Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7296 del 26/03/2010
Cassazione civile sez. II, 26/03/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 26/03/2010), n.7296
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
LIDL ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore
K.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO
180, presso lo studio dell’avvocato FIORILLI PAOLO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati CAPELLI FAUSTO,
SCIANNI SALVATORE, VALCADA MASSIMILIANO, come da procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ARCOLE;
– intimato –
MINISTERO POLITICHE AGRICOLE, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1411/2005 del GIUDICE DI PACE di PERUGIA,
depositata il 27/06/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del
17/12/2009 dal Consigliere Dott. PARZIALE Ippolisto;
udito l’Avvocato CAPELLI Fausto, difensore del ricorrente che ha
chiesto accoglimento del ricorso e delle memorie, nel caso in
subordine anche il rinvio alla Corte Europea di Giustizia;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – La LIDL ITALIA srl impugna la sentenza del Giudice di Pace di Perugia n. 1411 del 2005, depositata il 27 giugno 2005 e notificata, che rigettava la sua opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 6888 del 2004 del Comune di Arcole con la quale veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro 549,00 per la violazione della L. n. 286 del 1961, art. 1.
2. – Il Giudice di Pace rigettava l’opposizione, valorizzando anche la violazione del D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2.
3. L’odierna ricorrente articola tre motivi di ricorso. Il Comune intimato non ha svolto attività in questa sede. Il Ministero ha depositato memoria ai fini della partecipare all’udienza, cui però non ha partecipato.
4. La causa trattata in camera di consiglio, veniva rimessa alla pubblica udienza, nella quale le parti presenti hanno concluso come in epigrafe.
5. Parte ricorrente ha depositato anche memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Motivi di ricorso.
Parte ricorrente lamenta con i primi due la violazione della normativa di cui alla L. 689 del 1981 nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c. Sostiene la ricorrente che il Giudice di Pace e lo stesso Comune in sede di difese avanzata in giudizio avrebbero applicato alla fattispecie in questione non già la normativa contestata, ma altra normativa relativa alla etichettatura di alimenti di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992. Ciò sarebbe reso evidente dalla motivazione del Giudice di Pace che richiamava espressamente tale ultima normativa.
Col terzo motivo la ricorrente sostiene che la L. del 1961 sarebbe ormai superata dalla disciplina comunitaria dettata in materia di alimenti.
2. Il ricorso è fondato e va accolto quanto ai primi due motivi, restando assorbito il terzo.
2.1- I primi due motivi in quanto strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente e risultano fondati. Il Giudice di Pace è incorso nella denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. come reso palese dalla sua motivazione. Infatti, il giudice di pace della sua motivazione, dopo aver ritenuto inconferente il dedotto contrasto tra normativa in questione e quella comunitaria, ha argomentato la sua decisione operando un richiamo al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2 (normativa relativa all’etichettatura con riguardo alla tutela del consumatore, successivamente affermando che “Nel caso che ci occupa, le etichettatura identificativa della bevanda commercializzata dalla società ricorrente riportando la dicitura Orange a caratteri più evidenti e marcati rispetto alle altre diciture ed utilizzando per lo sfondo colorazioni arancioni poteva, associando immagini e scritte, a parere del giudicante, ingenerare un falso convincimento nel consumatore circa la natura, la composizione, l’identità e la qualità della bevanda stessa. Assimilata pertanto alle bibite al gusto di arancio, in base alla citata normativa doveva contenere una percentuale minima pari al 12% di succo e non la percentuale effettivamente indicata del 3% nè tantomeno gli indicati coloranti.
Appare quindi legittima la contestazione operata nei confronti del ricorrente della qualifica”. Nella sua motivazione, quindi, il giudice di pace sembra porre in relazione normative diverse, valorizzando il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2 non posto a fondamento della violazione contestata, così incorrendo nella denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., dovendo, come è noto, il giudice dell’opposizione valutare esclusivamente la contestazione, senza poter far riferimento ad altre possibili violazioni.
2.2 L’accoglimento dei primi due motivi determina l’assorbimento del terzo.
3. Il ricorso va accolto, il provvedimento impugnato cassato nei limiti indicati, e la causa va rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito pari ordinato, che si indica in diverso magistrato dello stesso ufficio, cui è anche demandato, ex art. 385 c.p.c. di pronunziare sulle spese del giudizio di legittimità.
P.T.M.
LA CORTE Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo. Cassa in relazione e rinvia ad altro Giudice di Pace di Perugia anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010