Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7284 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 07/03/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 07/03/2022), n.7284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.A., L.R.P., L.M. e

L.L., rappresentati e difesi, giusta procura speciale

stesa a margine del ricorso, Gennaro Arguella, dall’Avv. Giovanni

Esposito, che ha indicato recapito PEC, senza elezione di domicilio

fisico;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

le sentenze nn. 648, 649, 650 e 651, pronunciate dalla Commissione

Tributaria Regionale di Potenza il 28.10.2013/30.6.2014, e

pubblicate il 3.12.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

la Corte osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel corso di accertamenti fiscali condotti nei confronti della Borghi e Masserie Spa, emergeva il coinvolgimento dei fratelli L.A., R.P., M. e L.. Conseguita la prevista autorizzazione, i verificatori effettuavano indagini sulle movimentazioni bancarie effettuate dai quattro fratelli, eliminando sia i movimenti di importo inferiore “ad Euro 2.000,00, sia le movimentazioni collegate con la società predetta” (controric., p. 2). Era pertanto istituito il contraddittorio preventivo con i contribuenti, che non risultavano in grado di giustificare le movimentazioni bancarie riscontrate. In conseguenza erano notificati agli odierni ricorrenti i separati avvisi di accertamento di cui in atti: per gli anni dal 2002 al 2006 a L.A. e L.R.P., per gli anni dal 2003 al 2006 a L.M., e per gli anni dal 2004 al 2006 a L.L..

2. I quattro contribuenti proponevano separate impugnazioni avverso gli avvisi di accertamento, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Potenza contestando tra l’altro, per quanto ancora d’interesse, la violazione della disciplina dell’accertamento sintetico (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38), ed il vizio di motivazione dell’atto impositivo. La CTP rigettava tutti i ricorsi.

3. I contribuenti spiegavano separati appelli avverso le decisioni sfavorevoli conseguite dalla CTP, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, rinnovando le proprie contestazioni ed invocando anche l’applicazione del principio di non contestazione. La CTR rigettava i ricorsi, e confermava la piena validità ed efficacia degli atti impositivi.

4. Le decisioni adottate dalla CTR sono state impugnate per cassazione dai fratelli L.A., R.P., M. e L., con unico atto relativo a tutti gli avvisi di accertamento di cui in premessa, affidandosi i ricorrenti a quattro strumenti di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, i contribuenti contestano la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, e art. 38, commi 4 e 5, nonché il vizio di motivazione, per avere il giudice dell’appello omesso di pronunciare sulla domanda relativa all’esatto ambito applicativo delle norme, finendo per affermare che la riscoperta di movimentazioni bancarie non giustificate sia di per sé sufficiente a fondare l’accertamento di un maggior reddito imponibile. Le contestazioni in proposito sono riprese, aggiungendosi la critica della nullità della sentenza, invocando il “jus superveniens in relazione alla sentenza del 06.10.2014 n. 228 della Corte costituzionale che ha sancito la parziale illegittimità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 … nella parte in cui prevede che i prelevamenti non giustificati si considerano “compensi” non dichiarati” (ric., p. 27).

2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza e la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art. 132 c.p.c., e dell’art. 111 Cost., nonché il vizio di motivazione, per non avere la CTR espresso una valutazione propria circa i fatti di causa, limitandosi nella motivazione della sentenza ad “un acritico rinvio alle controdeduzioni dell’Ufficio” (ric., p. 17), proponendo in tal modo una motivazione “apparente e perciò comunque nulla” (ric., p. 20).

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, i contribuenti censurano la nullità della sentenza e la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 54 nonché il vizio di motivazione, “come ius superveniens in relazione alla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale che ha sancito l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, conv. in L. n. 44 del 2012” (ric., p. 21), per avere il giudice dell’appello ritenuto legittima la costituzione nel secondo grado del giudizio dell’Agenzia delle Entrate, sebbene proposta mediante atto sottoscritto da soggetto non legittimato.

