Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7296 del 16/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 16/03/2020), n.7296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23881/2012 R.G. proposto da

Suicom S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Alessandro

Farnese n. 7, presso lo Studio dell’Avv. Alessandro Cogliati Dezza,

che con l’Avv. Francesca Balzani, la rappresenta e difende, anche

disgiuntamente, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia-Romagna n. 27/5/2012, depositata il 14 marzo 2012. Udita

la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 gennaio 2020 dal

Cons. Ernestino Luigi Bruschetta;

udito l’Avv. Francesca Balzani, per la ricorrente;

udito l’Avv. dello Stato Giancarlo Caselli, per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Stefano Visonà, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’impugnata sentenza la Regionale dell’Emilia-Romagna, respinto l’appello principale della contribuente, accolto quello incidentale della Agenzia, in parziale riforma della prima decisione, rigettava in toto il ricorso promosso dal prosciuttificio Suitom S.r.l. avverso un avviso di accertamento con il quale l’ufficio recuperava IVA 2001 ritenuta indebitamente detratta in relazione a operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti; operazioni rese da Società prive di organizzazione imprenditoriale, che solo formalmente svolgevano in appalto lavori di facchinaggio a favore della contribuente, mentre in realtà intermediavano manodopera in nero prestata da altre Società Cooperative, in taluni casi anche sovrafatturando prestazioni in parte mai eseguite.

2. La Regionale respingeva dapprima l’eccezione di nullità dell’avviso per difetto di motivazione, osservando che l’accertamento risultava invece “ampiamente” motivato con riferimento ai fatti descritti nel PVC, oltrechè con riferimento agli esiti delle relazioni di consulenza svolte nel corso del processo penale, non dovendo la motivazione della ripresa spingersi fino al punto di dar conto di tutte le obbiezioni che il contribuente poteva aver fatto in sede di preventivo contraddittorio, bastando in effetti all’ufficio esporre le circostanze e le ragioni giuridiche sulle quali era stato fondato il recupero di imposta; dopo di che, anche rilevando che l’abbattimento della ripresa pari al 63% stabilita dal primo giudice presentava caratteri equitativi che prescindevano dagli elementi di prova dedotti in causa, nel merito la Regionale respingeva integralmente il ricorso, osservando che gli allegati al PVC, oltrechè le dichiarazioni dei dipendenti, avevano fornito idonea prova della circostanza che le Società cui erano stati affidati in appalto i lavori di facchinaggio erano in realtà prive di organizzazione imprenditoriale; erano cioè, delle vere e proprie cartiere che non versavano imposte, che intermediavano manodopera in nero, anche “gonfiando” le fatture al fine permettere alla contribuente di pagare, senza dichiararli, gli straordinari dei lavoratori e i compensi degli amministratori.

3. La contribuente ricorreva per sette motivi, anche illustrati da memoria, mentre l’Agenzia resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, la contribuente rimproverava la Regionale di non aver dichiarato il difetto di motivazione dell’avviso; nella sostanza, la contribuente sosteneva che nella motivazione dell’accertamento non erano stati indicati i fatti idonei a provare l’evasione, non bastando in effetti quelli riferiti nel PVC e quelli rilevati dai consulenti del processo penale; con il secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, la contribuente rimproverava alla Regionale per non aver dichiarato la nullità dell’avviso, questa volta perchè nella motivazione non risultavano presi in considerazione gli argomenti che aveva esposto in sede di contraddittorio preventivo; anche in disparte la preliminare inammissibilità di entrambi i motivi per mancanza di autosufficienza, non avendo la contribuente trascritto il contenuto dell’avviso, senza così consentire alla Corte di controllare la corrispondenza alla realtà delle affermazioni della contribuente (Cass. sez. trib. n. 29093 del 2018; Cass. sez. trib. n. 16147 del 2017); il primo motivo risulta comunque infondato, perchè confonde la motivazione della ripresa con l’allegazione delle prove della stessa, che è questione processuale, pertanto esterna alle ragioni di fatto e diritto che debbono spiegare il recupero d’imposta e che sono destinate a fissare la materia del contendere al fine di garantire il diritto di difesa del contribuente (Cass. sez. trib. n. 9810 del 2014; Cass. sez. trib. n. 26458 del 2008); il secondo motivo è peraltro anche ulteriormente inammissibile perchè con lo stesso non viene contestata l’omessa, insufficiente o contraddittoria spiegazione della Regionale circa l’accertamento di un fatto, bensì la violazione di norme che in thesi della contribuente obbligherebbero l’ufficio a tener conto delle obbiezioni rese in sede di contraddittorio preventivo (Cass. sez. I n. 24155 del 2017; Cass. sez. lav. n. 195 del 2016).

