Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7284 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 22/03/2017, (ud. 19/01/2017, dep.22/03/2017),  n. 7284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18100/2012 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO

CESI 72, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI DI

PATTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANCARLO FALETTI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/2012 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 20/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato BONACCORSI DI PATTI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso e della memoria;

udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARIELLA DE MASELLIS che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.S., architetto, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e sostenuto da memoria ex art. 378 c.p.c., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 1/28/12, depositata in data 20.01.2012 e non notificata, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS), per maggiore IRPEF ed addizionali, regionali e comunali, dovute in relazione all’anno d’imposta 2006, emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e del D.M. 10 settembre 1992, (cd. accertamento sintetico con redditometro) – è stata parzialmente riformata la sentenza di primo grado, escludendo dagli indici di capacità contributiva il motociclo ed il 50% dell’abitazione principale. In particolare, il giudice di appello, nell’accogliere parzialmente il gravame della parte privata, aveva escluso che la mancata instaurazione del contradditorio preventivo si riverberasse negativamente sull’accertamento; aveva quindi ritenuto legittimo il ricorso ad accertamento con metodo sintetico, da parte dell’Ufficio sulla base della consultazione della pagina web del contribuente dalla quale risultava un curriculum di incarichi e funzioni che faceva presumere un reddito superiore a quello fiscalmente dichiarato, rimarcando che il contribuente aveva la possibilità di vincere le presunzioni dimostrando con prova contraria che il maggior reddito non era soggetto ad imposta, ovvero non era stato affatto prodotto. Nell’esaminare i beni immobili, sulla scorta dei quali era stato presunto il maggior reddito, accoglieva la doglianza relativa all’immobile destinato ad abitazione, riconoscendone la natura promiscua ad uso professionale nella misura del 50%, ed a motoveicoli, che escludeva dagli indici; respingeva invece le doglianze relative alla ricostruzione del maggior reddito con riferimento all’immobile sito in (OMISSIS), all’automobile intestata alla moglie, che non risultava avere redditi propri, ed alla polizza assicurativa. Infine escludeva che il reddito dichiarato fosse sufficiente a mantenere una famiglia di diverse persone, anche tenendo conto delle detrazioni di imposta e riteneva che il contribuente non aveva assolto il suo onere probatorio in merito all’asserito ricorso ad un affidamento bancario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 97 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 12, in relazione alle previsioni di cui alla circolare n. 49/E del 09.08.2007, capo 4.2. dell’Agenzia delle entrate (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), per avere l’Ufficio emesso l’avviso senza instaurare il preventivo contraddittorio.

1.2. La censura è inammissibile e, comunque, infondata.

1.3. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, i limiti istituzionali del giudizio di cassazione sono segnati dai suo oggetto, costituito da vizi specifici della decisione del giudice inferiore e non direttamente dalla materia controversa nella sua interezza, e trovano attuazione in una attività che si caratterizza in funzione della rimozione della decisione viziata e non già della sostituzione immediata di questa: il giudizio di cassazione si pone infatti come giudizio a critica vincolata, in cui le censure che si muovono al pronunciamento di merito devono necessariamente trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, secondo cui la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale secondo la rappresentazione che le parti ne fanno al giudice di merito e che prende forma nel contraddittorio processuale (Cass. n. 25332/2014).

Ne consegue che la parte non può volgere le sue censure direttamente avverso l’atto impositivo impugnato e l’attività dell’Amministrazione, contrapponendovi la propria diversa interpretazione al fine di ottenerne l’annullamento.

Ciò è avvenuto ne caso di specie, poichè la doglianza non ha riguardato direttamente la decisione della CTR.

1.4. Il motivo è, comunque infondato, alla luce del condiviso principio già affermato da questa Corte, secondo il quale “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale” (Cass. n. 11283/2016), come avvenuto nel caso in esame (anno di imposta 2006).

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). A parere del ricorrente la CTR ha errato nel ritenere motivato l’accertamento fondato sull’applicazione delle tabelle allegate ai D.M. e nel ritenere che il curriculum desunto via internet potesse avvalorare in via presuntiva una maggiore capacità contributiva, senza peraltro motivare sulla effettiva riferibilità di quanto risultante dal curriculum all’attività svolta nell’annualità in verifica.

