Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7292 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4140/2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA STEFANO

LONGANESI 9, presso lo studio dell’avvocato CARMELO RUSSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FERDINANDO PIETROPAOLO;

– ricorrente –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 322,

presso lo studio dell’avvocato UMBERTO BUCCARELLI, 1976

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MARTINGANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 88/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 26/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.A. convenne in giudizio G.P. davanti al Tribunale di Vibo Valentia, chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto di riscatto agrario in relazione alla quota di ventuno ventiquattresimi di un fondo rustico che il convenuto aveva acquistato in violazione del diritto di prelazione dell’attore.

A sostegno della domanda espose di essere proprietario coltivatore diretto di un fondo confinante con quello oggetto di compravendita e di essere in possesso di tutti i requisiti di legge per l’esercizio del riscatto.

Si costituì in giudizio G.P., chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale volta al riconoscimento dell’esistenza del diritto di prelazione in suo favore, da ritenere prevalente rispetto al diritto di riscatto dell’attore. In particolare, il convenuto affermò di essere a sua volta proprietario e coltivatore diretto di un altro fondo confinante con quello oggetto di riscatto, per cui il diritto esercitato dall’attore avrebbe dovuto essere esaminato unitamente al suo identico diritto confliggente.

Espletata una c.t.u. e svolta prova per testi, il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento della metà delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata da G.A. e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 26 gennaio 2017, ha rigettato l’appello, confermando la decisione del Tribunale e condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha premesso la Corte territoriale che, in conformità all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, se la domanda riconvenzionale è inammissibile, tuttavia i fatti estintivi, modificativi o impeditivi addotti dal convenuto con tale domanda possono essere presi in considerazione come eccezione, ai soli fini di impedire l’accoglimento della domanda principale. Nella specie, infatti, il convenuto aveva esposto di essere titolare di un diritto analogo a quello vantato dall’attore e, come tale, con esso confliggente; ragione per cui il giudice era chiamato, come da insegnamento giurisprudenziale, a porre in comparazione le due posizioni individuando quella che appare preferibile, prescindendo sia dal dato della anteriorità nel tempo che dalle eventuali preferenze del venditore.

Tanto premesso, la Corte d’appello ha dichiarato di condividere la valutazione già compiuta dal primo giudice, secondo cui ai fini dell’acquisto doveva essere preferita la posizione di G.P. rispetto a quella di G.A.. A tale conclusione la Corte calabrese è pervenuta richiamando la c.t.u. e le deposizioni testimoniali.

La sentenza ha osservato che l’appellato possedeva un’azienda di estensione maggiore, nonchè 45 capi bovini ed un cavallo, mentre l’appellante possedeva 24 capi bovini e 34 capi suini (tutti intestati al figlio An.). Come affermato dal c.t.u., inoltre, l’azienda di G.P. appariva ben meccanizzata e meglio dotata quanto agli attrezzi agricoli, per cui essa presentava “una vocazione espansiva più forte rispetto a quella di G.A.”. Non potevano assumere rilievo, ai fini di una diversa decisione, nè la circostanza che la lunghezza del confine tra i fondi delle due parti e quello oggetto di riscatto fosse maggiore quanto al fondo dell’appellante, posto che vi era comunque una contiguità anche con il fondo di G.P., la quale consentiva “un’agevole espansione dell’azienda di quest’ultimo sul fondo medesimo”. Ulteriore elemento valorizzato, poi, è stato quello della forza lavoro, posto che era emerso dall’istruttoria che G.P. poteva fruire della manodopera di un maggior numero di familiari, per cui tale circostanza assumeva una valenza prevalente rispetto al fatto che il figlio di G.A. fosse laureato in scienze agrarie. Nè poteva essere trascurato che buona parte dei beni e dei macchinari di proprietà dell’appellante erano intestati a suo figlio, il che era “indice di un minore coinvolgimento nella stessa da parte del titolare”.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro propone ricorso G.A. con atto affidato a quattro motivi.

