Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7289 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 09/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27762/2018 proposto da:

FONDO FORMAZIONE PMI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato LUIGI STRANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CAA CONFAGRICOLTURA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TIBULLO 10, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA FERRI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1243/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 18/9/2018, il FAPI – Fondo Formazione PMI propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1243/2018, pubblicata il 22/2/2018, affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria. Con controricorso notificato il 29/10/2018, illustrato da successiva memoria; resiste C.A.A. Confagricoltura s.r.l..

2. C.A.A. Confagricoltura s.r.l. ha agito in giudizio per ottenere in pagamento da FAPI – Fondo Formazione PMI quanto convenuto per l’affidamento di Piani di Formazione Continua sulla base della quale il Fondo si era impegnato a finanziare le attività di formazione predisposte da Confagricoltura. In ragione di alcune irregolarità emerse in sede di verifica dei rendiconti finali presentati da Confagricoltura, il Fondo aveva proceduto a detrarre alcune somme dall’originario importo complessivamente ammesso a finanziamento, in specie: 1) Euro 30.855,51 per la riscontrata differenza fra i partecipanti previsti nel Piano e quelli indicati al momento del concreto avvio delle attività formative; 2) Euro 16.467,09 a fronte di una serie di costi non adeguatamente supportati e contabilmente non corretti; 3) Euro 13.897,04 in ragione della sussistenza di un cofinanziamento inferiore rispetto a quello originariamente indicato da Confagricoltura nella domanda di finanziamento.

3. Tanto premesso, il Tribunale di Roma adito rigettava la domanda attorea ritenendola sfornita di prova in relazione all’illegittimità delle decurtazioni. Avverso la sentenza, Confagricoltura ha proposto gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, peraltro, dichiarando di prestare acquiescenza rispetto alla decurtazione di Euro 16.467,09. In quella sede il FAPI rimaneva contumace. In riforma della sentenza, la Corte d’Appello, interpretando alcune clausole della convenzione, accoglieva il gravame riconoscendo la illegittimità delle detrazioni operate e, per l’effetto, condannava il FAPI alla residua parte del finanziamento dovuto, nonchè alle spese del doppio grado di giudizio. In particolare, la Corte di merito, in relazione alla decurtazione di Euro 30.855,51, rilevava che l’art. 6 della Convenzione e il par. 3 del Manuale di gestione, applicabili inter partes, prevedono che l’importo originariamente concesso debba essere riconosciuto ove il numero dei partecipanti effettivi risulti pari al 70% dei partecipanti approvati e, nel caso concreto, il rispetto della percentuale di partecipazione era provata dal verbale di verifica del rendiconto predisposto da FAPI e sottoscritto da entrambe le parti in relazione ai partecipanti ai corsi presentatisi; in ordine alla decurtazione di Euro 13.897,04, rilevava l’assenza, nella Convenzione, di una specifica pattuizione che consentisse al Fondo di ridurre il contributo finanziato in ragione di un minore cofinanziamento versato da CAA rispetto a quanto convenuto.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia “Sulla decurtazione di Euro 30.855,51: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, nella interpretazione e applicazione dell’art. 6 della Convenzione e dell’art. 3 sez. V del Manuale di gestione (art. 360 c.p.c., n. 3)” per avere la sentenza erroneamente ritenuto che la decurtazione di Euro 30.855,51 dall’importo di finanziamento fosse stata disposta arbitrariamente dal Fondo in quanto si poneva in contrasto con il testo delle clausole convenute che indicano la modalità con cui commisurare il finanziamento rispetto ai partecipanti effettivi dei corsi di formazione.

1.1. Il motivo è fondato in quanto, dalla sentenza impugnata emerge una evidente violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, in 3, specie, nell’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione e del par. 3 del Manuale di gestione qui in discussione.

1.2. A livello ermeneutico “L’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra” (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 11254 del 10/5/2018; Sez. 3, Sentenza n. 2464 del 10/2/2015; Sez. 3, Sentenza n. 13579 del 21/7/2004).