2. Con il terzo, quarto e sesto motivo, tutti formulati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, la contribuente rimproverava la Regionale per aver erroneamente ritenuto che le presunzioni che l’ufficio aveva posto alla base della ripresa fossero gravi, precise è concordanti; presunzioni che, secondo la contribuente, sarebbero state invece contraddette da altri elementi, come per es. la corrispondenza tra spese e produzione, segnalata nelle perizie giurate, oltrechè dalla circostanza che la contribuente sarebbe stata del tutto estranea alla frode perpetrata dalle cartiere; a giudizio della contribuente, le appena riassunte osservazioni “inficiavano” irrimediabilmente il ragionamento presuntivo svolto dalla Regionale, costituente in realtà una semplice “estrapolazione” di quanto scritto nel PVC; ciò anche tenendo conto che, nella motivazione della sentenza, esisteva confusione tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti; i motivi, all’evidenza intesi ad ottenere un ribaltamento della scelta e dell’apprezzamento degli elementi di prova fatti dalla Regionale, si risolvono nella sostanza in un invito rivolto alla Corte a un diverso sindacato di merito che non le appartiene; i motivi, difatti, non evidenziano alcuna incongruità nel ragionamento presuntivo della CTR; anche in particolare evidenziando che, ai fini della detrazione IVA, non importa se le operazioni siano oggettivamente o soggettivamente inesistenti, cosicchè si giustifica anche che la Regionale abbia senza eccessiva distinzione evidenziato sia la sussistenza della prova delle operazioni soggettivamente fittizie, sia la sussistenza della prova delle fatture “gonfiate”; per tali ragioni, quindi, le censure all’esame sono da dichiararsi inammissibili (Cass. sez. III, 03/10/2013, n. 22591 del 2013).

3. Con il quinto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 53 e ss., la contribuente lamentava che l’appello incidentale dell’ufficio non consentisse di comprendere le ragioni per le quali l’Amministrazione aveva chiesto di riformare la prima decisione, mancando quindi di specificità, con la sua conseguente inammissibilità dello stesso; il motivo è però infondato, dalla trascrizione del contenuto dell’appello incidentale, che fa riferimento alla necessità di riformare la sentenza della Provinciale atteso che la riduzione del 63% della ripresa sarebbe stata contraddetta dalle prove della evasione, assumendo quindi le caratteristiche di un semplice abbattimento equitativo, emerge chiara la natura specifica dei motivi dell’appello incidentale, idonea a circoscrivere, in modo sufficiente, quindi specifico, il tema del decidere, atteso il carattere devolutivo dell’impugnazione in parola (Cass. sez. trib. n. 3064 del 2012; Cass. sez. trib. n. 4784 del 2011).

4. Con il settimo motivo, formulato ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, la contribuente censurava quelle illegittimità che, in thesi, avrebbero “inficiato” l’impugnato avviso con riferimento all’applicazione delle sanzioni; in particolare, la contribuente riteneva dapprima che non potesse affermarsi la sua colpevolezza, non avendo partecipato alla frode; e, in secondo luogo, che l’ufficio avesse sbagliato a “maggiorare” le sanzioni fino all’80% del massimo; la contribuente si doleva quindi del fatto che la Regionale nulla avesse “motivato” a riguardo; il motivo è, anche in questo caso, inammissibile, atteso che su entrambe le eccezioni la Regionale ha omesso di pronunciare, cosicchè la corretta censura da fare sarebbe stata quella in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e per violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. sez. lav. n. 22759 del 2014; Cass. sez. III n. 1196 del 2007); del resto, deve essere inoltre rilevato che con la seconda censura non viene in effetti criticato un vizio motivazionale che riguardi la spiegazione dell’accertamento di un fatto, bensì viene rimproverato alla Regionale una omessa motivazione in diritto; censura che la giurisprudenza giudica inammissibile, atteso che ai sensi dell’art. 384 c.p.c., l’errata o omessa motivazione giuridica, quando la decisione sia comunque esatta, quando cioè non dà luogo a una violazione di legge, è rimediabile o integrabile direttamente dalla Corte (Cass. sez. trib. n. 5123 del 2012).

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la contribuente a rimborsare all’ufficio le spese processuali, che si liquidano in Euro 10.000,00 a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2020

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