Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7293 del 16/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 16/03/2020), n.7293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7569/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

– e controricorrente all’incidentale –

contro

Boffetti Impianti S.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Parioli n. 23, presso lo Studio dell’Avv. Francesco D’Ayala Valva,

che con l’Avv. Pietro Biancato, la rappresenta e difende, anche

disgiuntamente, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia sez. staccata di Brescia n. 68/63/11, depositata il giorno

8 marzo 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 gennaio 2020

dal Cons. Ernestino Luigi Bruschetta;

udito l’Avvocato dello Stato Giancarlo Caselli, per la ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Stefano Visonà, che ha concluso per il rigetto del primo e

sesto motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e assorbito

il ricorso incidentale condizionato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di un ordinario controllo la G.d.F. rinveniva, a bordo di una autovettura condotta da B.E., documentazione di rilievo fiscale relativa alla Boffetti Impianti S.r.l., di cui il suddetto B. era contabile; veniva quindi svolta una perquisizione presso l’abitazione del padre del B., perquisizione che si concludeva con il sequestro di ulteriore documentazione; la documentazione in parola veniva posta alla base di due avvisi di accertamento, separatamente notificati alla contribuente Boffetti S.r.l.; con il primo avviso l’ufficio recuperava a tassazione, con metodo analitico induttivo, un maggior imponibile ai fini IRPEG IRAP IVA 2003, sulla scorta della presunzione di più elevati ricavi derivanti dall’assunzione in nero di lavoratori; assunzioni in nero che, secondo l’ufficio, erano avvenute anche a mezzo di operazioni soggettivamente inesistenti, atteso che le Società alle quali la contribuente aveva affidato il compimento di opere in subappalto, erano in realtà mere cartiere, semplici veicoli di fornitura di manodopera in nero, che non avevano versato imposte; il secondo avviso recuperava invece IRPEF 2004, a titolo di omesso versamento di ritenute, appunto relative ai lavoratori che sarebbero stati assunti in nero; il primo avviso veniva poi annullato in autotutela e sostituito con uno diverso per poter tener conto, secondo quanto prospettato dall’Amministrazione, di un più recente PVC con il quale venivano portate a conoscenza dell’ufficio accertatore fattispecie evasive non contemplate in quello precedente.

2. Con l’impugnata sentenza la Regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, accoglieva i riuniti ricorsi promossi dalla contribuente avverso i due rammentati avvisi di accertamento.

3. Dopo aver accertato che il PVC che terminava la verifica era stato effettivamente consegnato al legale rappresentate della contribuente, circostanza di cui i verbalizzanti avevano dato atto in calce al medesimo PVC, preso atto che questa attestazione di consegna non era stata impugnata con querela di falso, considerato a riguardo irrilevante che il legale rappresentante della contribuente si fosse rifiutato di firmare il suddetto PVC, la Regionale respingeva l’eccezione di nullità dell’avviso IRPEG IRAP IVA 2003 che aveva sostituito quello annullato in autotutela; invero, l’eccezione era stata formulata dalla contribuente proprio perchè, in caso di non consegna del PVC, sarebbe risultato violato la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, disposizione che prevede che gli accertamenti debbano essere notificati non prima che siano trascorsi sessanta giorni dal rilascio del PVC; la Regionale, dopo aver respinto altra eccezione formulata dalla contribuente, statuendo in proposito che alla documentazione sequestrata presso l’abitazione del padre del B. non poteva comminarsi la sanzione processuale della inutilizzabilità, che invece poteva colpire soltanto le prove penali irritualmente raccolte; riteneva che l’avviso IRPEG IRAP IVA 2003, che aveva sostituito quello annullato in autotutela, dovesse essere dichiarato comunque illegittimo perchè lo stesso era fondato su elementi già in possesso dell’Amministrazione, con la conseguente violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 4, nel testo vigente ratione temporis; norma, quest’ultima, che permette l’emissione dell’accertamento integrativo soltanto a seguito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi; la Regionale riteneva inoltre che entrambi gli avvisi dovessero essere annullati perchè il PVC, al quale rimandava per relationem la motivazione degli accertamenti, faceva a sua volta riferimento ad una “appendice informatica” che non era stata consegnata alla contribuente, che nemmeno era stata allegata agli avvisi e che neanche era stata riportata per l’essenziale nella motivazione degli stessi, ma che però doveva giudicarsi imprescindibile per la comprensione della ripresa, siccome testimoniato dalla circostanza che lo stesso PVC la definiva sua “parte integrante” e siccome anche confermato dal fatto che la ridetta “appendice” era stata trasmessa all’INPS proprio perchè indispensabile alla completa intelligenza delle contestazioni; infine, i riuniti ricorsi erano ritenuti fondati anche nel merito; e questo perchè, nella valutazione della Regionale, la documentazione sulla scorta della quale il giudice penale aveva assolto il legale rappresentante della contribuente per insussistenza del fatto, pur essendo vero che l’esito del processo penale non poteva automaticamente pregiudicare quello tributario, “non evidenziava irregolarità nelle prestazioni del personale”; e, ciò, non solo perchè parte di quei lavoratori risultava essere stata regolarmente assunta dalla contribuente, ma anche perchè le Società in subappalto non erano fittizie, bensì dotate di “organizzazione propria e pertanto in grado di svolgere le opere che risultavano loro subappaltate”.