1.3. Tuttavia, prima di giungere a una conclusione di equivalenza di risultati, questa Corte ha già avuto più volte modo di sottolineare, superando il c.d. principio del gradualismo, come nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti il criterio letterale vada invero riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d’interpretazione, e in particolare dei criteri (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 6/12/2018, n. 31574; Cass., 13/11/2018, n. 29016; Cass., 30/10/2018, n. 27444; Cass., 12/6/2018, n. 15186; Cass., 19/3/2018, n. 6675. V. altresì Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. (che consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta: cfr. Cass., 13/11/2018, n. 29016) e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c. (che quale criterio d’interpretazione del contratto – fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale” – si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n., Ric. 2016 n. 01466 sez. SU – ud. 27-03-2018 -25- 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628), non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947)). Sicchè “In tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, dell’interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, oltre che dell’interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte” (Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 6675 del 19/3/2018; Sez. 2 -, Sentenza n. 7927 del 28/3/2017; Sez. 3 -, Sentenza n. 23701 del 22/11/2016).

1.4. Nella soluzione adottata dalla Corte di merito, invece, non si colgono i criteri seguiti per addivenire a una soluzione che si pone in evidente contrasto con il testo letterale delle clausole in questione e, in qualche modo, depotenzia il valore e la funzione delle medesime clausole. La Corte d’Appello, infatti, ha dato rilievo a una diversa fattispecie, invero non contemplata nelle clausole, in quanto riferita alla differenza tra i “partecipanti effettivi” indicati con la comunicazione di avvio delle attività e quelli “reali” che hanno in concreto svolto tali attività con conseguimento dell’attestato, quando la partecipazione, secondo il tenore delle clausole, doveva essere parametrata ai partecipanti indicati nel Piano che ha dato origine al finanziamento ottenuto rispetto a quelli successivamente indicati dalla società finanziata all’atto della comunicazione dell’effettivo inizio attività.

1.5. Invero, l’art. 6 della Convenzione prevede che: “Per ogni singolo progetto costituente il Piano, il Fapi riconosce il 100% dei costi relativi alle spese ammissibili a condizione che almeno il 70% dei partecipanti, indicati nell’elenco allegato alla comunicazione dell’effettivo inizio attività, abbia partecipato ad almeno il 70% delle ore di attività previste e conseguito l’attestato di partecipazione. In caso contrario, i costi relativi saranno riconosciuti in misura proporzionale alle ore partecipate effettivamente realizzate purchè siano state realizzate almeno il 30% delle ore di attività previste”. Mentre, il par. 3 del Manuale è del seguente tenore: “Ogni singolo progetto costituente il Piano si intende completamente realizzato ed il valore del contributo finanziato maturato coincide con il valore approvato, quando il numero dei partecipanti effettivi risulta almeno pari al 70% dei partecipanti approvati” (cfr. sentenza impugnata pp. 3 e 4).Tanto è rilevante in ragione del fatto che, mentre il Fondo ha decurtato dal finanziamento originariamente concesso l’importo di Euro 30.855,51, in ragione di una riscontrata differenza numerica tra i partecipanti indicati da CAA al momento della domanda di finanziamento (partecipanti previsti) e i partecipanti segnalati con la comunicazione di avvio delle attività (partecipanti effettivi), di contro, la Corte d’appello ha ritenuto la predetta decurtazione arbitraria in ragione della rilevata percentuale, non inferiore del 70%, di partecipanti reali ai corsi rispetto alla comunicazione del numero dei partecipanti effettivi, così applicando le clausole, senza darne alcuna plausibile ragione, in violazione del canone di cui all’art. 1362 c.c., comma 1. Così facendo, peraltro, la Corte territoriale non si è misurata con la stessa ratio delle clausole in questione, attinenti al mantenimento di un rapporto proporzionale tra il finanziamento approvato e quello effettivamente necessario per l’espletamento dei corsi, il cui importo viene commisurato sulla base della domanda presentata con indicazione dei partecipanti previsti nel Piano approvato. L’interpretazione, in effetti, non si confronta neanche con la previsione di una comunicazione, 10 giorni prima dell’inizio dell’attività, di eventuali mutamenti numerici, inserita nel Manuale di gestione, all’art. 4.2, puntualmente richiamato nel ricorso (p. 10).