Resiste G.P. con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, nonchè omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Osserva il ricorrente che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha riconosciuto che le argomentazioni di cui alla domanda riconvenzionale inammissibile potevano essere prese in considerazione come eccezioni. Richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il diritto di riscatto opera nel momento in cui il retraente lo esercita, con conseguente suo subentro ex tunc rispetto all’acquirente, il ricorrente rileva che già la sentenza di primo grado aveva correttamente riconosciuto l’inammissibilità della domanda riconvenzionale di G.P., non potendo l’acquirente del bene oggetto di riscatto agire affinchè venga riconosciuto in suo favore il diritto di prelazione. Ne consegue che con il passaggio in giudicato della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale, la Corte d’appello avrebbe dovuto omettere l’esame di quella che è stata ritenuta un’eccezione difensiva, mentre in realtà non era tale. La sentenza, cioè, avrebbe riconosciuto “in capo al convenuto un diritto di prelazione connesso alla sua qualità di proprietario confinante non più attuale ovvero non più rilevante per effetto della vendita che del terreno oggetto del giudizio era stata già posta in essere in suo favore”; per cui il convenuto non avrebbe potuto rivendicare la propria posizione di coltivatore diretto di un terreno confinante per contrastare il riscatto esercitato nei suoi confronti.

1.1. Il motivo non è fondato.

La Corte d’appello ha correttamente richiamato la sentenza 15 aprile 2010, n. 9044, pronunciata da questa Corte proprio in una causa agraria, secondo la quale l’eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l’opposizione al diritto fatto valere dall’attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo.

Si tratta di un principio che si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale (v. la sentenza 24 luglio 2007, n. 16314) che distingue, appunto, tra domanda ed eccezione riconvenzionale, a seconda che i fatti costitutivi in essa indicati dal convenuto siano introdotti allo scopo di ottenere che sui medesimi si statuisca con efficacia di giudicato ovvero al solo scopo di conseguire il rigetto della domanda dell’attore (v., tra le altre, le sentenze 16 marzo 2012, n. 4233, e 19 maggio 2015, n. 10206).

Facendo applicazione di tale principio al caso odierno, si ha che la domanda riconvenzionale di G.P. – volta a sentire accertare l’esistenza di un suo diritto di prelazione che precedeva quello di riscatto vale comunque come eccezione, nel senso che legittima il convenuto ad opporre l’esistenza di un suo diritto che può paralizzare l’esercizio di quello dell’attore. La vicenda in esame si caratterizza per una sua peculiarità poichè ha ad oggetto le contrastanti posizioni di due soggetti, entrambi coltivatori diretti ed entrambi confinanti rispetto al fondo oggetto di alienazione, i quali erano evidentemente titolari, in astratto, del diritto di prelazione. Situazione, questa, che giustificava che il proprietario intenzionato ad alienare comunicasse la sua volontà ad entrambi. Solo che, mentre uno dei due ( G.P.) ha potuto, nella sostanza, realizzare l’effetto che sarebbe conseguito al riconoscimento della prelazione, acquistando direttamente il terreno, l’altro non l’ha potuto fare ( G.A.), perchè non gli è stata data alcuna comunicazione dell’intenzione di vendere da parte del proprietario e, dunque, egli non è stato posto in grado di far valere il diritto di prelazione a suo favore e contro l’altro soggetto acquirente. Nel giudizio di riscatto promosso dal concorrente trascurato ( G.A.), la domanda riconvenzionale proposta da G.P. per ottenere il riconoscimento della prelazione a suo favore postulava il riconoscimento di un diritto, quello all’acquisto della proprietà del bene, che in concreto si era già realizzato in forza della compravendita volontaria; per cui risultava azionato al di fuori dello schema normativo astratto. I giudici di merito hanno in sostanza preso atto, con la declaratoria di “inammissibilità”, che il diritto azionato con la riconvenzionale non rispondeva, appunto, allo schema normativo astratto.

Senonchè, i fatti posti a base della domanda riconvenzionale avevano comunque rilievo come fatto impeditivo rispetto alla domanda principale, rendendo necessario il giudizio di comparazione tra le due posizioni, così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte. Questi fatti rilevavano, cioè, al fine di valutare se nel conflitto fra i due potenziali titolari del diritto di prelazione fosse da preferire la posizione di G.A. o, viceversa, quella di G.P..

