Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7283 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 16/03/2021), n.7283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16395/2018 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

G.P.D.C.A., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ARNOBIO, 11, presso lo studio dell’avvocato LUCA ZONETTI,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

T.G., TE.DI., TE.ST., BHW BAUSPARKASSE AG

SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7376/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 737672017, pubblicata il 23.11.2017, C.I. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 21 maggio 2018, affidato ad un unico motivo illustrato da successiva memoria. Ha resistito il notaio G.P.A. notificando controricorso il 3.7.2018, illustrato da successiva memoria. Con ordinanza interlocutoria n. 11305/2020, nella Camera di consiglio del 17/1/2020, il Collegio ha rinviato la causa a nuovo ruolo affinchè fosse fissata la discussione in pubblica udienza ritenendo la questione di diritto di particolare rilevanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

2. La vicenda qui in esame riguarda un atto di compravendita immobiliare, stipulato in data 20/6/2003 con atto notarile del notaio P.A., tra Pe.Gi. e C.I., nelle more del giudizio di appello avviato dagli eredi di T.L. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda del Pe. volta a far accertare l’acquisto dell’immobile per usucapione. Dalla vicenda sono nati due paralleli giudizi, in seguito riuniti: l’uno, instaurato dagli eredi di T.L. per chiedere l’inefficacia nei loro confronti dell’atto dispositivo; l’altro, instaurato dalla C. per chiedere l’inefficacia nei suoi confronti della sentenza della Corte di appello e, in subordine, la condanna del venditore Pe. e del Notaio al risarcimento del danno. In particolare quest’ultima ha chiesto di accertare la responsabilità professionale del notaio, oltre a quella del venditore suo dante causa, per non avere egli effettuato le opportune indagini sul titolo dell’immobile, acquistato per usucapione dal suo dante causa in forza di una sentenza di primo grado che, per quanto trascritta, era stata oggetto di impugnazione e, dunque, non portava l’attestazione di cancelleria circa il suo passaggio in giudicato; deduceva che, comunque, il notaio non aveva ottemperato al dovere di consiglio in ordine alla natura del titolo originario del suo dante causa. Il Tribunale di Roma, una volta dichiarata inefficace la vendita nei confronti degli eredi di T.L. ha accolto la domanda della C. nei confronti del Pe., condannandolo al risarcimento del danno, nella misura di Euro 159.000,00. Per converso, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti del notaio a titolo di responsabilità professionale.

3. Limitatamente al capo che riguarda la responsabilità del notaio, la C. ha interposto appello dinanzi alla Corte d’Appello di Roma che, con la pronuncia qui impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado sull’assunto che l’atto d’appello avverso la pronuncia di accertamento della usucapione non risultava trascritto e che, inoltre, il dovere di consiglio non possa estendersi sino a ricomprendere circostanze di fatto il cui accertamento rientri nella normale prudenza delle parti. In particolare, la Corte di merito ha rilevato che:

i) il notaio aveva dato atto (art. 2 del contratto di compravendita) del fatto che il Pe. (parte venditrice) aveva acquistato il proprio diritto per usucapione in forza di una sentenza del Tribunale di Roma;

ii) la sentenza de qua era stata regolarmente trascritta presso la conservatoria dei R.R.II. di Roma circa due anni prima dell’intervenuta vendita;

iii) il professionista non era tenuto ad informare la C. (parte acquirente) della possibile precarietà di detto titolo di acquisto o a svolgere ulteriori ricerche in proposito, costituendo fatto notorio, alla portata di una persona di media diligenza, che una sentenza di primo grado possa non avere acquistato efficacia definitiva.

