Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 729 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 729 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 28637-2012 proposto da:
NICOSIA CARMELA NCSCML55B52G2730, MASTROPAOLO ANTONINO
MSTNNN44P06F377H, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE
MICHELANGELO 9, presso lo studio degli avvocati ABBATE FERDINANDO
EMILIO e FERRIOLO GIOVAMBATTISTA, che la rappresentano e difendono,
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope
legis;

Cciis

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Data pubblicazione: 15/01/2014

– resistente avverso il decreto n. 413/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del 13.2.2012,
depositato il 26/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/07/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

e Giovambattista Ferriolo) che ha chiesto raccoglimento del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che ha
concluso per raccoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Antonino Mastropaolo e Carmela Nicosia hanno, con ricorso alla Corte d’appello di
Perugia, proposto domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, del
danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di
equa riparazione regolato dalla stessa legge, introdotto nel maggio 2006 dinnanzi alla
Corte d’appello di Roma. Giudizio che, dopo la definizione in sede di merito nel gennaio
2008, era proseguito in cassazione sino alla emissione della sentenza nel giugno 2010.
La Corte territoriale, con il decreto indicato in epigrafe, ha dichiarato inammissibile la
domanda, ritenendo che il rimedio previsto dalla L. n. 89 del 2001 sia unico, e quindi
non possa essere attivato in relazione alla durata di un procedimento di equa riparazione.
Per la cassazione di questo decreto i predetti hanno proposto ricorso sulla base di un
motivo, cui resiste l’intimata Amministrazione con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

udito per i ricorrenti l’Avvocato Ranieri Roda (per delega avvocati Ferdinando E. Abbate

1. Nel ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art.
2, degli artt. 6.1, 13 e 41 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 111
Cost., osservando come nessuna di queste norme di diritto consenta di escludere dalla
sua applicazione il procedimento di equa riparazione, quale procedimento giurisdizionale
contenzioso destinato a concludersi con una pronuncia idonea ad avere efficacia di titolo
esecutivo, al pari di ogni altro procedimento regolato dalle norme stesse.
2. Il ricorso è fondato. Dalla ricognizione della giurisprudenza della Corte Europea – che
come noto costituisce necessario elemento di riferimento nella interpretazione delle
2

L

disposizioni della C.E.D.U. – ed anche della giurisprudenza di questa Corte, emerge
come non sia in discussione la ammissibilità della domanda di equa riparazione per la
durata irragionevole di un procedimento di equa riparazione: del resto, ne’ la L. n. 89 del
2001, art. 2 ne’ l’art. 6 della C.E.D.U. risultano escludere, espressamente o
implicitamente, dal proprio ambito di applicazione tale procedimento giurisdizionale. 2.1.

equa riparazione, specie nel caso – qui ricorrente – in cui tale giudizio si sia svolto
dinnanzi alla Corte d’appello e in sede di impugnazione dinnanzi a questa Corte. A tale
riguardo, nella sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa Cocchiarella
contro Italia, si è affermato che “il periodo di quattro mesi previsto dalla legge R7into
soddisfa il requisito di rapidità necessario perché un rimedio sia effettivo. L’unico
ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine
massimo per l’emissione della decisione. Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata
dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine
previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli” (par. 99). Nella successiva decisione della
Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa Simaldone contro Italia (par. 29), si è invece
ritenuta eccessiva una durata di un giudizio “Pinto”, svoltosi in un solo grado dinnanzi
alla Corte d’appello e protrattosi per undici mesi. Nel caso deciso dalla Seconda Sezione
il 22 ottobre 2010, causa Belperio e Ciarmoli contro Italia, dopo aver dato atto del
contenuto della sentenza Cocchiarella, si è ulteriormente precisato che la durata di un
giudizio “Pinto” davanti alla Corte d’appello, inclusa la fase di esecuzione, salvo
circostanze eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi. Da ultimo, nella decisione
27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa CE.DI.SA . Fortore s.n.c. Diagnostica
Medica Chirurgica contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, per due
gradi di giudizio, la durata di un procedimento “Pinto” non debba essere, salvo
circostanze eccezionali, superiore a due anni.
2.2. Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la ragionevole durata
del giudizio di equa riparazione previsto e disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada
determinata in mesi quattro dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla
indicazione chiaramente desumibile dall’art. 3, comma 6, della medesima legge (Cass. n.
3

Discussa è piuttosto la individuazione di quale sia la ragionevole durata di un giudizio di

8287 del 2010). Il Collegio ritiene che a tale orientamento non possa essere data
continuità e che – rimandandosi alle singole fattispecie la valutazione della durata
ragionevole di una procedura ex lege n. 89 del 2001 che si svolga solo dinnanzi alla Corte
d’appello – ove, come nel caso di specie, la procedura si sia svolta anche dinnanzi alla
Corte di cassazione, la durata complessiva del giudizio non possa comunque eccedere il

dagli ultimi approdi (sopra riassunti) della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti
dell’uomo in coerenza con il termine (pur avente natura meramente sollecitatoria) di
quattro mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, dall’altro della durata ragionevole del
giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è
suscettibile di estensione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno.
3. Il decreto impugnato è quindi cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti
di fatto, può decidersi nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.. Il giudizio è iniziato
con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Roma nel maggio 2006 ed è stato
definito con sentenza di questa Corte nel giugno 2010. Detratto il termine ragionevole,
stimato in due anni, e tenuto conto che l’impugnazione è stata proposta dopo quattordici
mesi dal deposito della sentenza della Corte di merito (ben oltre il termine breve
legislativamente previsto per il ricorso per cassazione: v. Cass. n. 8287 del 2010), resta
una durata non ragionevole di circa un anno e un mese.
Ai fini della liquidazione dell’indennizzo, va fatta applicazione della giurisprudenza di
questa Corte (ex multis: n. 21840/09; n. 1893/10; n. 19054/10), a mente della quale
l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata

termine ragionevole di due anni, tenuto conto, da un lato, delle indicazioni desumibili

eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato paterna d’animo che
consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve
essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo. Pertanto, il
Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento in favore di ciascun
ricorrente di Euro 812, 50 a titolo di equo indennizzo per il periodo di un anno e un
mese di irragionevole durata. Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data
della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si
attiene nell’operare siffatte liquidazioni.
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c

5. Le spese del giudizio di merito e di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo, tenendo conto, limitatamente al giudizio di legittimità (cfr. S.U. n.
17406/12), di quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione del D.L. n. 1 del
2012, art. 9, comma 2 conv. in L. n. 271 del 2012 (in particolare dei parametri indicati
dalla Tabella A – Avvocati per lo scaglione di riferimento, dei criteri di valutazione

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della
somma di Euro 812, 50 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; condanna
inoltre il Ministero al pagamento delle spese del giudizio dinanzi alla Corte d’appello, in
complessivi Euro 775,00 – di cui Euro 445 per onorari e Euro 280 per diritti – oltre spese
generali ed accessori di legge, e di quelle dinanzi a questa Corte, in complessivi Euro
606,25 – di cui Euro100 per spese – oltre accessori di legge. Spese da distrarsi in favore
dell’avv. Ferdinando Emilio Abbate che se ne è dichiarato antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, il 16 luglio 2013.

previsti dall’art. 4 e della riduzione prevista dall’art. 9 del Decreto citato).

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