Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7294 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 17189 del ruolo generale dell’anno

2017 proposto da:

T.H., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Alberto Prosperini,

(C.F.: PRSLRT56C01H501K);

– ricorrente –

nei confronti di:

EQUITALIA SUD S.p.A., (C.F.: non indicato), in persona del legale

rappresentante pro tempore;

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.p.A., (C.F.: non indicato), in

persona del legale rappresentante pro tempore;

ROMA CAPITALE, (C.F.: non indicato), in persona del Sindaco, legale

rappresentante pro tempore;

– intimati –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 10684/2016,

pubblicata in data 26 maggio 2016;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

13 novembre 2020 dal Consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

l’avvocato Alberto Prosperini, per il ricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.H. ha proposto opposizione avverso il preavviso di fermo amministrativo di un suo veicolo, fondato su cartelle di pagamento per titoli di varia natura, notificatogli dal locale agente della riscossione.

L’opposizione è stata solo parzialmente accolta dal Giudice di Pace di Roma, il quale ha dichiarato il difetto di interesse ad agire dell’opponente in relazione all’impugnazione del preavviso di fermo amministrativo nonchè la prescrizione dei crediti portati da alcune delle cartelle contestate, rigettando invece la domanda in relazione ad una di esse e compensando le spese processuali.

Il Tribunale di Roma, in riforma della decisione di primo grado, e in accoglimento dell’appello del T., ha ritenuto sussistere l’interesse ad agire di quest’ultimo con riguardo all’impugnazione del preavviso di fermo amministrativo ed ha accolto l’opposizione anche in relazione alla cartella di pagamento ritenuta legittima dal giudice di pace, condannando Equitalia Sud S.p.A. a pagare le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in Euro 330,00 per il primo grado ed in Euro 630,00 per il secondo, oltre accessori.

Ricorre il T., sulla base di tre motivi.

E’ stata disposta ed effettuata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Roma Capitale, in un primo tempo non evocata dal ricorrente ed è stata disposta la trattazione in pubblica udienza.

Nessuno degli enti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 1, art. 91 c.p.c. e art. 75 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 64, comma 1, art. 60, comma 4, conv. dalla L. n. 36 del 1934, dell’art. 1 della Tariffa approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127 e D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2 comma 2, conv. dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, nonchè art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

I primi due motivi del ricorso hanno ad oggetto la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, operata dal tribunale (quale giudice di secondo grado) in conseguenza della riforma della decisione del giudice di pace in primo grado, che le aveva compensate.

Si tratta di motivi connessi, che possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Secondo il ricorrente, per la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, definito con sentenza del 18 luglio 2012, avrebbe dovuto essere applicata la Tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004, in quanto il successivo D.M. n. 140 del 2012 (che conteneva il regolamento dei parametri per fasi) era entrato in vigore solo dopo la definizione del grado di giudizio in questione, e cioè in data 23 agosto 2012 (viene richiamato, in proposito, il precedente costituito da Cass., Sez. 6-2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2016, Rv. 638855-01). Assume che il giudice di appello avrebbe effettivamente applicato la Tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004, ma in modo non corretto. Sostiene infatti (con il primo motivo) che la liquidazione avrebbe dovuto essere effettuata con separata indicazione dei diritti, degli onorari e delle spese, non globalmente (come invece fatto dal tribunale), il che sarebbe sufficiente a determinare un vizio della pronunzia sul punto. Aggiunge (con il secondo motivo) che, comunque, in base alla Tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004, sommando gli importi fissi dei diritti per le attività espletate (a suo dire pari ad Euro 439,00) con gli importi minimi degli onorari (a suo dire pari ad Euro 225,00) e le spese documentate (a suo dire pari ad Euro 82,00), emergerebbe che la liquidazione di Euro 330,00 complessivi sarebbe del tutto incongrua e in violazione della tariffa.

I motivi in esame sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

Essi si basano sui seguenti due assunti (uno in diritto ed uno in fatto), entrambi erronei: 1) l’assunto in diritto in base al quale, per la liquidazione delle spese del primo grado del giudizio avrebbe dovuto essere applicata la Tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004; 2) l’assunto in fatto secondo il quale il tribunale avrebbe in concreto applicato proprio tale Tariffa, anche se lo avrebbe fatto in modo erroneo.

