio, della regola sulla continuazione ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 3.

La CTP di Milano, con sentenza 192/41/2011, depositata il 12 maggio 2011, accolse il ricorso contro l’accertamento (OMISSIS), con cui era stata liquidata la maggiore IRES derivante dalla rettifica dell’imponibile operata con il precedente avviso n. (OMISSIS) ed era stata irrogata la sanzione per infedele dichiarazione, ritenendo illegittima l’applicazione della sanzione relativa alla sola maggiore imposta IRES comminata con l’avviso di accertamento impugnato, poichè non aveva tenuto conto, ai fini del cumulo giuridico previsto dall’art. 12, delle sanzioni comminate con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS)/2010, disponendo che le stesse venissero ricalcolate tenendo conto di tutte di tutte le violazioni contestate per il medesimo anno.

Con sentenza n. 191/41/2011, depositata il 12 maggio 2011, la CTP di Milano, decidendo poi sul ricorso proposto dalla contribuente, in qualità di consolidante, contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) notificato il 15 febbraio 2010, con cui l’Ufficio aveva contestato l’indebita deduzione di costi a fine IRES per Euro 6.250.135,00, accertando un maggior reddito imponibile da imputare al consolidato di Euro 6.250.135,00 ed una maggiore imposta teorica di Euro 2.062.545,00, lo accolse limitatamente alla dedotta inapplicabilità nel caso di specie del divieto di dedurre costi da reato, posto che il processo penale a carico del legale rappresentante della società era stato archiviato, ritenendo altresì che, qualora fossero stati considerati fittizi i costi, sarebbero stati fittizi anche i ricavi, cosicchè, alla stregua del principio della capacità contributiva, doveva essere esclusa pure la esistenza dei ricavi, con conseguente annullamento della ripresa fiscale in merito all’IRES.

Con sentenza n. 228/41/2011, depositata in data 9 giugno 2011, la CTP di Milano accolse, quindi, sempre in merito alla ripresa IRES, il ricorso della società contribuente, contro l’avviso di accertamento n. R1P098B00159, che le era stato notificato presso la sede legale della consolidante, con cui l’Ufficio aveva provveduto a liquidare la maggiore IRES teorica per Euro 2.062.545,00, oltre ad interessi e sanzioni, richiamando l’altra sua sentenza in pari data che aveva già annullato lo stesso avviso di accertamento e le relative sanzioni comminate.

Contro la sentenza della CTP n. 192/14/11 propose appello l’Ufficio (cui venne attribuito il n. RGA 97/12) che venne accolto dalla CTR della Lombardia con la sentenza n. 37/2013, depositata in data 11 febbraio 2013, la quale riformò la sentenza impugnata, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento impugnato anche quanto alle sanzioni poichè la contribuente, con una pluralità di azioni protratte nel tempo, aveva violato disposizioni relative a diverse imposte (IVA IRES e IRAP) e la violazione era stata posta in essere attraverso una pluralità di azioni che si erano estrinsecate nella predisposizione di falsi documenti da cui risultavano operazioni oggettivamente inesistenti, oltre che nella tenuta di scritture contabili false e nella predisposizione di dichiarazioni dei redditi ed IVA mendaci, per cui era legittima l’applicazione della sanzione relativa alla sola maggiore imposta IRES comminata con l’avviso di accertamento, non trovando applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 3.

Contro la stessa sentenza propose altresì appello la contribuente (cui venne attribuito il numero RGA 35/2012) contestando l’omessa pronuncia nel merito e riproponendo le questioni già prospettate in primo grado. L’appello fu deciso con sentenza separata n. 36/20/2013, depositata 111 febbraio 2013, che, omettendo la riunione degli appelli contro la stessa sentenza e premesso che, sulla base di quanto emerso in sede di verifica, si poteva affermare che la Ghirlanda fosse una delle società inserite in un sistema di frode costituito da varie società che mirava costantemente a frodare l’Erario ed ottenere indebiti vantaggi fiscali, respinse la impugnazione della contribuente ritenendola non meritevole di accoglimento e ribadì la correttezza della applicazione della sanzione relativa alla sola maggiore imposta IRES comminata con l’avviso di accertamento.

Contro la sentenza n. 191/4/2011 propose ugualmente appello l’Ufficio (n. RGA 99/2012) che fu accolto dalla CTR della Lombardia con sentenza n. 35/2013, depositata l’11 febbraio 2013, la quale riformò la sentenza impugnata, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento impugnato. Premessa la ricostruzione del meccanismo fraudolento posto in essere dalla contribuente, che era una delle società inserite in un sistema di frode costituito da varie società dello stesso gruppo mirante costantemente a frodare l’Erario ed ottenere indebiti vantaggi fiscali, la CTR ritenne che si fosse in presenza di operazioni radicalmente inesistenti, sulla base delle risultanze del pvc, non smentite dalle argomentazioni di controparte, il che rendeva indeducibili i costi, i quali. ai fini IRES e IRAP dovevano essere rigorosamente documentati ed anche indetraibile l’IVA, essendo provata la assenza della buona fede in capo alla società Ghirlanda.

Contro la separata sentenza della CTP n. 228/4/2011 propose infine appello l’Ufficio (n RGA 95/2012) deducendo che, in caso di frode fiscale, i costi non erano deducibili a meno che non fossero sopportati a fronte di operazioni effettive e reali, purchè risultasse la buona fede del contribuente e che il regime della buona fede non poteva variare a seconda che si discutesse di IVA o di imposte dirette o IRAP. Con sentenza n. 34/20/2013 la CTR accolse l’appello dell’Ufficio e, in riforma della sentenza impugnata, ritenne legittimo l’accertamento. Rilevò come correttamente i costi – così come ritenuto dalla sentenza di primo grado e come emergente dal pvc della Guardia di Finanza – erano stati ripresi a tassazione ai fini IRES ed IRAP ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 11, posto che il recupero si fondava sul D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, la cui applicazione non era mai stata contestata e come la sentenza impugnata fosse in contrasto con la sentenza n. 190/41/2011 resa nella stessa dalla stessa CTR in procedimento connesso ad oggetto IVA ed IRAP che aveva a sua volta confermato come le operazioni poste in essere dalla società Ghirlanda fossero oggettivamente inesistenti e che fosse completamente assente la buona fede avendo il contribuente consapevolezza della frode.

