Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7285 del 16/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/03/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 16/03/2020), n.7285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

MULT INVEST s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, P.zza San Giovanni in Laterano n.

18/b presso lo studio dell’Avv. Domenicantonio Cavallaro che la

rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 127/28/2013 della Commissione

tributaria regionale del Lazio, depositata il 10 giugno 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 giugno 2019 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

Fatto

RILEVATO

che:

nella controversi originata dall’impugnazione da parte della Mult Invest s.r.l. di quattro di avvisi di accertamento relativi a Imposte dirette e IVA degli anni 2005, 2006, 2007 e 2008, la C.T.R. del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla Società avverso la prima decisione di rigetto del ricorso introduttivo.

In particolare, il Giudice di appello, nel condividere la decisione della C.T.P. la quale aveva ritenuta corretta la ripresa a tassazione di costi non deducibili in quanto inseriti in contabilità, in assenza dei presupposti di legge per il condono (L. n. 289 del 2002, art. 14), rilevava che la Società aveva portato in deduzione negli anni 2002 e seguenti, con errate indicazioni in contabilità, gli ammortamenti relativi ad un immobile e che il diniego al condono per irregolarità della procedura seguita dalla Società rendeva pienamente legittimo l’operato dell’Ufficio.

Avverso la sentenza ricorre su quattro motivi la Società cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, art. 360 c.p.c., n. 5 – la Società denunzia la sentenza impugnata di omessa e manifesta illogicità.

1.1. il motivo, espressamente proposto ai sensi del previgente disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile. Al ricorso si applica (essendo stata la sentenza impugnata depositata nel giugno 2013) il testo attuale della norma, come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 8053/2014 la quale ha statuito che “le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito”.

1.2 In ogni caso, anche a volere ritenere, dal contesto del mezzo di impugnazione, che il vizio dedotto sia quello di motivazione inesistente, lo stesso è infondato avendo questa Corte da tempo ritenuto la sussistenza di valida motivazione anche se effettuata per relationem ad altro decisum purchè siano chiare, come nel caso di specie, le ragioni della condivisione. (cfr. tra le altre Cass. n. 21037 del 23/08/2018; id. n. 5209 del 2018; n. 18754 del 2016; n. 22022 del 2017). Nè si apprezza la dedotta illogicità della motivazione per l’assoluta genericità della prospettazione.

2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 14.

2.1 La contestazione mossa alla Società negli avvisi di accertamento impugnati, riconosciuta corretta dalla C.T.P. e ribadita come tale per relationem dalla CTR si fonda, principalmente, sulla constatazione che per, validamente, operare il condono sulla regolarità delle scritture contabili dall’esercizio 2003 e successivi, la Società avrebbe dovuto condonare ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, l’annualità 2002, cosa non avvenuta.

2.2 Tale argomentare del Giudice di merito è assolutamente conforme alla giurisprudenza, in materia, di questa Corte (cfr. Cass. n. 24494/2015 e Cass. n. 18237 del 16.9.2016 la quale ha, in particolare, cosi statuito “Per effetto del richiamo a quella di cui al precedente comma 3 “con gli effetti ivi previsti” e dell’inquadramento in comune disposizione rubricata (“Regolarizzazione delle scritture contabili”), la rettifica delle scritture contabili conseguente alla presentazione del condono tombale ex art. 9, di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 14, comma 5, si configura quale ulteriore opzionale effetto del condono medesimo. Essa risulta pertanto, di necessità, strettamente legata, sul piano funzionale e su quello temporale, all’istanza di condono”)

2.2 Ciò posto, la censura è inammissibile per più ordini di ragioni. Innanzi tutto la doglianza è rivolta, in gran parte, alla valutazione dei prospetti allegati dalla Società ovvero alla loro conformità o meno a quanto richiesto dalla normativa di riferimento. Ma, con difetto di autosufficienza, la ricorrente omette di indicare come, dove e quando tale questione sia stata introdotta ritualmente in processo e, in definitiva, nei termini in cui viene formulato, il mezzo di impugnazione finisce per devolvere inammissibilmente a questa Corte un accertamento in fatto. Nella stessa illustrazione del motivo, poi, non viene neppure prospettato in che cosa si concreti effettivamente la dedotta violazione di legge laddove, invece, si imputa alla sentenza un’omessa o carente motivazione e la violazione di una circolare amministrativa e in genere (v. conclusum) vizi motivazionali. La sentenza impugnata – che ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione per avere proceduto all’accertamento in seguito al diniego del condono per irregolarità della procedura posta in essere dalla società – va, pertanto, esente da censura, essendo rimasto incontestato che la Società non si era avvalsa della possibilità offerta dalla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, anche per l’annualità 2002, con conseguente impossibilità di valida adesione alla strettamente connessa e conseguenziale procedura di cui al seguente art. 14.

3 Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non contenere la sentenza impugnata l’esposizione dello svolgimento del processo e la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto. La censura è infondata per le ragioni già svolte in ordine al primo motivo.

4 con il quarto motivo, infine, si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c., denunciandosi la violazione del principio del chiesto e del pronunciato per avere la C.T.R. liquidato le spese in favore dell’Agenzia delle entrate, in misura superiore a quelle chieste con la nota.

4.1. la censura è inammissibile per assoluto difetto di autosufficienza giacchè non viene riportato neppure per stralci il contenuto della citata nota spese.

5. Infine, va dichiarata l’inammissibilità della richiesta, in questa sede e fase processuale, di sospensione delle cartelle esattoriali.

6. In conclusione il ricorso va rigettato e la Mult Invest s.r.l., soccombente, condannata alle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2020

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