Ne consegue che l’avvenuto scrutinio delle ragioni poste a base della domanda di accertamento riconvenzionale in via di sola eccezione è da ritenere pienamente legittimo. Non può avere valenza decisiva, in senso contrario, l’affermazione del ricorrente secondo cui il passaggio in giudicato della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale avrebbe comportato per la Corte d’appello la necessità di omettere l’esame delle argomentazioni di G.P. in ordine all’esistenza del suo diritto di prelazione; ciò in quanto, come si è detto, avendo quest’ultimo già realizzato il proprio acquisto nel momento in cui G.A. ha agito per il riscatto, i due diritti risultavano comunque confliggenti, con conseguente necessità di procedere alla comparazione tra di loro (secondo i criteri di cui alla sentenza 20 gennaio 2006, n. 1106, più volte ribaditi in seguito, v. la sentenza 12 febbraio 2013, n. 3292).

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 e del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 7.

Osserva il ricorrente che la sentenza non avrebbe valutato in modo adeguato la circostanza per cui il figlio dello stesso, Gr.An., è laureato in scienze agrarie. Il D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 7, infatti, indica come criterio preferenziale, ai fini di dirimere il conflitto tra più titolari del diritto di prelazione, quello del possesso da parte dei compartecipi dell’impresa di soggetti in possesso di conoscenze e competenze adeguate.

2.1. Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo stabilito che in presenza di una pluralità di coltivatori diretti proprietari di terreni diversi, tutti confinanti con il fondo rustico posto in vendita, a ciascuno dei medesimi spetta il diritto di prelazione e riscatto di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, n. 2) e, ove si verifichi una situazione di conflittualità, per effetto dell’esercizio della prelazione o riscatto da parte di due o più dei predetti confinanti, è compito riservato al giudice del merito la scelta del soggetto preferito, che dovrà accordare prevalenza ad uno piuttosto che agli altri aspiranti alla prelazione, alla stregua della maggiore o minore attitudine a concretare la finalità perseguita dalla citata norma e, cioè, l’ampliamento delle dimensioni territoriali dell’azienda diretto-coltivatrice che meglio realizzi le esigenze di ricomposizione fondiaria, di sviluppo aziendale e di costituzione di unità produttive efficienti sotto il profilo tecnico ed economico (sentenza n. 1106 del 2006).

Il D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 7, compiendo un passo avanti rispetto alla previsione della L. n. 817 del 1971, art. 7, ha dettato una specifica previsione proprio allo scopo di chiarire meglio quali criteri debbano essere seguiti dal giudice per dirimere la conflittualità esistente tra più titolari del diritto di prelazione. Ed ha indicato, nell’ordine, una serie di criteri tra i quali figura, nell’ultima posizione, il possesso da parte dell’aspirante di “conoscenze e competenze adeguate ai sensi dell’art. 8 del Regolamento CE n. 1257/99 del Consiglio, del 17 maggio 1999”. La medesima disposizione ha indicato al primo posto, tra i criteri preferenziali, “la presenza come partecipi nelle rispettive imprese di coltivatori diretti e imprenditori agricoli a titolo principale di età compresa tra i 18 e i 40 anni”, nonchè il numero dei medesimi.

La Corte d’appello, seguendo correttamente la giurisprudenza suindicata di questa Corte a proposito della necessaria valutazione comparativa degli aspiranti, ha tenuto in considerazione tutti gli elementi a disposizione ed è pervenuta alla conclusione che l’azienda di G.P. fosse da preferire, per le ragioni di cui si è detto. Nel compiere tale valutazione, la Corte calabrese non ha trascurato l’elemento che il ricorrente sottolinea nel motivo in esame, osservando che la particolare competenza del figlio di G.A., laureato in scienze agrarie, non poteva essere prevalente rispetto al numero delle persone che lavorano nell’azienda di G.P., alla maggiore quantità di animali ed alla migliore attrezzatura di cui quest’ultimo dispone.