Contro le quattro sentenze di appello ha proposto quattro distinti ricorsi per cassazione, notificati il 25 settembre – 30 settembre e 2 ottobre 2013, la società contribuente ai quali sono stati attribuiti i numeri RG 21216/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 37/2013), RG 21221/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 36/2013), RG 21222/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 34/2013) e RG 21223/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 35/2013), affidati rispettivamente a tre, otto, dodici ed undici motivi di ricorso. (Ndr: testo originale non comprensibile)

Resiste con quattro separati controricorsi la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale va disposta la riunione tra i ricorsi n. 21216, 21222, 21221 e 21223/2013, chiamati tutti alla stessa udienza e relativi ad impugnazioni dello stesso avviso di accertamento dell’IRES per l’anno 2005 rimaste separate nel giudizio di merito, anche nel caso di impugnazioni contro la stessa sentenza di primo grado in cui il giudice avrebbe dovuto disporre la riunione già in sede di appello. L’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova infatti applicazione, a norma dell’art. 335 c.p.c., anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi sia, a maggior ragione, in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello in un medesimo giudizio, legate l’una all’altra da un rapporto di pregiudiziaiità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione, trattandosi nella specie della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza o comunque di impugnazione di sentenze emesse in relazione allo stesso atto impositivo (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22631 del 31/10/2011 Rv. 620433 – 01).

2. Ciò posto, con il ricorso n. 21216/2013 la contribuente impugna con tre motivi la sentenza della CTR n. 37/2013, che aveva accolto l’appello dell’Ufficio e confermato integralmente l’accertamento relativo all’IRES 2005, lamentando, con tre motivi: la mancanza di motivazione idonea a raggiungere lo scopo per incomprensione del ragionamento che aveva portato la CTR ad accogliere l’appello dell’Ufficio sulla indeducibilità dei costi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (motivo n. 1); la mancata pronuncia in ordine alla necessità di riconoscere i costi relativi alle operazioni che avevano generato anche i ricavi superiori ai primi, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (motivo n. 2); ed infine violazione del principio del cumulo giuridico di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 3, che doveva essere applicato con riguardo a tutte a tutte le sanzioni irrogate anche con diverso accertamento, ai fini IRES, IRAP ed IVA, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (motivo n. 3)

3. Con il ricorso n. 21222/2013 la contribuente impugna la sentenza della CTR n. 34/2013 (che aveva accolto l’appello dell’Ufficio e confermato l’accertamento impugnato) sulla base di dodici motivi che possono così riassumersi:

3.1. Con il primo motivo la contribuente denunzia omessa pronuncia, da parte della sentenza impugnata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine alla nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione sotto il profilo della mancata indicazione delle ragioni per le quali erano state respinte le osservazioni formulate dalla ricorrente in ordine alle memorie difensive presentate ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

3.2. Con il secondo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di secondo grado ritenuto che l’archiviazione ex artt. 408 e ss. c.p.p., dell’unico procedimento penale avviato sui fatti in contestazione non abbia determinato l’inapplicabilità del divieto di deduzione di costi a fini Ires.

3.3. Con il terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici ritenuto che il divieto di deduzione operi anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, quali sono quelle oggetto della controversia.

3.4. Con il quarto motivo si denunzia la nullità della sentenza per inidoneità al raggiungimento dello scopo per assenza della motivazione, in violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e del D.Lgs. n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la CTR ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione della inesistenza oggettiva delle operazioni fossero dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.6. Con il sesto motivo la contribuente denunzia la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 codice di rito, n. 3), per avere i giudici ritenuto che l’elemento offerto dall’Ufficio a dimostrazione della frode e cioè una generica dichiarazione resa in sede penale, non corroborata da ulteriori elementi, fosse dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

3.7.Con il settimo motivo si denunzia la medesima violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione della assenza della buona fede della società fossero dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.8. Con l’ottavo motivo si lamenta omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti costituito dalla effettiva attuazione delle operazioni oggetto di contestazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.9 Con il nono motivo si sostiene omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti costituito dalla consapevole partecipazione della Ghirlanda alla asserita frode, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.10. Con il decimo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 72,83,85 e 109 TUIR, e degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 codice di rito, n. 3), per non avere ritenuto i Giudici che, poichè le operazioni contestate avevano generato anche ricavi e questi erano risultati superiori ai correlati costi, la deduzione dei secondi doveva comunque essere ammessa. La ricorrente, in particolare, deduce che, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv. nella L. n. 44 del 2012, sulla base dei principi dell’ordinamento tributario, quali desumibili dagli artt. 3 e 53 Cost., e dalle altre disposizioni del TUIR richiamate (artt. 72,83,85 e 109), nel caso in cui sia accertato il carattere fittizio di un’operazione, i relativi ricavi, in quanto fittizi, devono escludersi dalla formazione dell’imponibile, e, simmetricamente, che assoggettando ad imposizione i ricavi fittizi devono considerarsi deducibili i connessi costi fittizi, in quanto riferibili ad attività e beni da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito.