1.6. Diversamente ragionando, si sarebbe dovuta spiegare la logica per cui il Fondo debba sostenere costi di formazione continua dei lavoratori impiegati nelle imprese anche per lavoratori indicati solo “sulla carta”, all’atto della presentazione della domanda di finanziamento, ma poi non effettivamente presenti nella comunicazione di avvio delle attività di formazione, con una interpretazione delle clausole che si pone oltretutto in palese violazione della normativa Europea sugli “aiuti di Stato” erogabili in via semplificata, in cui pacificamente si inserisce la predetta convenzione, in ragione della quale l’aiuto pubblico (il finanziamento) a fondo perduto ricevuto dall’imprenditore non potrebbe superare una determinata quota rapportata all’attività formativa effettivamente intrapresa, onde evitare fenomeni di indebito arricchimento delle imprese finanziate con distorsione della libera concorrenza (cfr. REG. CE 68/2001, da cui trae origine la stessa Convenzione).

2. Con il secondo motivo si denuncia “Sulla decurtazione di Euro 13.897,04: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, nell’interpretazione e applicazione dell’art. 12.1 dell’Avviso 2-2006 e del punto 2.2. sez. IV del Manuale di gestione (art. 360 c.p.c., n. 3)”. là dove la sentenza ha ritenuto illegittima, in assenza di specifica pattuizione tra le parti, la riduzione praticata dal Fondo di Euro 13.897,04 in ragione del minore apporto di cofinanziamento ricevuto dal Fondo. Si deduce che la decurtazione de qua sia dipesa dalla necessità per il Fondo di ristabilire la proporzione tra l’importo del finanziamento erogato e quello del cofinanziamento del Piano formativo stabilita nell’Avviso 2-2006. Infatti, per i finanziamenti erogati dai fondi interprofessionali per la formazione continua L. n. 388 del 2001, ex art. 118 (tra cui rientra il FAPI) si dovrebbe fare riferimento diretto al regime comunitario degli aiuti di Stato, come pure precisato nell’Avviso n. 2-2006 che costituisce parte integrante del rapporto de quo. Si deduce che i regimi semplificati previsti dalla disciplina comunitaria, tra i quali rientra il caso di specie afferente alla formazione dei lavoratori nell’agricoltura, si applicherebbero solo ove sussistano i presupposti disciplinati dal Regolamento CE n. 68/2001, tra i quali rileva la circostanza in base alla quale l’erogazione dell’aiuto di Stato si dimostri bilanciata da una quota obbligatoria di “cofinanziamento” che il soggetto che riceve l’aiuto deve necessariamente versare.

2.1. Il motivo è fondato, risultando dalla motivazione resa dalla Corte d’Appello una lettura delle clausole convenzionali non ossequiosa dei criteri interpretativi di cui all’art. 1362 c.c., commi 1 e segg., come sopra ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte. Ci si riferisce, in specie, ai rilievi svolti alle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata, ove si legge che si dà rilievo innanzitutto al dato che il costo totale pari ad Euro 584.000,00 viene suddiviso in Euro 300.000,00 di finanziamento FAPI e in 284.000,00 di cofinanziamento a carico di imprese beneficiarie degli interventi”; mentre, si dà anche rilievo al fatto che, nel Manuale di gestione, nella Sezione IV, pag. 19, viene affermato che: “Il contributo privato (cofinanziamento) (…) non concorre alla determinazione dei limiti percentuali di spesa, che sono riferiti al contributo finanziario del Fondo”, così stabilendosi sostanzialmente l’assenza di una obbligatoria proporzione tra importo finanziato e somme cofinanziate. Deve rilevarsi inoltre che nè nella convenzione, nè nel manuale di gestione si fa cenno alcuno alla possibile riduzione del finanziamento in relazione ad una eventualità di un minore cofinanziamento operato da C.A.A. Confagricoltura s.r.l.; onde l’illegittimità della riduzione praticata da FAPI in assenza di una specifica pattuizione” (pp. 4 e 5 sentenza impugnata).

2.2. Tuttavia va osservato che la clausola de qua, richiamata dalla Corte di merito per escludere il diritto del Fondo a un riproporzionamento del finanziamento concesso in ragione del minor cofinanziamento ricevuto, non è propriamente idonea a regolare il caso in questione, ove la decurtazione operata dal Fondo è giustificata, a monte, in ragione del minor cofinanziamento ricevuto rispetto a quello convenuto, e dunque si correla ad un parziale inadempimento di quanto convenuto in sede di Convenzione. La clausola osservata dalla Corte di merito per escludere il diritto ad operare una decurtazione in percentuale del finanziamento, invece, è testualmente riferita al calcolo del finanziamento in base a tetti percentuali di spesa, nel quale calcolo non viene considerato il cofinanziamento dovuto dal beneficiario. Più precisamente, la richiamata “Sezione IV, pag. 19” del Manuale di gestione corrisponde all’art. 2.2. del Manuale, ove si legge che il contributo privato (cofinanziamento) non concorre alla determinazione dei limiti percentuali di spesa, che sono riferiti al contributo finanziario del fondo. La clausola, recante appunto la rubrica “Categorie, voci e limiti di spesa” al suo comma 1 stabilisce che “I costi ammissibili sono articolati in quattro categorie per le quali si stabiliscono i limiti percentuali di spesa, a livello di Piano, riferiti al contributo finanziario del Fapi”, tra tali categorie di spesa rientra il “personale”, la “aula+generali e di gestione”, nonchè la spesa per i “destinatari”.