In realtà, il giudice di appello non ha indicato espressamente il Decreto Ministeriale applicato ai fini della liquidazione delle spese del primo grado: poichè peraltro non ha distinto in alcun modo i compensi liquidati in termini di diritti e onorari (come previsto dal D.M. del 2004) ed ha effettuato la liquidazione in modo globale, sia per il primo che per il secondo grado (senza del resto lasciare intendere di avere utilizzato parametri tariffari differenti per i due gradi di giudizio), non può che concludersi che abbia inteso utilizzare il medesimo riferimento tariffario per entrambi i gradi di giudizio, e cioè la normativa vigente al momento della liquidazione (in particolare, il D.M. n. 55 del 2014), che prevede appunto una liquidazione globale in base a parametri previsti per le varie fasi del giudizio, senza alcuna distinzione tra diritti ed onorari.

D’altra parte, in diritto, nell’applicare tale ultimo decreto (cioè quello in vigore al momento della decisione) per la liquidazione delle spese del doppio grado del giudizio, la decisione risulta conforme all’orientamento ormai consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte (dopo alcune iniziali oscillazioni), al quale si intende dare piena continuità, secondo cui “in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, il quale ha dato attuazione al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle precedenti tariffe professionali, sono applicabili ogni volta che la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, benchè questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando vigevano le tariffe abrogate, evocando l’accezione onnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata, operante anche con riferimento all’attività svolta nei gradi di giudizio conclusi con sentenza prima dell’entrata in vigore del decreto e anche nel successivo giudizio di rinvio” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 30529 del 19/12/2017, Rv. 646610-03; conf.: Cass., Sez. L, Sentenza n. 27233 del 26/10/2018, Rv. 651261-01; Sez. 6-L, Ordinanza n. 31884 del 10/12/2018, Rv. 651920-01).

Nè vi è, nel ricorso (fondato – come già visto – sull’erroneo presupposto di fatto che sia stato applicato il D.M. n. 127 del 2004), alcuna specifica censura formulata con riferimento ad una eventuale violazione in concreto della indicata normativa, vigente al momento della liquidazione, applicabile ed applicata nella fattispecie, in relazione alle spese del primo grado del giudizio. Un siffatto profilo non potrebbe pertanto neanche essere preso in considerazione nella presente sede.

2. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, conv. dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 comma 6, D.M. n. 55 del 2014, art. 1 e art. 4, comma 1, u.p., nonchè art. 91 c.p.c. e ancora violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 111 Cost., commi 1 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il ricorrente afferma che il parametro minimo per le spese del secondo grado di giudizio (su un valore di Euro 1.349,73, importo delle cartelle in contestazione), in base al D.M. n. 55 del 2014, era pari ad Euro 1.053,00.

La liquidazione operata dal tribunale, per soli Euro 630,00, sarebbe pertanto inferiore al minimo e, non essendo stata espressa alcuna motivazione a sostegno della deroga ai parametri minimi, non sarebbe legittima.

Il motivo è fondato.

Secondo il costante indirizzo di questa Corte, cui intende darsi piena continuità (Sez. 6-L, Ordinanza n. 2386 del 31/01/2017, Rv. 642544-01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 26608 del 09/11/2017, Rv. 646828-01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 29606 del 11/12/2017, Rv. 647183-01; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11601 del 14/05/2018, Rv. 648532-01), tanto nel sistema di cui al D.M. n. 140 del 2012 quanto in quello di cui al D.M. n. 55 del 2014, l’indicazione degli importi medi, minimi e massimi contenuta nelle allegate tabelle per la liquidazione delle spese giudiziali non è soggetta a vincolo di inderogabilità, ma il superamento dei limiti in questione richiede una specifica motivazione da parte del giudice, che nella specie manca del tutto.

Il motivo di ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata cassata, in relazione alla sola liquidazione delle spese per il secondo grado del giudizio. In sede di rinvio, il tribunale dovrà liquidare dette spese in conformità ai valori minimi dei parametri applicabili in base all’indicato valore della controversia, ovvero motivare adeguatamente sulla eventuale deroga a detti valori minimi.

3. Sono rigettati i primi due motivi del ricorso. E’ accolto il terzo. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

rigetta i primi due motivi del ricorso e accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

 

 

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