3.11. Con l’undicesimo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv. nella L. n. 4 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la CTR applicato alla presente fattispecie la suddetta norma, che risulta applicabile, ove più favorevole, anche retroattivamente.

3.12. Con il dodicesimo motivo si denunzia omessa pronuncia in ordine alla illegittimità dell’avviso nella parte in cui aveva irrogato sanzioni in violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4. Con il ricorso n. 21223/2013 la contribuente impugna la sentenza della CTR n. 35/2013 (che aveva accolto l’appello dell’Ufficio e confermato l’accertamento impugnato) sulla base di undici motivi speculari ai primi undici motivi del ricorso n. 21222/2013.

5. Infine, con il ricorso n. 21221/2013, la contribuente impugna la sentenza della CTR n. 36 del 2013, che aveva respinto l’appello della contribuente, con otto motivi di ricorso che possono così riassumersi:

5.1. Con il primo motivo si denunzia la nullità della sentenza per inidoneità al raggiungimento dello scopo per assenza della motivazione e della enunciazione delle richieste delle parti e della concisa esposizione dello svolgimento del processo, in violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e del D.Lgs. n. 546, art. 36, comma 2, nn. 2, 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. 5.2. Con il secondo motivo la contribuente denunzia omessa pronuncia, da parte della sentenza impugnata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine alla nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione sotto il profilo della mancata indicazione delle ragioni per le quali erano state respinte le osservazioni formulate dalla ricorrente in ordine alle memorie difensive presentate ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12 comma 7.

5.3. Con il terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo si deduce omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine alla idoneità degli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrare la inesistenza delle operazioni contestate, la loro appartenenza ad un sistema di “frode carosello” e la consapevole partecipazione della società a tale sistema (motivo 3); in ordine alla effettività delle operazioni contestate, nonchè alla estraneità della società al sistema di “frode carosello” che l’Ufficio assumeva attuato (motivo 4); in ordine alla circostanza che la incolpevole buona fede escludeva che si potesse negare il diritto alla deduzione dei costi in relazione alle operazioni contestate (motivo 5); in ordine alla inapplicabilità alla fattispecie in esame del divieto di deduzione contenuto nella L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis (motivo 6); ed in ordine alla necessità di riconoscere la deduzione dei costi relativi alle operazioni contestate posto che avevano generato ricavi (motivo 7).

5.4. Con l’ottavo motivo la ricorrente si duole, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del fatto che la sentenza di appello si fosse pronunciata su una questione (quella relativa alla legittimità della sanzione erogata) che non era stata dedotta alla sua cognizione.

6. in via preliminare, si deve prendere atto della esistenza delle sentenze di questa Corte n. 7896 e 7897 dei:2016 (delle quali si dà atto nel ricorso RGN 6448/2018 chiamato ugualmente alla odierna udienza), che, decidendo su due ricorsi proposti sempre dalla EG HOLDIND Srl (basati su motivi similari a quelli proposti con gli attuali quattro ricorsi) contro speculari accertamenti emessi dalla Agenzia delle Entrate con riguardo all’IRES ed all’IVA – IRAP per la annualità 2006, hanno rigettato i primi nove motivi di ricorso – che attenevano alla dedotta violazione dell’obbligo di motivazione degli accertamenti, alla dedotta inapplicabilità del divieto di deduzione dei costi in presenza di archiviazione ex art. 408 e ss., dell’unico procedimento penale avviato sui fatti in contestazione, al divieto di deduzione dei costi in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, alla violazione della regola dell’onere della prova in relazione a diversi profili ed alla pretesa violazione della normativa in materia di deducibilità dei costi fittizi in presenza di ricavi superiori ai costi, prima della modifica legislativa di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, convertito dalla L. n. 44 del 2012, considerato che, anteriormente all’entrata in vigore della detta disposizione, sia in materia di accertamento dell’iva, che delle imposte sui redditi, qualora l’amministrazione, ritenendo fittizia (oggettivamente o soggettivamente) un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione – ed hanno invece accolto il decimo e l’undicesimo motivo dei ricorsi, annullando le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinviando anche per le spese innanzi ad altra sezione della CTR della Lombardia.

6.1. In proposito le suddette sentenze di questa Corte hanno rilevato che, con riguardo alle operazioni inesistenti, quali configurabili nel caso di specie, il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, come convertito nella L. n. 44 del 2012 – costituente ius superveniens, applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3 – aveva stabilito che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese. In tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.

6.2. Quanto all’undicesimo motivo con cui si denunziava la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la CTR affermato che le sanzioni irrogate con l’atto impugnato, riguardando esclusivamente l’esercizio 2006, erano state correttamente calcolate, le sentenze n. 7896 e 7897 del 2016 di questa Corte hanno poi ritenuto ugualmente fondato il motivo poichè il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, prevede l’istituto del cumulo delle sanzioni amministrative nel caso di infrazioni della medesima indole, relative a più periodi d’imposta e a più tributi, mentre invece la CTR, a fronte della specifica domanda della contribuente, non aveva valutato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni (plurime violazioni della stessa specie, unificabili a titolo di concorso e progressività), limitandosi a rilevare che dette sanzioni si riferivano al solo anno 2006.