2.3. E invero, la Corte di merito non risulta avere osservato con altrettanta attenzione che l’art. 12.1 dell’Avviso n. 2 2006, richiamato nella Convenzione per effetto del rinvio operato nell’art. 3, stabilisce che “qualora l’importo del Reddito Allievi (o costo del lavoro dei partecipanti) non sia sufficiente a giustificare la Quota obbligatoria di cofinanziamento, il beneficiario dell’intervento si farà carico di una quota degli altri costi ammissibili”, la quale potrebbe soccorrere per stabilire se vi sia diritto alla operata decurtazione. Di talchè non si comprende sulla base di quale criterio ermeneutico, riferito alle disposizioni convenzionali e normative applicabili al caso di specie, la Corte d’Appello abbia ritenuto legittima la modifica unilaterale della quota di contributo finanziario privato, in un caso in cui il finanziamento pubblico era stato concesso proprio a condizione che una certa e specifica quota del progetto formativo venisse finanziata dall’azienda che riceve l’aiuto, secondo determinati indici e parametri normativi, trasfusi nella Convenzione, che tengono conto degli effettivi costi da affrontare.

2.4. Tanto premesso, si rende necessario un nuovo esame delle clausole, sulla scorta dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.; in particolare, si dovrà avere riguardo alla necessità di parametrare le espressioni convenzionali, che involgano più significati, alla natura e all’oggetto del contratto (ex art. 1369 c.p.c., comma 2), e in particolare occorrerà interpretare le pattuizioni alla luce della normativa Europea sugli “aiuti di stato” in cui si inseriscono e trovano copertura ordinamentale, in via semplificata e secondo una procedura rigorosa, i finanziamenti ai Piani di Formazione Continua, in particolare i Reg. CE 68/2001, Reg. CE 363/2004 e REG. CE 69/2001, citati nell’art. 12.1 dell’Avviso n. 2-2006 cui si riferisce il Piano formativo, recepito nell’art. 3 della Convenzione del 6 settembre 2016 in esame.

3. Con il terzo ed ultimo motivo si denuncia “Sulla condanna alle spese: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014 (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Il ricorrente censura la sentenza per avere condannato il Fondo alle spese del doppio grado, quandanche lo stesso non fosse totalmente soccombente. Difatti, il giudizio di primo grado era di valore pari a complessivi Euro 61.219,64, tenuto conto della somma delle tre decurtazioni; tuttavia, Confagricoltura avrebbe dichiarato in sede di appello di fare acquiescenza al capo della sentenza che ha rigettato il pagamento di una delle tre decurtazioni, ovvero, quella di Euro 16.467,09, talchè il valore della domanda era di soli Euro 44.752,55 con la conseguenza che, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, si sarebbe dovuto prendere in considerazione lo scaglione inferiore di valore e, per l’effetto, liquidare le spese per complessivi Euro 7.254,00, anzichè la somma di Euro 13.000,00 effettivamente liquidata. Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei restanti motivi del ricorso, talchè spetterà al giudice del rinvio liquidare le spese, anche del presente grado, in virtù del complessivo esito della lite e del valore della controversia in relazione a quanto effettivamente disputato in ciascun grado (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 27871 del 23/11/2017; Cass. Sez. U., Sentenza n. 19014 del 11/09/2007; Sez. U., Sentenza n. 1911 del 13/07/1963).

4. Conclusivamente, il ricorso merita accoglimento quanto al primo e al secondo motivo, assorbito il terzo; per l’effetto, la Corte cassa e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso quanto al primo, il secondo motivo, assorbito il terzo; per l’effetto, cassa la sentenza, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese di questa fase processuale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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