Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7292 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. I, 30/03/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 30/03/2011), n.7292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.D. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BARBERINI 86, presso lo studio dell’avvocato SCATENA

Ilaria, rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO (dello

Studio Legale Defilippi & Associati), giusta procura speciale

in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 211/08 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA del

24.9.08, depositato il 29/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PRATIS

Pierfelice.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “1.- Con decreto depositato il 29.9.2008 la Corte di appello di Brescia ha rigettato la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta da B.D. contro il Ministero della Giustizia in relazione alla dedotta irragionevole durata di un processo di separazione personale.

La Corte di merito ha osservato che il giudizio presupposto – iniziato con ricorso del 16.10.2003, definito in primo grado con sentenza depositata il 13.10.2006, appellata dal B. il 2.2.2007 e pendente dinanzi alla Corte di appello al momento della proposizione del ricorso Pinto – non aveva avuto una durata irragionevole, anche per “la problematicita’ delle numerose questioni sollevate dalle parti”, con profili patrimoniali rilevanti e controversi e dalla conseguente complessa attivita’ istruttoria espletata (25 testi).

Contro il decreto l’attore ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi con i quali denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna alle spese e alla determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto.

Resiste con controricorso il Ministero intimato.

2.- Entrambi i motivi di ricorso appaiono manifestamente infondati perche’ la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso e’ orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimita’. A tali parametri si e’ attenuta la Corte di appello, peraltro evidenziando la complessita’ della causa, la cui durata non ha superato i tre anni in primo grado e, considerata l’epoca di proposizione dell’appello, nella fase di gravame era pendente da poco piu’ di un anno al momento della presentazione della domanda di equa riparazione.

Quanto alle spese, va ricordato che nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89 trova applicazione la disciplina della responsabilita’ delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese e tale principio non e’ in contrasto con l’art. 34 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come modificata dal protocollo n. 11, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali (Sez. 1, Sentenza n. 16542 del 15/07/2009).

Il ricorso, quindi, puo’ essere deciso in camera di consiglio”.

Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.

2. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso. Argomentazioni non scalfite dal contenuto della memoria difensiva, essendo questa sostanzialmente ripetitiva del ricorso e in parte volta a contrastare l’eccezione di inammissibilita’ – non accolta – sollevata nel controricorso.

Le spese del giudizio di legittimita’ – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Amministrazione intimata le spese processuali che liquida in Euro 425,00 oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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