6.3. Orbene, le suddette sentenze di questa Corte, che affrontano, sia pure per la annualità successiva (2006), peraltro collegata a quella esaminata negli attuali ricorsi (2005) perchè gli accertamenti delle imposte erano scaturiti dalla unitaria verifica fiscale ed erano motivati in modo sostanzialmente ripetitivo, questioni analoghe a quelle oggetto del presente giudizio, non possono integrare il giudicato esterno, alla luce dei principi propri della materia tributaria per cui l’effetto vincolante del giudicato esterno trova ostacolo in relazione alle qualificazioni giuridiche, nonchè alle argomentazioni della sentenza, poichè detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, nè è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto; cosicchè l’efficacia del giudicato esterno è limitata ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata con consequenziale esclusione della efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale o in relazione a più ridotti periodi temporali (v. ex pluribus Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013 Rv. 628972 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 21824 del 07/09/2018 Rv. 650505 – 01). Le indicate sentenze n. 7896 e 7897 del 2016 di questa Corte integrano peraltro un precedente del tutto in linea con gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità ormai consolidati in ordine alle questioni che investono l’attuale giudizio, di cui si darà conto nel corso dell’esame dei motivi dei ricorsi proposti nel presente giudizio, ritenendo di dovervi dare continuità anche in questa sede.

7. Ciò posto, potendosi trattare congiuntamente i motivi, pur relativi a diversi ricorsi, che peraltro investono identiche questioni e partendo dai motivi di ricorso con cui si deduce omissione di pronuncia e conseguente nullità della sentenza per mancanza di motivazione idonea a raggiungere lo scopo a causa della incomprensione del ragionamento logico che aveva condotto la sentenza impugnata ad una certa decisione (motivi n. 1 e n. 2 del ricorso n. 21216; motivo n. 4 del ricorsi n. 21222 e n. 21233 e motivi nn. 1, 3, 4. 5, 6 e 7 del ricorso n. 21221), occorre preliminarmente rilevare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 (Rv. 627268 – 01).

7.1. Nel caso in esame, pur essendo stata dedotta la omessa pronuncia con specifico riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, in realtà la ricorrente si duole non già della mancanza della decisione (che riconosce essere presente quanto meno nel dispositivo della sentenza, in concordanza con le sia pure sintetiche esplicitazioni della motivazione), bensì di insufficienza della motivazione con riguardo a motivi di appello presi in esame in altra sentenza collegata che aveva deciso sull’appello di altra parte ovvero sulla separata impugnazione dello stesso accertamento. Ciò deriva dalla circostanza che la CTR non aveva disposto la riunione degli appelli proposti separatamente contro la stessa sentenza ed aveva poi risposto alle censure dell’una o dell’altra parte in altra sentenza collegata (pur se non oggetto di un provvedimento formale di riunione) pronunciata nella stessa data fra le stesse parti. La riunione dei ricorsi contro le quattro sentenze emesse con riguardo allo stesso accertamento di 1RES per la annualità 2005, disposta in questa sede, hanno consentito peraltro di verificare che è intervenuta la decisione sulla intera materia del contendere attraverso una visione unitaria derivante dalla ricomposizione delle quattro decisioni di merito ed in particolare degli appelli contro la stessa sentenza.

7.2. Dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel caso in esame, essendo state le sentenze impugnate depositate l’11 febbraio 2013, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione dei caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5), presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Sez. 6 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014 (Rv. 632914 – 01 e successive conformi). Nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non può invece ritenersi sussistente nè la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, nè la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. L -, Sentenza n. 26764 del 21/10/2019 Rv. 655514 – 01).

7.3. Calando tali principi derivanti da una elaborazione giurisprudenziale consolidata di questa Corte nel caso concreto, appare allora come presentino ampi profili di inammissibilità e siano comunque infondati i motivi di ricorso sopra indicati poichè: i motivi 1 e 2 del ricorso 21216 deducono motivazione soltanto implicita sull’appello dell’Ufficio quanto alla correttezza dell’accertamento del tributo ed alla necessità di riconoscere la deduzione dei costi relativi alle operazioni contestate posto che avevano generato anche ricavi, il che aveva costituito oggetto di uno specifico motivo del ricorso iniziale della contribuente, però la sentenza, sia pure sinteticamente, non solo dichiara esplicitamente di ritenere fondato e di accogliere l’intero appello dell’ufficio, ma indica anche, nella lunga parte espositiva, il meccanismo fraudolento posto consapevolmente in atto dalla contribuente e, a pagina 4, le ragioni per cui l’appello dell’Ufficio era stato accolto con riguardo al ritenuto accertamento della predisposizione di falsi documenti e di false scritture contabili, oltre di false dichiarazioni dei redditi, da cui erano scaturite le operazioni oggettivamente inesistenti, per cui i costi non erano deducibili, il che era sufficiente per escludere il vizio di omessa pronuncia; il motivo 4 dei ricorsi n. 21222 e 21223 si limita a sostenere che la sentenza avrebbe sposato le tesi dei verificatori senza consentire di comprendere i motivi della decisione con riguardo alla esistenza della frode e della consapevolezza della società di parteciparvi, senza però considerare che i motivi sono ampliamente esplicitati nella parte espositiva delle sentenze e che la valutazione delle prove, sia pure per adesione alla ricostruzione operata dai verificatori, non appare censurabile in sede di legittimità, tanto meno sotto il profilo della omessa pronuncia; ed infine i motivi 1, 3, 4, 5, 6 e 7 del ricorso n. 21221 rilevano omessa pronuncia della sentenza impugnata con riguardo alla esposizione dei fatti di causa e alla concisa esposizione dello svolgimento dei processo, nonchè all’omesso esame delle questioni giuridiche poste dalla contribuente con l’appello in relazione alla inidoneità dei tatti accertati a dimostrare il preteso sistema di “frode carosello” e la consapevole partecipazione della società ad esso oltre che la inapplicabilità alla fattispecie in esame dei divieto di deduzione contenuto nella L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, però anche in tal caso la sentenza impugnata espone certamente i fatti e lo svolgimento del processo e pure (pag. 3) i motivi di appello proposti dalla contribuente (pur non potendo la esposizione dei fatti determinare un motivo di nullità della sentenza e tanto meno per omessa pronuncia) ed indica poi a pagine 3 e 4 il meccanismo fraudolento posto consapevolmente in atto dalla contribuente e le ragioni per cui era stato rigettato l’appello della contribuente con riguardo al ritenuto accertamento della predisposizione di falsi documenti e di false scritture contabili, oltre di false dichiarazioni dei redditi, da cui erano scaturite le operazioni oggettivamente inesistenti, cosicchè, sulla base di quanto emerso in sede di verifica, si poteva con certezza affermare che la Girlanda fosse una delle società inserite in un sistema che mirava costantemente a frodare l’Erario ed ottenere indebiti vantaggi fiscali; e ciò, nonostante la sinteticità e le difficoltà di lettura della motivazione, esclude comunque che si possa trattare di omessa pronuncia o comunque di motivazione inesistente o apparente.

