Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7293 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/03/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 30/03/2011), n.7293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentata e difesa, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avvocato Vaglio Mauro, presso lo studio del

quale in Roma, via Dardanelli n. 21, e’ elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e

difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dagli

Avvocati Angela Raimondo e Federica Guglielmi, elettivamente

domiciliati presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale in Roma, via

del Tempio di Giove n. 21;

– controricorrente –

avverso la sentenza del tribunale di Roma n. 15325/09, depositata in

data 9 luglio 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

LETTIERI Nicola, il quale nulla ha osservato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che A.A. impugna per cassazione, con ricorso notificato al Comune di Roma, la sentenza n. 15325, depositata il 9 luglio 2009, con la quale il Tribunale di Roma ha accolto l’appello da lei proposto avverso la pronuncia del Giudice di pace di Roma, che aveva accolto la sua opposizione a cartella esattoriale e tuttavia aveva compensato le spese di lite;

che, con la sentenza impugnata, il Tribunale di Roma, ha accolto il gravame, perche’ la statuizione di compensazione era del tutto immotivata, e, in applicazione del principio della soccombenza, ha condannato il Comune al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in Euro 280,00 oltre oneri, avuto riguardo alla natura del procedimento;

che la ricorrente propone due motivi di ricorso;

che, con il primo, deduce violazione o falsa applicazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 1 e dell’art. 4 del capo 1^ delle tariffe ad esso allegate, dolendosi del fatto che il Tribunale abbia derogato ai minimi degli onorari e dei diritti fissati dalla tariffa professionale;

che, con il secondo motivo, la ricorrente deduce nuovamente violazione o falsa applicazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 1 e dell’art. 4 del capo 1^ delle tariffe ad esso allegate, dolendosi del fatto che il Tribunale abbia ridotto le somme esposte nella nota spese depositata senza illustrare le ragioni di tale riduzione;

che l’intimato Comune di Roma resiste con controricorso;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., che e’ stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Diritto

RILEVATO IN DIRITTO

che il relatore designato, nella relazione depositata il 10 novembre 2010 e comunicata alle parti e al Pubblico Ministero, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“… Deve preliminarmente essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per inidoneita’ dei quesiti di diritto formulati a conclusione di entrambi i motivi di ricorso.

La sentenza impugnata e’ infatti stata depositata il 9 luglio 2009 ed e’ quindi soggetta all’applicazione della L. n. 69 del 2009 – entrata in vigore il 4 luglio 2009 e applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 5, alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione e’ stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla detta data di entrata in vigore – la quale ha disposto l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. Il ricorso e’ fondato.

Non puo’ infatti essere condivisa la tesi del Comune di Roma, secondo cui sarebbe venuta meno l’obbligatorieta’ dei minimi tariffari con riferimento alla liquidazione giudiziale delle spese di lite.

Se e’ vero, infatti, che, il D.L. n. 223 del 2 006 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006), ha disposto all’art. 2, comma 1, che, “In conformita’ al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di liberta’ di circolazione delle persone e dei servizi, nonche’ al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facolta’ di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attivita’ libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorieta’ di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”, e’ altresi’ vero che al comma 2 il medesimo articolo dispone che “Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle professioni reso nell’ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonche’ le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale”. Risulta quindi evidente che l’abolizione dei minimi tariffari puo’ operare nei rapporti tra professionista e cliente, ma l’esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia allorquando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese del giudizio in applicazione del criterio della soccombenza. Nel caso di specie, il Tribunale di Roma e’ incorso nella denunciate violazioni sia perche’ ha liquidato cumulativamente le spese del giudizio di primo e di secondo grado, sia perche’ la misura complessivamente liquidata appare lesiva delle tariffe professionali specificate nel ricorso, sia infine perche’ lo scostamento dalla nota spese depositata dal difensore non e’ sorretto da alcuna motivazione. In tema di liquidazione di spese processuali, infatti, il giudice, in presenza d’una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non puo’ limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata. E il Tribunale si e’ limitato a determinare gli onorari, in misura onnicomprensiva, in considerazione della natura del procedimento, adottando cioe’ – contrariamente a quanto sostenuto dal Comune – un provvedimento inidoneo a dare conto della scelta operata (Cass., n. 14563 del 2008).

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, perche’ il ricorso e’ manifestamente fondato”.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta;

che la sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Roma che, in diversa composizione, provvedera’ a nuova determinazione delle spese del giudizio di primo grado e di quello di appello, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, al Tribunale di Roma in diversa composizione.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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