Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7286 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 06/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14542/2019 proposto da:

F.F., rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA VITTORIO

RICCARDI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO

107, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO LUCA LOBUONO TAJANI,

pec: (riccardi.nicolavittorio.avvocatibari.legalmail.it);

– ricorrente –

contro

D.B.G., rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO

SANTORO, e con il medesimo elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TOMMASO SALVINI, 55, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

SPAGNOLI, pec: francesco.santoro.pec.ordineavvocati.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 552/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 04/03/2019;

udita la reazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/11/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La signora D.B.G., a seguito della cessazione della convivenza more uxorio con l’ingegner F.F., convenne, con atto di citazione del 15/7/2002, davanti al Tribunale di Bari lo stesso ingegnere, rappresentando di aver incaricato il medesimo dei lavori di ristrutturazione di un appartamento di sua proprietà sito in (OMISSIS) e che detto incarico concretava un contratto di mandato rispetto al quale il mandatario avrebbe dovuto rendere il conto. Chiese pertanto, ai sensi dell’art. 1713 c.c., il rendimento del conto delle varie rimesse effettuate per oltre Lire 400.000.000, e la condanna del convenuto alla restituzione delle somme eccedenti rispetto al costo delle opere, oltre interessi legali.

Il F. si costituì in giudizio escludendo la configurabilità di un mandato e sostenendo trattarsi dell’adempimento di un’obbligazione naturale, come tale priva di obbligo di rendiconto e di restituzione. Nel contempo precisò che, grazie al suo intervento, la D.B. aveva venduto l’appartamento per un prezzo importante, di gran lungo eccedente la somma contestata.

2.11 Tribunale di Bari, con sentenza n. 3472 del 20/10/2012, escluse l’esistenza di un’obbligazione naturale e la natura di contratto d’opera professionale, qualificò la domanda quale “mandato” con obbligo di rendiconto, la accolse e condannò il convenuto alla restituzione della somma di Euro 126.752,48, oltre interessi leccali dalla domanda.

3. Il F. propose appello e la Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 552 del 4/3/2019 (notificata in data 11/3/2019), lo ha rigettato, ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, non configurabile l’adempimento di un’obbligazione naturale da parte della D.B., per difetto di proporzionalità tra le somme corrisposte e l’adempimento dei doveri morali e sociali da parte del convivente “more uxorio”; provata la dazione delle somme al fine della ristrutturazione dell’immobile in (OMISSIS); qualificabile il rapporto quale di “mandato” e dunque obbligato il mandatario alla prestazione del rendiconto ed inadempiente per non aver provato gli esborsi sostenuti con idonea documentazione.

Avverso la sentenza l’ingegner F.F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Ha resistito D.B.G. con controricorso.

4. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., in vista della quale la parte ricorrente ha depositato memoria mentre il Procuratore Generale presso questa Corte non ha concluso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione degli artt. 2967 e 2034 c.c., falsa applicazione dell’art. 1703 c.c., per omessa prova del contratto di mandato ed esclusicne della gestione d’affari gradatamente prospettata in corso di causa, il tutto con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la sentenza per aver qualificato la fattispecie quale contratto di “mandato” in pretesa assenza di prova espressa in tale senso dalla volontà delle parti ed in presenza di obbligazioni naturali tipiche del rapporto more uxorio.

1.1 Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto si limita a reiterare la soggettiva differente prospettazione qualificatoria del rapporto (come obbligazione naturale o come contratto d’opera) senza confrontarsi con gli argomenti svolti dalla Corte d’Appello per escludere la configurabilità nella specie di tali ipotesi. Peraltro cita a sostegno del motivo precedenti di questa Corte rispetto ai quali la Corte d’Appello è del tutto conforme, nel senso di aver escluso la configurabilità di un’obbligazione naturale in assenza del requisito di proporzionalità tra le somme sborsate e i doveri di contribuzione (Cass., 2, n. 3713 del 13/3/2003: “Un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente “more uxorio” configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del “solvens”; Cass., 3, n. 11330 del 15/5/2009; Cass., 1, n. 1277 del 22/1/2014; Cass., 1, n. 1266 del 25/1/2016).

2. Con il secondo motivo – nullità del procedimento e della sentenza per violazione delle norme di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè per omissione degli adempimenti previsti dall’art. 265 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – si duole del fatto che il giudice (forse del primo grado) abbia ordinato il deposito del rendiconto prima che emergessero dall’istruttoria elementi atti a poter affermare che il rapporto dovesse qualificarsi quale “mandato”.

Ad avviso del ricorrente il giudice avrebbe dovuto individuare le spese sostenute per far fronte alle esigenze della famiglia di fatto ed avrebbe dovuto ammettere il giuramento decisorio.

2.1 Il motivo è inammissibile perchè, oltre ad attingere ad un parametro errato (artt. 115 e 116 c.p.c.), non specifica se e come la censura sia stata introdotta nel giudizio di merito, così come non esplicita dove abbia formulato l’istanza di giuramento decisorio, attività peraltro rimessa alla valutazione del giudice del merito.

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare e spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.500 (oltre Euro 200 per esborsi) più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificate pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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