4. L’ufficio ricorreva per sei motivi, mentre la contribuente resisteva con controricorso, a sua volta proponendo ricorso incidentale condizionato per quattro motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le generali eccezioni di inammissibilità del ricorso principale, preliminarmente formulate dalla contribuente, sono infondate; e questo perchè l’ufficio ha esposto i fatti e le vicende processuali che servivano alla comprensione della impugnata sentenza e dei motivi di censura, senza quindi incorrere in alcun difetto di autosufficienza.

2. Con il primo motivo del ricorso principale, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, oltrechè la violazione della cit. L. n. 212, art. 7, l’ufficio censurava la Regionale per aver erroneamente ritenuto che entrambi gli impugnati avvisi dovessero essere annullati a cagione della mancata allegazione della “”appendice informatica” richiamata dal PVC; in particolare, l’ufficio evidenziava che la motivazione degli avvisi non si fondava sulla detta “appendice informatica”, bensì sui rilievi contenuti nei due PVC, i quali erano stati regolarmente notificati alla contribuente; che la ridetta “appendice informatica”, costituiva in realtà un semplice riepilogo delle assunzioni in nero, assunzioni di cui la contribuente era in effetti ben consapevole, in quanto ricavata dalla stessa documentazione extracontabile che le era stata sequestrata, come del resto dimostravano le analitiche difese della contribuente; con il secondo motivo, le appena riassunte doglianze erano declinate come vizio motivazionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

2.1. I motivi, che per economia processuale conviene esaminare congiuntamente, sono complessivamente fondati; deve essere in primo luogo rammentata la consolidata giurisprudenza della Corte, per cui: “In tema di motivazione dell’atto d’imposizione tributaria, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente di conoscere le ragioni della pretesa deve ritenersi assolto, con doppia motivazione per relationem, qualora il richiamato processo verbale di constatazione faccia a sua volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente” (Cass. sez. trib. n. 32127 del 2018; Cass. sez. trib. n. 28060 del 2017); nella concreta fattispecie, è circostanza pacifica che l’accertamento delle assunzioni in nero era stato ricavato dalla documentazione extracontabile oggetto di penale sequestro, documentazione proveniente dalla contribuente e dalla stessa quindi ben conosciuta, non dal riepilogo in formato excel, che nemmeno costituisce documento, bensì semplice elaborazione di documenti già in possesso della contribuente; sotto questo profilo, può essere anche riscontrato un vizio di insufficiente motivazione, in particolare laddove la Regionale non ha spiegato perchè la documentazione extracontabile sequestrata alla contribuente richiamata dai PVC, sulla cui base i due avvisi erano stati esclusivamente motivati, non consentisse una adeguata giustificazione degli stessi, ma avesse bisogno di un riassunto in formato excel ricavato proprio dalla ridetta documentazione.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dopo aver ricordato che l’avviso impugnato, trascritto nella sua parte essenziale nel rispetto del principio di autosufficienza, aveva sostituito quello annullato in autotutela, in modo da poter tener conto di evasioni di cui l’ufficio accertatore era venuto a conoscenza soltanto con il secondo PVC, l’Amministrazione rimproverava alla Regionale la violazione del cit. D.P.R. n. 600, art. 43, comma 4, nel testo vigente ratione temporis, disposizione che consente l’emissione di avvisi integrativi unicamente a seguito della sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti evasivi; con il quarto motivo, le appena riassunte doglianze erano declinate come vizio motivazionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