4. Mediante il quarto strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti criticano la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR e la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, per avere il giudice dell’appello ritenuto sufficiente la mera indicazione dell’esistenza dell’atto di autorizzazione delle indagini bancarie, prescindendo dalla sua produzione.

5. Mediante il primo motivo di impugnazione i ricorrenti propongono plurime censure, sintetizzate in premessa, e volte ad affermare che il giudice dell’appello non ha pronunciato in materia di ricorrenza delle condizioni per procedere nel caso di specie all’accertamento di un maggior reddito sul fondamento di indagini bancarie.

La CTR, invero, nella parte motivazionale, ricorda innanzi tutto che gli accertamenti nei confronti di ognuno dei quattro contribuenti erano risultati conseguenza del suo coinvolgimento nelle vicende della società Borghi e Masserie Spa, proprio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. Svolti gli accertamenti bancari in relazione a ciascun contribuente erano emersi tanto versamenti quanto prelevamenti per decine di migliaia di Euro, che non erano stati giustificati. Ben potevano queste risultanze, pertanto, essere poste a fondamento dell’accertamento sintetico del reddito degli odierni ricorrenti, i quali non risultano essere imprenditori, per quanto attiene ai versamenti non giustificati, come ritenuto anche da pronuncia della Suprema Corte che la CTR provvedeva a richiamare (Cass. n. 14041/2011). I giudici dell’appello evidenziavano pure che “sulla natura giuridica degli accertamenti fondati sulla presunzione derivante dall’esame dei conti bancari, la giurisprudenza ritiene che dagli stessi sorga una presunzione cosiddetta legale, poiché è del D.P.R. n. 600 del 1973, il citato art. 32, n. 2), ad attribuire rilevanza all’esame dei conti cui non sia data giustificazione in contraddittorio da parte dell’interessato” (sent. CTR, p. 2). Appare quindi opportuno ricordare come, nel caso di specie, risulti incontestato che il contraddittorio sia stato regolarmente istituito dall’Amministrazione finanziaria con ciascuno degli odierni ricorrenti.

La motivazione della decisione assunta dalla CTR risulta quindi agevolmente comprensibile, e dà conto espressamente di quale ritiene essere la normativa applicabile, inclusa quella richiamata dai ricorrenti.

5.1. La valutazione espressa dalla CTR non incorre nei vizi lamentati dai ricorrenti, ed appare anche conforme all’orientamento espresso da questa Corte di legittimità, la quale ha chiarito che “in tema di accertamenti bancari, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze” Cass. sez. V, 30.6.2020, n. 13112. Nel caso di specie merita di essere ricordato come risulti incontestato che i contribuenti, in sede di contraddittorio tempestivamente istituito, non siano stati in grado di giustificare i versamenti individuati sui loro conti correnti, e contestati mediante gli avvisi di accertamento per cui è causa.

5.2. I contribuenti censurano anche la mancata valutazione del rilievo, nel caso di specie, della sentenza n. 228 del 2014 della Corte costituzionale, con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), nella (sola) parte in cui disponeva la presunzione che i prelevamenti bancari, effettuati da chi non sia imprenditore, possano essere qualificati come un investimento ed assoggettati a tributo in conseguenza. Secondo i contribuenti “nel caso di specie i prelevamenti bancari effettuati sui propri conti da parte dei ricorrenti, in assenza di qualsivoglia reddito d’impresa, sono stati al contrario considerati dall’Agenzia delle Entrate DP di Potenza ai fini del computo del reddito sintetico da imputare ai singoli contribuenti” (ric., p. 27). Occorre naturalmente assicurare applicazione alla decisione assunta dalla Consulta, come ripetutamente ribadito da questa Corte, ma nel caso di specie deve osservarsi come la CTR dia atto che i “versamenti hanno indotto l’Ufficio alla rilevazione dell’incremento patrimoniale e al conseguente accertamento sintetico del reddito” (sent. CTR, p. 2). Pertanto la decisione del giudice dell’appello impugnata in questa sede è fondata sulla corretta imposizione, nei confronti dei ricorrenti, dei versamenti da loro operati sui propri conti correnti, e non dei prelevamenti.

Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.

6. Con il secondo strumento di impugnazione i contribuenti criticano la nullità della sentenza, la violazione di legge ed il vizio di motivazione della pronuncia del giudice dell’appello, perché “la motivazione della sentenza impugnata risulta alquanto vaga, generica, priva di precisi riferimenti sia ai fatti rilevanti della causa e sia alle ragioni di diritto… la parte motiva della decisione impugnata è rappresentata da frasi apodittiche di puro stile, senza alcun preciso riferimento agli elementi di merito e di diritto caratterizzanti la causa incardinata… in realtà le sentenze di cui è la presente impugnazione costituiscono un acritico rinvio alle controdeduzioni dell’Ufficio…” (ric., p. 17).

6.1. Occorre premettere che il motivo di ricorso appare impropriamente formulato. Contesta infatti i vizi di nullità della decisione, di violazione di legge e di vizio di motivazione, senza esplicitare ciascuna delle censure proposte a quale vizio siano riconducibili, oppure chiarire le ragioni, ammesso che sia possibile, per le quali tutte le medesime censure debbano ritenersi giustificate in ordine a tutti e tre gli indicati parametri di legge. In proposito questa Corte di legittimità ha condivisibilmente statuito che “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo… Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse”, Cass. sez. I, 23.10.2018, n. 26874.

6.2. Tanto premesso, la CTR della Basilicata, invero, nelle diverse decisioni impugnate con unico atto in questa sede, anche se occorrerà ripetere pure contenuti già esposti esaminando il primo motivo di ricorso, dopo aver dettagliatamente indicato gli atti impositivi notificati a ciascuno dei quattro contribuenti, ha proceduto alla ricostruzione delle vicende del giudizio, ricordando che l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto di procedere nelle forme dell’accertamento sintetico, stante la verificata discordanza tra la capacità reddituale dichiarata e la disponibilità reddituale effettiva dei contribuenti, come desumibile dagli accertamenti bancari eseguiti nei loro confronti. Quindi nella parte motivazionale, come anticipato, ha ricordato che gli accertamenti nei confronti di ognuno dei quattro contribuenti erano risultati conseguenza del suo coinvolgimento nelle vicende della società Borghi e Masserie Spa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. A seguito delle indagini bancarie erano emersi tanto versamenti quanto prelevamenti per decine di migliaia di Euro, che non erano stati giustificati, ed i versamenti ingiustificati ben potevano essere posti a fondamento dell’accertamento sintetico del reddito, come ritenuto anche da pronuncia della Suprema Corte che la CTR provvedeva a richiamare (Cass. n. 14041/2011).

6.2.1. Non mancavano, i giudici dell’appello, di ulteriormente specificare che “sulla natura giuridica degli accertamenti fondati sulla presunzione derivante dall’esame dei conti bancari, la giurisprudenza ritiene che dagli stessi sorga una presunzione cosiddetta legale, poiché è del D.P.R. n. 600 del 1973, il citato art. 32, n. 2), ad attribuire rilevanza all’esame dei conti cui non sia data giustificazione in contraddittorio da parte dell’interessato” (sent. CTR, p. 2). Appare quindi opportuno ribadire ancora che, nel caso di specie, risulta incontestato che il contraddittorio sia stato regolarmente istituito dall’Amministrazione finanziaria con ciascuno degli odierni ricorrenti. La CTR conclude quindi la propria valutazione osservando che “nel caso di specie è legittimo l’accertamento sintetico operato dall’Ufficio in presenza di discordanza tra la capacità reddituale dichiarata e la disponibilità reddituale effettiva” (ibidem). La motivazione della decisione assunta dalla CTR risulta quindi chiaramente intellegibile, e non omette di dar conto espressamente di quella che, correttamente, ritiene essere la normativa applicabile, invero richiamata dagli stessi ricorrenti. Tanto premesso, nessuna norma inibisce al giudice, come è ovvio, di condividere l’esame degli istituti giuridici rilevanti nel processo compiuta da una delle parti, in questo caso dall’Ente impositore. Pertanto, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, la CTR non si è affatto limitata a “rinviare” alle controdeduzioni dell’Ufficio, ma ha proposto una propria ed esauriente disamina delle questioni oggetto di causa.