8. I motivi n. 1 del ricorso n. 21222, n. 2 del ricorso n. 21221 e n. 1 del ricorso n. 21223 sono infondati.

8.1. Premesso che non è qui in discussione la violazione da parte dell’Amministrazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, del termine dilatorio di sessanta giorni (dal rilascio di copia del pvc di chiusura delle operazioni) per l’emanazione dell’avviso di accertamento che, in conformità ad indirizzo ormai consolidato di questa Corte (a partire da Cass. S.U. 18184/2013), determina di per sè l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, salva la ricorrenza, da comprovarsi da parte dell’Ufficio, di specifiche ragioni di urgenza, essendo, nel caso di specie, pacifico il rispetto da parte dell’Amministrazione dei termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la contribuente lamenta invece che nella motivazione dell’avviso di accertamento non siano state specificamente confutate le deduzioni ed osservazioni rese all’esito della notifica del p.v.c. e deduce sotto tale profilo la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

8.2. Ora, se è vero che il rispetto del termine dilatorio su menzionato, in quanto strumentale a consentire all’Amministrazione la valutazione delle osservazioni e deduzioni del contribuente, risulta direttamente attuativo del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, “quale indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del miglior esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione” (cosi Cass. S.U. 24823/2015), non può però ritenersi che il rispetto del contraddittorio si traduca in un obbligo di specifica motivazione, nell’avviso di accertamento, sulle deduzioni ed osservazioni del contribuente, sanzionato a pena di nullità, considerato anche che la nullità deve essere espressamente prevista e che non è stata prevista in tale ipotesi. Nè tale obbligo è in generale previsto dallo Statuto del contribuente, che, all’art. 7 prevede che gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione.

8.3. L’ordinamento tributario conosce peraltro ipotesi, specifiche, in cui l’obbligo di motivazione in ordine alle deduzioni del contribuente è espressamente previsto a pena di nullità, come nell’ipotesi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, commi 4 e 5, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 7, ma, al di fuori di casi specifici, espressamente previsti dalla legge o connaturati alla stessa natura dello strumento utilizzato (come nel caso degli “accertamenti standardizzati”), non è ravvisabile un obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento in relazione a qualsivoglia deduzione del contribuente, dovendo invece ritenersi che il relativo obbligo sia soddisfatto mediante l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che giustificano le diverse contestazioni, con un grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa, si da porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l”an” ed il “quantum debeatur” (Cass. 16836/2014).

8.4. E’ ben possibile perciò una reiezione implicita delle allegazioni del contribuente, con la conseguenza che non può affermarsi la mancanza di motivazione dell’accertamento per il solo fatto che le osservazioni suddette, pur valutate dall’Ufficio, non siano state espressamente richiamate in motivazione (magari con mera clausola di stile), sussistendo, al contrario, una obiettiva carenza motivazionale del provvedimento, solo quando risulti, ricadendo il relativo onere probatorio sul contribuente, che, a fronte di contestazioni specifiche e rilevanti, incidenti su fatti decisivi, idonee ad inficiare gli stessi presupposti dell’accertamento (o di singole riprese), l’atto impositivo abbia del tutto omesso di indicare le ragioni per le quali dette contestazioni sono state disattese c.c. i relativi terni d’indagine non approfonditi, onde da tale mancanza sia derivata una obiettiva e sostanziale incompletezza o incoerenza della ratio delle riprese a tassazione.

8.5. Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a censurare la mancata risposta alle proprie deduzioni difensive esplicitate in 45 pagine, senza indicare peraltro nel ricorso quale sarebbe stato il contenuto della memoria, riportando invece la pur sintetica risposta dell’Ufficio, contenuta nell’accertamento, dove era scritto che l’Ufficio aveva ritenuto che la memoria “non contenga elementi validi per contrastare i rilievi evidenziati dai militari ed accolti nei presenti atto (pag. 4 dell’avviso di accertamento)”. Una risposta vi è quindi stata, mentre manca qualsiasi indicazione dei motivi per cui a mancanza di confutazione avrebbe determinato una sostanziale carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, con sostanziale disapplicazione del contraddittorio e delle argomentazioni difensive della contribuente, il che rende pure non specifico il motivo di ricorso per cassazione.

9. I motivi n. 2 del ricorso n. 21222 e del ricorso n. 21223, con cui si denunzia la violazione o falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di secondo grado ritenuto che l’archiviazione ex artt. 408 e ss. c.p.p., dell’unico procedimento penale avviato sui fatti in contestazione non abbia determinato l’inapplicabilità del divieto di deduzione di costi a fini Ires, sono inammissibili, in quanto non censurano ambedue le rationes decidendi della statuizione impugnata (v. anche, specificamente, Cass. n. 7896 e 7897 del 2016).

9.1. La CTR, infatti, nel confermare la ripresa avente ad oggetto la indeducibilità dei costi non ha fatto soltanto riferimento al provvedimento di archiviazione in sede penale, ma ha altresì rilevato che il recupero si fondava anche sull’art. 109 TUIR, per cui i costi in oggetto erano stati ripresi a tassazione ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 11.

