Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7298 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/03/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 30/03/2011), n.7298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.G., N.M.M.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avv. ANDREINI GINO, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.G.;

E.L.;

avverso la sentenza n. 1715/2009 della CORTE D’APPELLO DI Firenze del

4.12.09, depositata il 23/12/2009;

udito la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Gino Andremi che si riporta agli

scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI che insiste nella relazione scritta.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che:

la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, è del seguente tenore:

“Con sentenza n. 143/1999 il Pretore di Livorno – in accoglimento della domanda proposta da M.G. e N.M. M.G. nei confronti di E.L. – dichiarò estinta la servitù di passaggio costituita con un atto pubblico di divisione del 3 dicembre 1971 dalla dante causa degli attori:

servitù che era destinata a consentire l’accesso alle porzioni immobiliari assegnate alla convenuta, ma che sarebbe venuta “automaticamente a cessare non appena la condividente E. L. si sarà costruita a sue spese un pozzo scale proprio”.

Impugnata dalla soccombente, la decisione fu riformata con sentenza n. 179/2001 dalla Corte d’appello di Firenze, che rigettò la domanda.

Su ricorso di M.G. e N.M.M.G., con sentenza n. 2222/2005 questa Corte cassò la suddetta sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che con sentenza n. 730/2008 decise in conformità con la propria precedente pronuncia.

La domanda di revocazione di tale sentenza, proposta da M. G. e M.G.N.M., è stata rigettata dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza n. 1715/2009, contro la quale gli stessi M.G. e N.M.M.G. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi.

E.L. e F.G., il quale era stato chiamato in giudizio come avente causa dalla convenuta, non hanno svolto attività difensive in questa sede.

Con i primi tre motivi di ricorso M.G. e N. M.M.G. lamentano che erroneamente e ingiustificatamente il giudice a quo ha escluso che le censure da loro rivolte alla sentenza pronunciata nel giudizio di rinvio costituissero idonea ragione di revocazione di tale provvedimento.

La doglianza appare manifestamente infondata.

Le censure suddette si risolvevano nell’assunto di una mancata o inesatta “percezione” delle risultanze istruttorie documentali e orali, alle quali era stato attribuito, secondo i ricorrenti, un senso diverso e opposto a quello che in realtà avrebbe dovuto essere loro riconosciuto. Si verte dunque su un punto controverso sul quale il giudice – in esecuzione del compito affidatogli da questa Corte – ebbe a pronunciare, sicchè gli errori che gli si imputa di aver commesso esulano senz’altro dall’ambito dei possibili vizi “revocatori”, da cui restano estranei gli accertamenti di fatto e gli apprezzamenti di merito conseguenti alla valutazione delle prove.

Con il quarto motivo di ricorso M.G. e N. M.M.G. lamentano di essere stati condannati, senza adeguata e corretta motivazione, al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata.

Neppure questa censura risulta accoglibile.

La Corte d’appello ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, della decisione di cui si tratta, spiegando che la domanda di revocazione difettava del tutto dei presupposti di legge, che ciò denotava il suo carattere temerario, che ne era derivato un danno, commisurabile alla durata della causa.

Appare quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, seconda ipotesi”. – i ricorrenti hanno depositato una memoria;

il loro difensore e il pubblico ministero sono comparsi in camera di consiglio e hanno concluso, rispettivamente, per l’accoglimento e per il rigetto del ricorso;

– il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie, rilevando che non sono efficacemente contrastate dalle obiezioni formulate nella memoria dei ricorrenti, nella quale si insiste nella tesi – incompatibile con l’essenza stessa dell’istituto di cui all’art. 395 c.p.c. – secondo cui la (asseritamente) erronea valutazione delle risultanze istruttorie da parte del giudice da luogo a un “vizio revocatorio”;

– il ricorso viene pertanto rigettato;

– non vi è da provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, nel quale gli intimati non hanno svolto attività difensive.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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