Nella parte in cui non risultano inammissibili, in conseguenza, le critiche proposte dai contribuenti sono comunque infondate, ed il secondo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.

7. Mediante il terzo mezzo di impugnazione i contribuenti criticano la nullità della costituzione dell’Agenzia delle Entrate nel secondo grado del giudizio, perché sottoscritta da soggetto non legittimato in conseguenza della sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale. Con la pronuncia invocata la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3,51 e 97 Cost., il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, art. 1, comma 1, in quanto consentiva alle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, di coprire provvisoriamente posizioni dirigenziali, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, attraverso l’affidamento di incarichi dirigenziali a tempo determinato a funzionari privi della relativa qualifica, protraendo un’assegnazione, asseritamente temporanea, di mansioni superiori in maniera indefinita nel tempo, in conseguenza delle reiterate proroghe del termine previsto per l’espletamento del concorso per dirigenti. La disposizione impugnata violava infatti, ha statuito la Corte costituzionale, la regola del pubblico concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni.

7.1. La pronuncia della Consulta non presenta interferenza con l’oggetto del presente giudizio.

Appare innanzitutto opportuno ricordare come, anche di recente, questa Corte abbia avuto occasione di ribadire che “nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66 sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore, senza necessità di una speciale procura, salvo che ne sia eccepita e provata la non appartenenza all’ufficio ovvero l’usurpazione del potere”, Cass. sez. V, 25.1.2019, n. 2138. Appare quindi il caso di rilevare che, nel presente giudizio, i ricorrenti non hanno neppure contestato la non appartenenza all’Ufficio del firmatario dell’atto.

Peraltro, nel caso di specie la controricorrente Agenzia delle Entrate ha fatto rilevare, e documentato, che il firmatario dell’atto di costituzione nel secondo grado del giudizio, il Dott. T.V., non era un dirigente incaricato, bensì il Direttore di pieno titolo dell’Agenzia delle Entrate di Potenza, Ufficio dirigenziale di seconda fascia (controric., p. 11).

Il terzo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.

8. Mediante il quarto motivo di ricorso i contribuenti contestano ancora la nullità della sentenza, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, per avere la CTR ritenuto sufficiente la menzione dell’avvenuto rilascio dell’autorizzazione alle indagini bancarie nei loro confronti, mentre ne risultava necessaria la produzione, anche perché l’atto deve essere motivato. A quanto è dato comprendere, i contribuenti riferiscono la violazione all’Amministrazione finanziaria che, nell’avviso di accertamento, ha operato riferimento al conseguimento dell’autorizzazione alle indagini bancarie, ma non ha allegato l’atto di delega.

In proposito questa Corte di legittimità ha avuto occasione di ribadire, proponendo un orientamento condivisibile ed al quale si intende pertanto assicurare continuità, che “in tema di accertamento dell’Iva, l’autorizzazione prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, (nel testo applicabile “ratione temporis”), ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicché la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente”, Cass. sez. VI-V, 10.2.2017, n. 3628. Nel caso di specie i ricorrenti non hanno neppure allegato di aver subito alcun concreto pregiudizio.

8.1. In questo processo, peraltro, la CTR ha avuto cura di dare atto che “l’ufficio ha allegato al fascicolo di primo grado l’autorizzazione della Direzione Regionale della Basilicata dell’Agenzia delle Entrate a richiedere alle Banche, alla società Poste Italiane Spa e ad altri organismi dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto…” (sent. CTR, p. 2).

Anche il quarto motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere rigettato.

9. In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

9.1. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione del valore della causa e della natura delle questioni esaminate. Risulta dovuta la corresponsione, da parte dei contribuenti, anche del c.d. doppio contributo.

La Corte:

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto da L.A., L.R.P., L.M. e L.L., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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