Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7291 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 09/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24418/2018 proposto da:

C.M., e T.S., domiciliati in Roma, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi

dall’avvocato Gianfranco Angeli;

– ricorrenti –

contro

M.R., e D.P.G., elettivamente domiciliati in

Roma, alla via A. Papa, n. 21, presso lo studio dell’avvocato

Bernardini Betti Valerio, rappresentati e difesi dall’avvocato

Picchiarelli Sandro;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 138/2018 della CORTE d’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa nella Camera di consiglio del

09/11/2020 del Consigliere Dott. Cristiano Valle, osserva quanto

segue.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I) C.M. e T.S., rispettivamente madre e figlio, impugnano, con atto affidato a cinque motivi di ricorso, la sentenza della Corte di Appello di Perugia, n. 138 del 28/02/2018, che ha confermato la sentenza del Tribunale, della stessa sede, che aveva rigettato l’opposizione all’esecuzione intrapresa nei confronti della C..

C.M. aveva, concesso, con atto notarile del 13/04/2007, un’ipoteca su un immobile di sua proprietà (specificamente: appezzamento di terreno in (OMISSIS), di metri quadrati 740 – settecentoquaranta – al N. C.T. predetto Comune al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS), di are 7 e centiare 40 reddito catastale Euro 3,78 e reddito agrario Euro 4,40), in favore di M.R. e D.P.G., a garanzia un credito dei predetti di Euro cinquantaduemila (Euro 52.000,00), di cui allo stesso atto di costituzione dell’ipoteca, e da rimborsare entro il 13/10/2008.

A seguito dell’inizio dell’esecuzione immobiliare da parte dei M. – D.P., in forza della predetta ipoteca, C.M. propose opposizione all’esecuzione e convenendo in giudizio davanti al Tribunale di Perugia oltre ai coniugi M. anche il proprio figlio T.S., facendo valere un collegamento negoziale tra la detta costituzione d’ipoteca e i debiti del figlio T.S., nonchè del marito T.L. e suoi nei confronti dei M. – D.P., tutti originanti dall’acquisto di quote della società Mast S.r.l. da parte di T.S. nei confronti di M.A..

L’opposizione all’esecuzione venne rigettata dal Tribunale in primo grado e la Corte di appello di Perugia ha confermato la decisione con la sentenza n. 138/2018 del 28/02/2018 qui impugnata.

Resistono con controricorso i M. – D.P..

Il P.G. non ha presentato conclusioni.

La parti non hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I cinque motivi di ricorso censurano come segue la sentenza della Corte di Appello.

Il primo mezzo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 696 e 696 bis c.p.c., per difetto di motivazione sulla nozione di giudizio di merito di cui all’art. 696 bis, comma 5, per violazione o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, per violazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il secondo motivo afferma violazione o falsa applicazione degli artt. 215,228 e 229 c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il terzo mezzo propone censura di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e di nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, nn. 3 e 4, non avendo il giudice dell’appello pronunciato su tutti i motivi d’impugnazione.

Il quarto motivo afferma violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., “vizio di ragionamento” del giudice di secondo grado in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il quinto, e ultimo, mezzo afferma nullità dell’atto di ipoteca per indeterminatezza della fonte e della prestazione, violazione del principio di specialità, violazione dell’art. 2907 e degli artt. 2808,2809,2821,2878 c.c. e degli artt. 112 e 113 e 277 c.p.c., vizio di motivazione e “vizio di ragionamento” del giudice di secondo grado, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I primi due motivi possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto entrambi sono riferiti all’accertamento tecnico preventivo relativo ai rapporti di dare e avere intercorsi tra i T. – C. da un lato e i M. – D.P. dall’altro, nonchè alla mancata ammissione delle prove e della consulenza tecnica di ufficio.

Entrambi i motivi sono inammissibili in quanto non spiegano quando era stato chiesto l’accertamento tecnico preventivo e soprattutto quale fosse il giudizio di merito al quale esso si riferisce, limitandosi i due motivi a lamentare la mancata acquisizione nel giudizio di opposizione all’esecuzione, che, tuttavia, non è un giudizio di merito nel senso voluto dai ricorrenti, in quanto la sua instaurazione è meramente eventuale ed esso si pone come mero incidente di cognizione nell’ambito del processo esecutivo, sebbene il suo esito possa condurre all’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per procedere o continuare nell’esecuzione.