9.2. Come già ritenuto da questa Corte, in tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti -inserite, o meno, in una “frode carosello”-, per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo per i costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo, ovvero che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass.2646112014). E tale ulteriore ratio decidendi, vale a dire la mancanza di certezza, effettività ed inerenza dei costi, non risulta specificamente censurata dalla contribuente, il che determina la inammissibilità dei motivi di cui si tratta.

10. Sono inammissibili pure i motivi n. 3 dei ricorsi n. 21222 e 21223 con cui si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici ritenuto che il divieto di deduzione operi anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, quali sono quelle oggetto della controversia. Esso infatti ripropone la sola violazione del sopra citato, art. 14, ma non censura, neppure in tal caso, l’ulteriore ratio decidendi della statuizione impugnata, avente ad oggetto l’indeducibilità dei costi per la mancanza dei requisiti di cui l’art. 109 TUIR, cui è subordinata, in via generale, la deducibilità dei componenti negativi, e la cui ricorrenza deve, evidentemente, escludersi in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, quali quelle oggetto del presente giudizio.

11. I motivi nn. 5, 6 e 7 dei ricorsi n. 21222 e 21223 possono essere esaminati congiuntamente poichè lamentano violazione o falsa applicazione, da parte delle sentenze impugnate, della regola sulla valutazione delle presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto che gli elementi offerti dall’Ufficio provassero la inesistenza oggettiva delle operazioni, nonchè la esistenza della frode e la assenza della buona fede della società, considerato che le dichiarazioni rese in sede penale, quali quelle di S.C., del suo collaboratore G. e di T. consistevano in mere informazioni prive di efficacia dimostrativa, al pari della corrispondenza di posta elettronica, mentre le modalità di pagamento e la cessione dei crediti attuata in caso di omesso pagamento da parte dei clienti svizzeri poteva considerarsi in linea con le logiche di mercato e dunque estranea ad una qualsiasi forma di frode, a fronte peraltro della produzione, da parte della contribuente, dei contratti di distribuzione e delle fatture e degli ordini di pagamento diretto o tramite cessione del credito o compensazione che dimostravano la veridicità delle operazioni.

11.1. I suddetti motivi. come proposti sotto il profilo della violazione di legge, rivelano in primo luogo ampi profili di inammissibilità poichè la violazione dei precetti che presidiano la valutazione delle prove sono censurabili per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (v, per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01 Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020 Rv. 658840 -01)

11.2. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste infatti nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, come nel caso in esame in cui la ricorrente censura la rilevanza e la convergenza degli indizi come ricostruiti dal giudice del merito. è invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta ai sindacato di legittimità (v. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv. 652398 – 01).

11.3. I suddetti motivi sono comunque pure infondati alla luce del consolidato indirizzo di questa Corte per cui, allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali, anche da sole, possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a dimostrare i relativi fatti e situazioni sostanziali, secondo il criterio dell”‘id quod plerumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi (Cass.26022/2011).

11.4. Nel caso di specie la CTR risulta essersi conformata a tali principi, avendo valutato complessivamente l’insieme degli elementi istruttori ed esaminato non soltanto le risultanze del processo penale, ma anche le acquisizioni probatorie della Guardia di Finanza confluite nel processo verbale di constatazione (pag. 1-3 della sentenza impugnata), le dichiarazioni (ed ammissioni) rese dal dominus dell’operazione e dal suo uomo di fiducia, Sig. G., le motivazioni delle collegate sentenze rese nella stessa data in procedimenti connessi fra le stesse parti, nonchè la corrispondenza via e-mail intercorsa fra la commercialista della società e il responsabile amministrativo e contabile della stessa che dimostravano senza alcun dubbio l’assoluta consapevolezza delle parti in causa della fittizietà delle operazioni commerciali connesse al commercio delle licenze, ritenendo, con valutazione di merito, che, in quanto fondata su un corretto procedimento logico e sorretta da motivazione adeguata e non contraddittoria, non è sindacabile nel presente giudizio, la gravità, precisione e concordanza degli indizi acquisiti.

11.5. La sentenza impugnata ha infatti rilevato che i verificatori e la Amministrazione Finanziaria, che aveva fatto proprie quelle emergenze, avevano evidenziato obiettivi elementi dai quali desumere il carattere fittizio delle operazioni, nonchè il meccanismo circolare di frode posto in essere e che faceva sorgere costantemente un credito IVA in capo alle società filtro (italiane) a seguito della cessione delle fittizie licenze a soggette giuridici extracomunitari e di incamerare, tramite mancati versamenti, l’IVA esposta nelle fatture di vendita emesse dalla società cartiera: sistema nel cui ambito la società Ghirlanda, sulla base degli elementi probatori sopra indicati, tra cui le dichiarazioni rese nel processo penale dal S.C., che risultava l’ideatore del sistema di frode e dal suo collaboratore G., ma anche di una dipendente che svolgeva funzioni contabili in una delle società coinvolte nell’operazione, risultava avere svolto un ruolo fondamentale rappresentando una società filtro di cui si avvaleva S.C., atteso che acquistava fittiziamente licenze d’uso del software dalla Gabrius o da altre società riconducibili sempre a S.C., maturando così un credito IVA nei confronti dell’Erario e rivedendo subito dopo le licenze fittizie alle società straniere che non scontavano l’IVA.