3.1. I due motivi, che ancora una volta è opportuno trattare assieme, sono da accogliere per le ragioni precisate più avanti. A riguardo occorre dapprima osservare che la sostituzione in autotutela è istituto diverso dall’accertamento integrativo, in quanto solo il secondo può fondarsi sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti di evasione (Cass. sez. trib. n. 937; Cass. sez. trib. n. 14377 del 2007; Cass. sez. trib. n. 2531 del 2002); dall’appena rammentato principio, è stato quindi correttamente fatto derivare che, se è vero che un avviso può essere legittimamente sostituito con un altro incrementativo della ripresa, l’avviso che ha sostituito quello annullato in autotutela deve D.P.R. n. 600 cit., ex art. 43, comma 3, fondarsi su elementi in precedenza non conosciuti dall’ufficio accertatore e in questo senso essere anche adeguatamente motivato (Cass. sez. trib. n. 22019 del 2014; Cass. sez. trib. n. 12814 del 2000); non essendo pertanto ammesso, questo è il finale principio ricavabile dalla appena veduta sequenza, che l’avviso sostitutivo possa essere fondato su una mera rivalutazione fattuale o giuridica degli stessi elementi posti alla base di quello annullato in autotutela (Cass. sez. trib. n. 11421 del 2015); sennonchè, deve essere rilevato come la Regionale abbia affermato, in modo del tutto apodittico, di non poter essere in grado di “verificare” se l’ufficio fosse stato o meno già a conoscenza degli elementi sulla scorta dei quali era stato successivamente aumentato il recupero di imposte; e, ciò, nonostante che nel nuovo avviso questi elementi di novità fossero stati puntualmente indicati; e, soprattutto, senza confrontarsi con il contenuto dei due PVC, per controllare se davvero nel secondo fossero o meno presenti elementi non conosciuti dall’ufficio e posti alla base dell’accertamento di nuove pretese tributaria; e, in tal modo, palesemente incorrendo nel censurato vizio di insufficiente motivazione.

4. Con il quinto motivo di ricorso, denunciata la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, dell’art. 654 c.p., e dell’art. 116 c.p.c., l’ufficio censurava la Regionale per aver ritenuto che i due riuniti ricorsi fossero fondati anche nel merito; nella sostanza, l’ufficio rimproverava alla Regionale di aver fatto solo formale ossequio al consolidato principio secondo cui gli accertamenti del giudice penale non pregiudicano automaticamente l’esito del giudizio tributario, ma nella sostanza finendo invece per adeguarsi in modo pedissequo alla penale assoluzione del legale rappresentante della contribuente; senza, pertanto, come la Regionale avrebbe dovuto, tener conto dei numerosi elementi di prova che emergevano dalla documentazione sequestrata, i quali confermavano il carattere di mere cartiere delle Società che avevano ricevuto le opere in subappalto; con il sesto motivo, le appena riassunte doglianze erano declinate come vizio motivazionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