2.2. Il motivo è infondato, quanto alla violazione di legge contestata. Questa Corte ha già chiarito che, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, “… dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacchè codesti restano individuati nei decreti, medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore” (Cass. nn. 9539/2013, 16912/2016, 21142/2016); onere in ordine al quale vanno rispettati i criteri di cui a Cass. 8995/2014 (in senso conf. Cass. nn. 25104/2014, 6396/2015, 14885/2015).

La CTR ha dato corretta applicazione a questi principi.

2.3. La denuncia per vizio motivazionale va, invece dichiarata inammissibile in quanto il ricorrente sostanzialmente si limita a sollecitare una rivalutazione dei medesimi fatti già considerati dalla CTR, al fine di pervenire ad una decisione conforme alle sue aspettative e non ne evidenzia i profili di decisività.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione, con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione alle singole fattispecie considerate quali componenti della capacità reddituale avuto riguardo al D.M. 10 settembre 1992, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente, dopo aver osservato che l’Ufficio, trattandosi di accertamento sintetico, aveva l’obbligo di dimostrare la sussistenza dei cd. fatti indice e dei requisiti legittimanti tale metodologia di accertamento, solo a ciò conseguendo il ribaltamento dell’onere della prova a carico del contribuente, prende in esame i fatti indice utilizzati dall’Ufficio e denuncia la assertività e la contraddittorietà della motivazione rispetto alle emergenze fattuali. Segnatamente, quanto all’unità abitativa adibita ad abitazione principale, lamenta il non corretto calcolo della superficie; quanto all’unità abitativa secondaria detenuta all’estero ed al mutuo, critica il metodo di calcolo utilizzato dall’Ufficio; quanto all’autoveicolo, denuncia che non si sia tenuto conto della vetustà e delle caratteristiche del veicolo; quanto all’assicurazione, sostiene che l’Ufficio non aveva fornito gli elementi identificativi del contratto assicurativo, impedendo in tal modo lo svolgimento dell’attività difensiva; quanto alle deduzioni reddituali, osserva che le stesse sarebbero state rilevanti ove fossero state accolte le censure relative agli indici costituiti dalle due unità abitative, principale e secondaria; quanto all’utilizzo del fido bancario, sostiene che la CTR avrebbe, da un lato, ritenuto che il contribuente era effettivamente affidato e, dall’altro, contraddittoriamente, che non sarebbe stato possibile determinare l’incidenza dell’affidamento bancario.

3.2. Il motivo, che alterna censure rivolte all’avviso di accertamento e censure mirate alla sentenza impugnata, è inammissibile sotto il primo profilo per le ragioni già espresse sub 1.3. e sotto il secondo profilo per carenza di autosufficienza, in quanto non trascrive nè l’avviso di accertamento, nè i pregressì atti processuali, quanto meno nelle parti pertinenti alla doglianza, necessarie a valutare la tempestiva introduzione nel giudizio delle questioni sulle quali la motivazione non sarebbe stata adeguatamente svolta e la loro decisività.

In proposito va rimarcato che i vizi di genericità o indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione non possono essere sanati da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., come avvenuto nel caso di specie, la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente inammissibili. (Cass. 3780 del 25/02/2015, Cass. n. 3471 del 22/02/2016).

Sul punto concernente l’affidamento bancario il ricorrente non coglie nemmeno la ratio decidendi che, contrariamente a quanto dallo stesso ritenuto, si fonda proprio sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte sua.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia la nullità del procedimento e, conseguentemente, della sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)

A dire del ricorrente il giudice non aveva provveduto a verificare la ricorrenza di due condizioni essenziali per la legittimità dell’accertamento, e cioè la non congruità del quarto del reddito dichiarato rispetto alla quantificazione redditometrica ed il perdurare di questa mancanza di congruità per due periodi di imposta.

4.2. Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto la mancata riproduzione dei pregressi atti processuali, nelle parti concernenti tale censura, non consente di verificare se la questione fosse già stata tempestivamente introdotta nel giudizio.

5.1. In conclusione il ricorso va rigettato, infondato il secondo motivo ed inammissibili gli altri; le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

– rigetta il ricorso, infondato il secondo motivo ed inammissibili altri;

– condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 2.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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