11.6. La sentenza impugnata ha poi indicato anche gli elementi documentali (deposizioni e corrispondenza e-mail), contabili (quali fatture retrodatate e compensazioni di posizioni debitorie e creditorie aperte nei vari conti economici e finanziari attinenti le licenze d’uso in modo da presentare saldi pari a zero in occasione delle verifiche trimestrali da parte della società di auting Price Waterhouse Coopers) e logici da cui aveva desunto la piena consapevolezza da parte dell’amministratore della società delle operazioni dirette a frodare costantemente il Fisco ed ottenere indebiti vantaggi fiscali. E, a fronte di tali elementi, ritenuti gravi e rilevanti, la CTR ha correttamente affermato che incombeva sulla contribuente l’onere di superare la presunzione di fittizietà e dimostrare la veridicità del rapporto sostanziale posto a fondamento delle fatture (Cass. n. 9108/2012), cosa non avvenuta avendo la società offerto mere argomentazioni che non smentivano la inesistenza oggettiva delle operazioni.

11.7. E’ opportuno aggiungere che neppure le argomentazioni svolte dalla ricorrente con i motivi di ricorsi (qui in considerazione hanno pregio, poichè la fattura, di regola, salva l’ipotesi di contabilità inattendibile, è documento idoneo a rappresentare un costo per l’impresa, purchè sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto ivi prescritti (Cass. 15395/2008). A fronte dell’esibizione di una fattura spetta all’Ufficio dimostrare la mancanza delle condizioni per la detrazione e deduzione. Nell’ipotesi, dunque, di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, incombe sull’amministrazione che deduce la falsità dei documento, l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura in realtà non è mai stata posta in essere. Tale prova può tuttavia essere fornita, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, mediante presunzioni semplici, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove certe. Considerate il contenuto precettivo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, le presunzioni semplici costituiscono dunque una prova completa alla quale il giudice può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della decisione, nel qual caso passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., comma 2 (Cass. 9108/2012). Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili(Cass. n. 21953 del 2007 e Cass. n. 12802/2011).

11.8. Si deve quindi concludere che la sentenza impugnata è in linea con tali consolidati principi giuridici, il che dimostra la infondatezza dei motivi qui in esame.

12. Ugualmente infondati sono i motivi n. 8 e n. 9 dei ricorsi n. 21222 e n. 21223 che deducono, sotto il diverso profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ad un fatto decisivo e controverso ovvero all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, la mancata considerazione delle argomentazioni del contribuente che escludevano la effettiva attuazione delle operazioni oggetto di contestazione ed la effettiva partecipazione della società Ghirlanda alla frode.

12.1. Le censura si infrangono infatti contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione delle sentenze, depositate, nel caso in esame, l’11.2. 2013. si applica il testo novellato ancora nel 2012 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014. n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014), che è poi il vizio dedotto in concreto dalla ricorrente, la quale trascrive in parte la motivazione delle sentenze ma assume che non sarebbe stata sufficiente perchè non si fa carico degli argomenti sviluppati e già presi in esame al punto 11 della presente decisione.

13. Con il decimo motivo dei ricorsi n. 21222 e n. 21223 la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 72,83,85 e 109 TUIR, degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 codice di rito, n. 3), per non avere ritenuto i Giudici che, considerato che le operazioni contestate avevano generato anche ricavi e questi erano risultati superiori ai correlati costi, la deduzione dei secondi doveva comunque essere ammessa. La ricorrente, in particolare, deduce che, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8 comma 2, convertito dalla L. n. 44 del 2012, sulla base dei principi dell’ordinamento tributario, quali desumibili dagli artt. 3 e 53 Cost., e dalle altre disposizioni del TUIR richiamate (artt. 72,83,85 e 109), nel caso in cui sia accertato il carattere fittizio di un’operazione, i relativi ricavi, in quanto fittizi, devono escludersi dalla formazione dell’imponibile, e, simmetricamente, che assoggettando ad imposizione i ricavi fittizi devono considerarsi deducibili i connessi costi fittizi, in quanto riferibili ad attività e beni da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito.

13.1. In proposito deve anzitutto rilevarsi che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, sia in materia di accertamento dell’iva, che delle imposte sui redditi, qualora l’amministrazione, ritenendo fittizia (oggettivamente o soggettivamente) un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione: l’amministrazione non aveva dunque alcun obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (Cass. 17729/2009 e Cass. 3267/2012).

13.2. Il decimo motivo deve essere quindi rigettato, dovendosi dare continuità all’indirizzo per cui, in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, in base alla disposizione vigente ratione temporis e cioè prima della modifica legislativa di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, convertito dalla L. n. 44 del 2012, anche laddove la Amministrazione Finanziaria avesse ritenuto fittizi i costi non aveva alcun obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati, e la corretta applicazione della regola dell’onere della prova.

14. E’ invece fondato l’undicesimo motivo degli stessi ricorsi con cui si denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, convertito dalla L. n. 43 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la CTR applicato alla presente fattispecie la suddetta norma, che risulta applicabile, ove più favorevole, anche retroattivamente.

14.1. Come già ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 7896 del 2016 Rv. 639570, conformemente ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato, sia precedente (Cass. 27040/2014 e Cass. 25967/2013) che successivo (Sez. 5 -, Ordinanza n. 19000 del 17/07/2018 Rv. 649776 – 01) a dette pronunce, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti e con riguardo alle imposte sui redditi, quali configurabili nel caso di specie, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv., con mod., nella L. n. 44 del 2012, che ha portata retroattiva ed è applicabile anche d’ufficio, i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese”. In tema di operazioni oggettivamente inesistenti, atteso che, infatti, non vi è simmetria, nè automatismo biunivoco tra costi per acquisti inesistenti e ricavi dichiarati e che, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv. con mod., nella L. n. 44 del 2012 (avente portata retroattiva, in quanto più favorevole della L. n. 537 del 1993, previgente art. 14, comma 4 bis), i componenti positivi direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, ne consegue che spetta al contribuente provare la diretta afferenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19000 del 17/07/2018 (Rv. 649776 – 01). In tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.

