Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7290 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. I, 30/03/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 30/03/2011), n.7290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.L. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.

MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5047/08 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

3.7.08, depositato il 21/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PRATIS

Pierfelice.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “ C.L. ha adito la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 10.5.2000, non ancora definito.

La Corte d’appello, con il decreto impugnato, pronunciato nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, fissato il termine di durata ragionevole del giudizio in anni tre, ha liquidato per il danno non patrimoniale, per il ritardo di 5 anni e 2 mesi, la somma di Euro 4.133,00, (Euro 800,00 per anno di ritardo), con il favore delle le spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso l’attore, affidato a sette motivi; ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

1.- Con i sette motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed e’ formulato il seguente quesito “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?”.

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno:

se l’indennizzo vada liquidato per l’intera durata del giudizio e non solo per la parte eccedente il termine di ragionevole durata, nella misura di Euro 1.000,00 – 1.500,00 per anno ed il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detto parametro;

“spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore?” ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda e cio’ costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c. e comporterebbe un difetto di motivazione.

2.- I motivi indicati nel par. 1, da esaminare congiuntamente, perche’ giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa percio’ manifestamente erroneo – al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio’ sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtu’ di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini e’ il principio che puo’ essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui e’ stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va ribadito che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo e, secondo la giurisprudenza di questa Corte, avendo riguardo al parametro di Euro 1.000,00 – Euro 1.500,00 per anno di ritardo dopo i primi tre anni, per i quali l’indennizzo e’ pari a Euro 750,00 per anno. Peraltro, deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere -come ha invece sostenuto l’istante- una ulteriore, piu’ elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il c.d. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, cio’ non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, e’ probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570 e n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entita’ della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 163 0 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006). Il giudice del merito puo’, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che cio’ comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicche’ se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, cio’ sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008).

Inoltre, la precettivita’, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo:

per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversita’ di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 1156 6 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

Infine, va tenuto conto della piu’ recente giurisprudenza di questa Sezione e con i criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI C. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi e, in particolare, del principio enunciato da Sez. 1, Sentenza n. 13019 del 2010, secondo cui “deve ritenersi congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguita’ della posta in gioco per l’esiguita’ del trattamento pensionistico chiesto e denegato dalla Corte dei Conti, la riparazione per la somma indicata di meno di Euro 500,00 annui, anche maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. per il danno non patrimoniale di un processo amministrativo italiano” (Sez. 2A, 16 marzo 2010, Volta et autres c. Italie, ric. 43674/02).

Nella concreta fattispecie il giudizio amministrativo presupposto ha avuto una durata di circa otto anni e la Corte di merito ha liquidato la somma di Euro 4.133,00, sostanzialmente attenendosi ai criteri innanzi richiamati. Le argomentazioni svolte dall’istante sono invece manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicita’, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entita’ della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi gia’ nella fese di merito.

Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimita’ – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Amministrazione resistente le spese processuali che liquida in Euro 565,00 oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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