4.1. I due motivi, che di nuovo è utile trattare unitariamente, sono da accogliere per le ragioni appresso. In effetti, con riguardo alle operazioni soggettivamente inesistenti, quali quelle di subappalto in discussione, che secondo l’ufficio celavano invece mere prestazioni di lavoro subordinato, la giurisprudenza si è ormai consolidata nel senso che sull’Amministrazione grava l’onere di provare sia la soggettiva inesistenza dell’operazioni, sia la conoscibilità che delle stesse può avere il contribuente; prova che dall’ufficio, secondo la rammentata giurisprudenza, può essere assolta anche attraverso la dimostrazione di qualificati indici di carattere presuntivo, prescindendo cioè dalla regolarità cartolare delle ridette operazioni; una formale regolarità che può essere per es. connotata dagli avvenuti pagamenti, dall’emissione di fatture e dalla stipula di contratti; circostanze, quelle appena esemplificate, in genere predisposte proprio a dare alle operazioni soggettivamente inesistenti una parvenza di realtà e che per tale ragione la citata giurisprudenza giudica di pratica irrilevanza; all’Amministrazione, sempre per la ricordata giurisprudenza, basta invece la dimostrazione di taluni fatti, normalmente indicativi della interposizione soggettiva, come ad es. la circostanza che i pagamenti siano stati fatti direttamente dalla contribuente, come nella concreta fattispecie poteva risultare dagli assegni sequestrati al B., oltrechè dalle dichiarazioni degli artigiani che lavoravano nei cantieri; fatto, quest’ultimo della presenza degli artigiani nei cantieri dati in subappalto alle due Società, che per la richiamata giurisprudenza sarebbe altresì indice dell’assenza di una loro organizzazione imprenditoriale, una assenza che è appunto tra gli indici tipici delle Società fittizie; come, del resto, per la medesima giurisprudenza, è altresì tipica delle operazioni soggettivamente inesistenti, la circostanza del costante omesso pagamento delle imposte da parte delle Società fittizie (Cass. sez. trib. n. 9588 del 2019; Cass. sez. trib. n. 9851 del 2018); queste circostanze, nella concreta fattispecie rilevate dagli accertatori, che la giurisprudenza reputa idonee a dar presuntiva dimostrazione di inesistenza soggettiva delle operazioni, avrebbero perciò dovuto imporre alla Regionale di passare alla valutazione delle contrarie prove offerte dalla contribuente, alla quale sarebbe spettato pertanto dimostrare di non essere stata in grado di comprendere, pur con l’esercizio della massima diligenza esigibile, che le Società alle quali erano affidate le opere in subappalto erano mere cartiere; laddove, invece, la Regionale ha erroneamente ritenuto che le prove utilizzabili dal giudice penale fossero di per sè sufficienti a provare la realtà soggettiva delle operazioni, incorrendo così nella denunciata violazione di legge, oltrechè nel lamentato vizio motivazionale.

5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione dell’art. 2699 c.c. ss., della cit. L. n. 212, art. 12 ss., e dell’art. 1362 c.c. ss., la contribuente lamentava che la Regionale avesse erroneamente respinto l’eccezione di nullità dell’avviso che aveva sostituito quello annullato in autotutela; in particolare, la contribuente deduceva che la mancata sottoscrizione del PVC da parte del suo legale rappresentante provava che l’atto non era stato consegnato, come del resto confermato dalla circostanza che nell’avviso era detto che la sua notificazione valeva anche come notificazione del PVC allegato; cosicchè, secondo la contribuente, in mancanza di rilascio del PVC al termine della verifica, la Regionale avrebbe dovuto riconoscere la violazione della cit. L. n. 212, art. 12, che prevede, a pena di nullità dell’accertamento, che l’avviso non possa essere emesso prima di sessanta giorni dal rilascio del PVC, a meno di ragioni d’urgenza; ragioni d’urgenza, faceva rilevare la contribuente, mai allegate dall’Amministrazione; con il secondo motivo del ricorso incidentale, le appena riassunte doglianze erano declinate come vizio motivazionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

5.1. I motivi, da esaminarsi congiuntamente perchè strettamente connessi, anche in disparte la loro inammissibilità per difetto di autosufficienza, discendente dal non aver trascritto almeno la parte del PVC in cui i verbalizzanti avevano dato atto che lo stesso era stato consegnato al legale rappresentante (Cass. sez. III n. 14839 del 2016; Cass. sez. VI n. 15609 del 2012), sono comunque infondati; e questo perchè, come correttamente deciso dalla Regionale, l’attestazione di consegna dell’avviso, indipendentemente dalla mancata sottoscrizione da parte del legale rappresentante della contribuente, poteva essere contestata solo a mezzo di querela di falso (Cass. sez. trib. n. 24461 del 2018; Cass. sez. trib. n. 23747 del 2013).

6. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, commi 2 e 3, del cit. D.P.R. n. 600, art. 33, la contribuente deduceva che erroneamente la Regionale aveva ritenuto infondata l’eccezione di nullità degli accertamenti per inutilizzabilità delle prove documentali sequestrate; inutilizzabilità derivata, invece, in tesi della contribuente, dalla pacifica circostanza che l’accesso, la perquisizione e il sequestro erano avvenuti senza autorizzazione del Pubblico ministero.

6.1. Il motivo, al di là della correttezza giuridica della affermazione contenuta nella impugnata sentenza, laddove la Regionale ha in via generale sostenuto che nel processo tributario la prova “”illecita” può sempre trovare ingresso, ciò che in effetti non rispecchia la giurisprudenza per es. formatasi in tema di mancata autorizzazione all’accesso domiciliare (Cass. sez. trib. n. 25650 del 2018; Cass. sez. trib. n. 8206 del 2015), è intanto preliminarmente inammissibile per difetto di autosufficienza; in effetti, per quanto trascritto dalla contribuente, in nessun luogo processuale risulta che vi siano stati accessi a privati domicili non autorizzati dalla competente autorità penale ai sensi del cit. D.P.R. n. 633, art. 52; in talune parti trascritte, diversamente, si parla invece di una penale perquisizione domiciliare avvenuta in flagranza di reato ai sensi dell’art. 352 c.p.p.; e, in altre parti trascritte, che il Pubblico Ministero aveva autorizzato la trasmissione al competente ufficio erariale della documentazione acquisita nel corso delle indagini penali, compresa quella sequestrata a seguito della perquisizione avvenuta presso l’abitazione del padre del B.; autorizzazione, come noto, espressamente prevista dal D.P.R. n. 600 cit., art. 33, comma 3; la fattispecie delineata nel ricorso, quella cioè dell’accesso domiciliare senza previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria, non trova quindi alcun autosufficiente riscontro; in ogni caso, deve affermarsi la liceità della perquisizione domiciliare in flagranza di reato, oltrechè il dovere della Polizia Giudiziaria di eseguire il conseguente sequestro probatorio, in mancanza dei quali sarebbe intuibile la possibilità di sottrazione della documentazione utile alla dimostrazione della perpetrazione di reati fiscali, che è proprio quello che la legge penale intende evitare con l’art. 352 c.p.p.; e dovendosi altresì osservare che, una tale fattispecie, che potrebbe esser stata quella in concreto verificatasi, in quanto governata dall’art. 352 c.p.p., oltrechè dall’art. 220 att. c.p.p., non può andare confusa con quella diversa dell’accesso fiscale domiciliare che deve essere preventivamente autorizzato cit. D.P.R. n. 633, ex art. 52; la prova penale trasmessa è stata quindi acquisita nel rispetto delle regole del processo penale; per cui dovrebbe, comunque, concludersi, anche al di là della preliminare inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, nel senso della legittimità della autorizzazione del Pubblico Ministero alla trasmissione di documentazione lecitamente sequestrata nel corso di una perquisizione domiciliare compiuta in flagranza di reato, siccome permesso dall’art. 352 c.p.p..

7. Con il quarto motivo del ricorso incidentale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione del D.P.R. n. 600 cit., art. 43, comma 4, nel testo vigente ratione temporis, la contribuente deduceva la nullità dell’avviso che aveva sostituito quello annullato in autotutela, mancando il requisito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi di evasione, presupposto indispensabile per l’emissione di un accertamento integrativo del D.P.R. n. 600 cit., ex art. 43, comma 4; a riguardo, lamentando che la Regionale, decidendo nel merito la controversia con l’accoglimento dei ricorsi, avesse implicitamente respinto la suddetta eccezione di nullità.

7. Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse processuale, avendo la Regionale, come sopra ricordato, con una ulteriore ratio decidendi favorevole alla contribuente, rispetto a quella dell’accoglimento nel merito dei ricorsi, dichiarato la nullità dell’avviso che aveva sostituito quello annullato in autotutela proprio per violazione del cit. D.P.R. n. 600, art. 43, comma 4.

8. All’accoglimento dell’appello principale, deve seguire il giudizio di rinvio per gli ulteriori accertamenti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, respinge quello incidentale; rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, in altra composizione, dovrà decidere la controversia uniformandosi ai superiori principi, oltrechè regolare le spese di ogni fase e grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2020

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