14.2 Va in conseguenza accolto, nei termini sopra indicati l’undicesimo motivo dei ricorsi n. 21222 e n. 21223.

15. Restano da esaminare i motivi n. 3 del ricorso n. 21216, n. 8 del ricorso n. 21221 e n. 12 del ricorso n. 21222 che attengono al trattamento sanzionatorio.

15.1. Il motivo n. 8 dei ricorso n. 21221 – con cui la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essersi i giudici di appello pronunciati sulla questione della legittimità della sanzione irrogata che non era stata devoluta alla loro cognizione, considerato che si trattava dell’appello della contribuente che era stata vittoriosa in primo grado sul punto – appare inammissibile, in primo luogo per mancanza di interesse.

15.2. Premesso che il vizio di ultrapetizione ricorre quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, alterando così gli elementi obiettivi dell’azione, petitum e/o causa petendi, nella specie, come si è già rilevato nella parte espositiva, la sentenza della CTR n. 36 del 2013, che qui viene in considerazione, aveva deciso formalmente sull’appello del contribuente contro la sentenza della CIP n. 192, ma alla stessa udienza era stata emessa la sentenza n. 37 che aveva accolto l’appello dell’Ufficio (il quale aveva impugnato per la parte di sua soccombenza relativa alle sanzioni) contro la stessa sentenza della CIP n. 192 ritenendo dovute anche le sanzioni, escluse invece dal giudice di primo grado; per cui la sentenza n. 36, laddove ha fatto riferimento alle sanzioni, pur non oggetto dell’appello del contribuente vittorioso sul punto in primo grado, ha sostanzialmente inteso richiamare, per completezza, anche la questione delle sanzioni attinente all’appello dell’altra parte separatamente deciso ma nella sostanza collegato. Nessun interesse ha peraltro la parte contribuente alla elisione di tale pronuncia dalla sentenza n. 36, poichè su tale questione vi è la pronuncia della CTR con la sentenza n. 37 oggetto di separato ricorso della stessa parte contribuente.

15.3. Quanto invece ai motivi n. 3 del ricorso n. 212216 e n. 12 del ricorso n. 21222 la ricorrente lamenta (motivo 3 del ricorso 21216) la violazione della regola del cumulo giuridico di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 3, benchè si trattasse, al contrario di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata che aveva ritenuto trattarsi di una pluralità di azioni, di atti materiali -consistenti nella redazione delle dichiarazioni IRAP, IVA ed IRES- compositivi di un’unica azione, in quanto tali espressione di un disvalore unitario, nonchè (motivo 12 del ricorso n. 21222) la omessa pronuncia in ordine alla legittimità dell’accertamento nella parte in cui aveva irrogato la sanzione in violazione della regola di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 commi 1 e 3, questione sulla quale la contribuente, a fronte dell’appello dell’Ufficio, aveva presentato appello condizionato sulla questione già proposta in primo grado con tutti i ricorsi.

15.4. In effetti la questione del cumulo era stata oggetto di motivo di tutti i ricorsi iniziali, come trascritti dalla parte nei ricorsi per cassazione, nonchè di doglianze principali o incidentali condizionati in sede di appello, posto che le diverse sentenze della CTR impugnate con i ricorsi ora riuniti hanno escluso esplicitamente o implicitamente il cumulo.

15.6. L’annullamento con rinvio delle sentenze nella parte in cui è stata esclusa la applicabilità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv. con mod., nella L. n. 44 del 2012 (avente portata retroattiva, in quanto più favorevole della L. n. 537 del 1993, previgente art. 14, comma 4 bis) con conseguente incarico al giudice del rinvio di verificare la sussistenza in concreto dei presupposti per la applicazione o meno dello ius superveniens, comporta ora l’annullamento delle stesse sentenze anche con riguardo al trattamento sanzionatorio consequenziale.

15.7. Il giudice dei rinvio, qualora dovesse ritenere applicabile la disposizione sopravvenuta, dovrà infatti procedere all’applicazione della novellata disposizione sanzionatoria in base alle specifiche regole che la disciplinano anche con riferimento all’istituto della continuazione, che sono diverse da quelle ordinarie. Solo qualora dovesse ritenere inapplicabile il più volte citato art. 8, dovrà invece esaminare la questione della continuazione nel caso in cui la CTR aveva omesso la pronuncia e riesaminare la questione laddove aveva invece pronunciato, alla luce del principio di diritto per cui l’istituto del cumulo delle sanzioni amministrative, nel caso di infrazioni della medesima indole, relative a più tributi, qualora la sanzione, in presenza dei relativi presupposti, non sia stata ab origine irrogata in modo unitario, la stessa dovrà successivamente determinata (dall’Ufficio o dal giudice di merito) tenendo conto di tutte le sanzioni separatamente irrogate.

16. In conclusione vanno accolti l’undicesimo motivo dei ricorsi n. 21222 e n. 21223, il terzo motivo del ricorso n. 21216 e il dodicesimo motivo del ricorso n. 21222, respinti gli altr, rigetta il ricorso 21221. Le sentenze impugnate vanno dunque cassate in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata per nuovo esame, su tali punti, ad altra sezione della CTR della Lombardia, la quale procederà alla regolazione delle spese del presente giudizio.

(Ndr: testo originale non comprensibile).

P.Q.M.

La Corte accoglie l’undicesimo motivo dei ricorsi n. 21222 e n. 21223, il terzo motivo del ricorso n. 21216 e il dodicesimo motivo del ricorso n. 21222, respinti gli altri. Rigetta il ricorso n. 21221, Cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per la regolazione delle spese del presente giudizio innanzi ad altra sezione della CTR della Lombadia.

(Ndr: testo originale non comprensibile).

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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