Ne consegue che la lamentata violazione di legge non sussiste, perchè la sentenza impugnata ha bene inquadrato la fattispecie e ha dato conto delle ragioni della scelta; nè il testo del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 7, offre alcun elemento per affermare che la presenza, nell’azienda di uno dei concorrenti, di una persona qualificata dal punto di vista dei titoli di studio dia titolo alla sicura precedenza.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7, nonchè omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La sentenza, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto di alcuni elementi decisivi. Innanzitutto, quello della maggiore estensione del confine tra il fondo oggetto di riscatto e quello di proprietà del ricorrente rispetto al confine con il fondo di proprietà di G.P.. Oltre a ciò, la sentenza non avrebbe considerato che la proprietà di quest’ultimo ha un fronte verso il fondo oggetto di riscatto, ma è separata da una stradella.

La Corte d’appello avrebbe perciò dovuto dare conto di questo particolare assetto dei fondi interessati, tenendo presente che, per costante giurisprudenza, uno dei requisiti per l’esercizio del riscatto da parte del confinante è costituito dalla contiguità dei fondi, senza separazione. La sentenza, invece, neppure avrebbe valutato che il confine tra il fondo oggetto di riscatto e la proprietà di G.P. si limita ad appena 31 metri lineari, che si riducono a 10 se si considera la presenza di un capannone. Quindi, in definitiva, la scelta a favore di G.P. sarebbe in contrasto con i criteri legislativi.

3.1. Il motivo non è fondato.

Esso pone la questione delle modalità del confine tra il fondo di proprietà del riscattante e quello oggetto del riscatto.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato che il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto, proprietario del terreno confinante, previsto dalla L. n. 817 del 1971, art. 7, spetta, in generale, nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, cioè allorquando essi siano caratterizzati da contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo una linea comune di demarcazione (sentenza 20 dicembre 2005, n. 28235). Sulla base di questa premessa si è detto che il diritto di prelazione (e quello di riscatto) non sussistono qualora tra i due fondi si interponga una stradella interpoderale, anche non di uso pubblico (così la citata sentenza n. 28235 nonchè le sentenze 27 settembre 2011, n. 19747, e 21 dicembre 2015, n. 25620). Allo stesso modo, questa Corte ha stabilito che il concetto di contiguità fisica e materiale non può essere esteso alla diversa ipotesi di contiguità funzionale (fondi separati ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria), con la conseguenza che deve escludersi la configurazione di tale contatto ove i due fondi siano separati da un corso d’acqua demaniale (ordinanza 13 febbraio 2018, n. 3409).

Il ricorrente, sulla scia di questa giurisprudenza, aggiunge che la sentenza 18 ottobre 2012, n. 17881, ha affermato che il contatto fisico tra i due fondi deve sussistere “per tutta la comune linea di demarcazione, senza separazione alcuna, neppure in parte, per strisce di terreno adibite a strade vicinali o per impluvi naturali o per scolo delle acque” e sostiene che ciò avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a decidere in modo diverso.

Osserva il Collegio che il caso in esame differisce da quelli decisi dai precedenti già richiamati, perchè è pacifico che nessuno dei due litiganti sia proprietario di un terreno integralmente confinante con quello oggetto di prelazione e riscatto. La sentenza impugnata ha infatti ammesso che “la lunghezza del confine tra il fondo in oggetto e quelli di rispettiva proprietà delle parti è maggiore con riferimento al fondo di G.A.” (circa mt. 116 contro 72), ma non ha ritenuto di dover attribuire a questa differenza un valore decisivo, posto che vi era comunque una situazione di contiguità che offriva a G.P. un’agevole espansione dell’azienda sul terreno acquistato.