Entrambi i due motivi sono inammissibili anche in considerazione della prospettazione dei risultati che dall’acquisizione dell’elaborato redatto dal consulente nominato nell’accertamento tecnico preventivo sarebbero conseguiti. I ricorrenti ritengono che il mancato disconoscimento da parte dei M. – D.P. si sarebbe riverberato in loro favore, non chiarendo, tuttavia, in qual modo detto mancato disconoscimento opererebbe, atteso che il disconoscimento è riferito dalle norme del codice di rito, alla scrittura privata (art. 214 c.p.c.). Inoltre, e con riferimento alle istanze istruttorie, il secondo mezzo non indica quali esse fossero, ossia quali prove non sono state ammesse, lamentandosi soltanto che i giudici di merito, dopo un primo opinamento favorevole, le avessero disattese. Il riferimento agli artt. 228 e 229 c.p.c., non è compiutamente effettuato in quanto nel secondo mezzo non vi è, nello svolgimento del motivo, alcuna valida prospettazione di censure sull’interrogatorio formale del M. e della D.P.. Il riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. e all’art. 2697 c.c., pure non è appropriato, giusta quanto si rileverà in relazione al terzo motivo.

La censura formulata ai sensi dell’art. 113 c.p.c., è, da ultimo, del tutto apodittica, in quanto rimane sfornita di adeguato addentellato, poichè la norma richiamata disciplina il potere decisorio del giudice affermando che esso deve esercitarsi secondo le norme di legge e solo nei casi consentiti secondo equità.

Il terzo mezzo che denuncia violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, è pure inammissibile.

In relazione all’art. 112 c.p.c., in quanto il mezzo non deduce un’omissione di pronuncia in senso proprio, bensì si limita a prospettare una diversa lettura delle risultanze processuali e censura, ancora impropriamente, la mancata valutazione di risultanze istruttorie e comunque il ragionamento probatorio del giudice di merito.

Inoltre, e con riferimento alla parte di motivo riferita all’art. 115 c.p.c., ritiene il Collegio che perchè si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”. Ne segue che il motivo così dedotto è privo di fondamento per ciò solo (Sez. U. n. 16598 del 05/08/2016, non massimata sul punto).

Infine, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c., è necessario considerare che, poichè l’art. 116 c.p.c., prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi: Cass. n. 11892 del 10/06/2016 (Rv. 640193-01).

Ne consegue, anche sulla base delle affermazioni della giurisprudenza nomofilattica (Sez. U. n. 8053 del 07/042014, già richiamata), che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo incasellabile nè nel paradigma del n. 5 nè in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4), non trova di per sè alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.

Il quarto mezzo è del pari inammissibile.

Esso denuncia ancora violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e “vizio di ragionamento del giudice di secondo grado”.

L’inammissibilità è stata sopra motivata, con riferimento a quanto scritto in relazione al terzo motivo e avuto riguardo agli artt. 115 e 116 c.p.c.. In relazione al dedotto non meglio specificato vizio di ragionamento del giudice deve rilevarsi l’inconcludenza della censura, risolvendosi essa in una richiesta di diverso apprezzamento delle dichiarazioni rese in interrogatorio formale dai coniugi M. – D.P. e presupponendo, essa una interpretazione congiunta delle dichiarazioni rese in interrogatorio formale in una con quelle dell’accertamento tecnico preventivo, le cui risultanze sono, tuttavia, state ritenute non acquisibili.

Il quinto motivo, relativo all’atto di costituzione dell’ipoteca da parte della C. è pure inammissibile.

La motivazione della Corte territoriale afferma che il titolo posto a base della garanzia era il riconoscimento del debito da parte della C. e l’importo era determinato in Euro cinquantaduemila, cosicchè non vi era alcun riferimento ad altri e diversi rapporti intercorsi tra le parti. Il ragionamento decisorio non è intaccato utilmente, in quanto la Corte ha riscontrato la rispondenza dell’atto costitutivo dell’ipoteca – riportato per esteso nel controricorso – con il modello legale di cui agli artt. 2821 c.c. e segg., anche con riferimento alla determinatezza del credito. La soluzione interpretativa resa dalla Corte d’Appello è coerente con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 03221 del 18/02/2015 Rv. 634352-01): “In tema di iscrizione ipotecaria, il principio secondo cui il titolo deve essere sufficiente ed adeguato a dare contezza dell’esistenza e dell’individuabilità del credito garantito, trovando il suo fondamento nell’impossibilità di costituire un’ipoteca per debiti non attuali, ad eccezione di quanto previsto dall’art. 2852 c.c., per i crediti condizionali o per quelli che possano eventualmente nascere in dipendenza di un rapporto, non trova applicazione relativamente ad un credito riconosciuto come già esistente da colui che concede la garanzia, e rientra nei poteri esclusivamente riservati al giudice del merito apprezzare l’esistenza e la individuabilità del credito stesso”.

Il richiamo all’art. 277 c.p.c.,che disciplina il procedimento decisorio dinanzi al collegio rimane del tutto oscuro.

Il ricorso deve, per quanto motivato, essere dichiarato inammissibile.

III) Le spese di lite, di questa fase di legittimità, seguono il criterio della soccombenza e, sono liquidate come da dispositivo.

IV) Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. n. 04315 20/02/2020) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. n. 05955 del 14/03/2014; tra le innumerevoli altre successive: Sez. U. n. 24245 del 27/11/2015) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 4.100,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15h, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 9 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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