Fermo restando, quindi, che la sentenza impugnata ha tenuto in considerazione tutti gli elementi di fatto ed ha compiuto una scelta finale che non è sindacabile in questa sede, va affermato che la confinanza richiesta dalla legge non deve sussistere per l’integralità del confine; nel senso che non è necessario – come parrebbe avere ritenuto la decisione del 2012 – che il fondo di chi intende far valere la prelazione confini, evidentemente da uno dei suoi lati, con quello oggetto di essa per la tutta la sua estensione. Resta fermo, d’altronde, che, se così non fosse, si arriverebbe alla conclusione che nessuno dei due odierni confliggenti avrebbe titolo per la prelazione e il riscatto. La legge, in effetti, richiede che vi sia una confinanza, che non sia limitata ad un solo punto (v. in tal senso la sentenza n. 1106 del 2006, la quale parla di un confine “più o meno ampio”) e che quel confine sia tale da consentire di raggiungere l’obiettivo che la legge si propone, cioè l’ampliamento delle dimensioni territoriali dell’azienda diretto-coltivatrice, che meglio realizzi le esigenze di ricomposizione fondiaria, di sviluppo aziendale e di costituzione di unità produttive efficienti sotto il profilo tecnico ed economico. Che è proprio ciò che la Corte d’appello ha accertato esistente nel caso in esame; per cui il rilievo che, sulla base della non condivisibile affermazione del precedente del 2012, parte ricorrente annette alla presenza, per uno dei lati del fondo del resistente, di una strada divisoria dall’altro fondo, risulta giuridicamente privo di fondamento.

Quanto alle ulteriori considerazioni contenute nel motivo, si tratta di profili di puro merito, non esaminabili in questa sede.

Non sussistono, quindi, nè la prospettata violazione di legge nè il vizio di omessa motivazione.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7, nonchè omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto presente che, secondo costante giurisprudenza, le condizioni per l’esercizio del riscatto vanno considerate nel momento in cui il terreno è venduto in violazione del diritto di prelazione, senza tenere presente la situazione che si è determinata nel momento di pronuncia della sentenza. Ne deriva che i giudici di merito non avrebbero dovuto considerare gli elementi indicati nella c.t.u., trattandosi di una situazione diversa da quella esistente nel momento in cui il fondo è stato venuto a G.P.. Oltre a ciò, la sentenza avrebbe errato nella valutazione complessiva dei due fondi confinanti, tenendo in considerazione elementi irrilevanti (quale il numero dei capi di bestiame, di per sè variabile) e non valutando, invece, che la contiguità del fondo del ricorrente sarebbe molto più estesa rispetto a quella del fondo di G.P., anche ai fini di un possibile accorpamento tra di loro.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Esso contiene due censure.

La prima, che si richiama alla sentenza 28 febbraio 2012, n. 3010, di questa Corte, è inammissibile per la sua non adeguata prospettazione. Se è vero, infatti, come stabilito da quella pronuncia, che le condizioni per l’esercizio della facoltà di riscatto, compresa la destinazione agricola del fondo, vanno riscontrate nel momento in cui quest’ultimo è alienato al terzo in violazione del diritto di prelazione, oppure nel momento in cui essa viene esercitata, con la dichiarazione relativa al retratto comunicata dal retraente al retrattato, senza che il giudice debba verificare la persistenza dei requisiti previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, per tutta la durata della causa, dalla sua proposizione e sino al momento della emanazione della sentenza, è altrettanto vero che nel caso odierno il ricorrente nulla dice circa le condizioni della sua azienda nel momento in cui il fondo fu venduto. Non indica, in altri termini, le ragioni per le quali vi sarebbe stato un mutamento della situazione di fatto tale che una valutazione condotta sulla base della situazione originaria sarebbe stata per lui favorevole.

Ne consegue che la contestazione in diritto rimane lettera morta, posto che il ricorrente non dice neppure se e in quali termini furono da lui mosse obiezioni alle conclusioni del consulente tecnico.

La seconda censura, viceversa, è di puro merito, traducendosi in una contestazione delle conclusioni alle quali è motivatamente giunta la Corte di merito, per cui essa si risolve nell’indebita sollecitazione ad ottenere un nuovo giudizio precluso in sede di legittimità.

5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In considerazione della particolarità della vicenda e della delicatezza delle questioni giuridiche affrontate, la Corte ritiene di dover compensare per intero le spese del presente giudizio di cassazione.

Sussistono peraltro le condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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