4. Nella valutazione la Corte di merito ha dato anche rilievo al fatto che la pendenza del giudizio di appello non fosse stata trascritta e che l’acquirente non avesse dimostrato la sussistenza di un nesso causale tra l’evento (mancata informazione) ed il dedotto danno, dando prova che – se resa edotta del rischio – si sarebbe astenuta dall’acquisto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo di ricorso si deduce la “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)” per non avere la Corte d’Appello valutato correttamente la diligenza richiesta al notaio nell’espletamento dell’incarico professionale conferitogli. La ricorrente deduce che la Corte d’Appello, pur avendo dato atto del cd. dovere di consiglio gravante sul notaio, avrebbe erroneamente affermato che l’acquirente fosse in possesso delle competenze tecniche necessarie per percepire il carattere definitivo o meno della sentenza attestante l’acquisto a titolo originario, per usucapione, del bene oggetto di compravendita, come tale, non rientrante nelle nozioni note a chiunque, ma nelle specifiche conoscenze del professionista. Ciò deduce non solo in ragione dell’art. 1176 c.c., comma 2, ma anche con riguardo agli artt. 42 e 50 del codice deontologico notarile che impongono al professionista di informare le parti sulle possibili conseguenze della prestazione richiesta e di qualificare correttamente la fattispecie. Argomenta, inoltre, che dalle stesse visure effettuate dal notaio sull’immobile, la sentenza dichiarativa del diritto di usucapione maturato dal sig. Pe. non risultava passata in giudicato, difettando della relativa formula, talchè il notaio – anche in assenza della trascrizione dell’atto di appello – avrebbe dovuto verificare presso i registri di cancelleria se la sentenza di primo grado relativa all’acquisto per usucapione dell’immobile fosse passata in giudicato o, in alternativa, avrebbe dovuto pretendere dal venditore Pe. l’esibizione dell’attestato circa il passaggio in giudicato della sentenza, mentre nessun accertamento in tal senso risultava essere stato fatto dal notaio, nè sollecitato alle parti. Il notaio quindi – per espletare diligentemente il proprio mandato – avrebbe dovuto accertare e segnalare all’acquirente la precarietà del titolo di acquisto del venditore, indicando alla C. che l’accertamento contenuto nella sentenza del Tribunale non aveva carattere definitivo.

1.1. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che il dovere di consiglio del notaio ha ad oggetto esclusivamente questioni tecniche, ovverosia problematiche che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire; diversamente, esso non può essere esteso fino a comprendere anche il controllo di circostanze di fatto il cui accertamento rientra nella normale prudenza (citando, in proposito, Cass. n. 7707/07 e n. 25270/09), in esso compresi anche i rischi economici del contratto medesimo, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento delle parti (citando in proposito, Cass. n. 11665/15). Tanto premesso, con riferimento al caso di specie, la Corte di merito ha osservato che il notaio aveva informato la C. della provenienza del bene, come si evince dall’art. 2 del contratto di compravendita e che, dunque, la stessa era consapevole del fatto che il venditore aveva ottenuto la proprietà del bene in forza di sentenza dichiarativa del suo diritto di usucapione. Di conseguenza, ha ritenuto inverosimile che, in presenza di tale informazione, il notaio P. non si fosse preoccupato di fornire delucidazioni o che la stessa C. non avesse chiesto ulteriori informazioni in merito. Per tali ragioni, al notaio non poteva essere ascritta alcuna responsabilità, in considerazione del fatto che nell’atto di compravendita era indicata la provenienza del titolo del venditore da una sentenza di primo grado che, come noto, ben può essere oggetto di riforma e la cui definitività costituiva un accertamento non gravante sul professionista, anche in considerazione del fatto che la pendenza del giudizio di appello non era stata oggetto di trascrizione. Infine, il giudice di merito ha rilevato che non era stato allegato, nè provato dalla parte appellante il nesso causale tra la mancata informazione e il danno, non avendo la stessa dimostrato che se essa fosse stata in concreto edotta non si sarebbe determinata all’acquisto del bene (pp. 7-9 della sentenza impugnata).

1.2. Il motivo è fondato. Anzitutto, occorre sottolineare la validità dell’indirizzo giurisprudenziale, richiamato dalla Corte di merito, secondo cui il notaio incaricato dalla redazione e autenticazione di un contratto per la compravendita di un immobile non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti e a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo che egli si interessi dell’attività, preparatoria e successiva, necessaria ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse, rientrando tra i suoi doveri anche quello di consiglio ovvero di dissuasione consistente nell’avvertire le parti degli effetti dell’esistenza di una trascrizione o iscrizione pregiudizievole sul bene oggetto di trasferimento (cfr. Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 11296 del 12/06/2020; Sez. 3 -, Ordinanza n. 20297 del 26/7/2019; Sez. 3 -, Sentenza n. 12482 del 18/5/2017).

1.3. Quanto agli obblighi gravanti sul notaio deve farsi riferimento, inoltre, al precedente segnalato da ultimo da questa Corte (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 8497 del 6/5/2020), là dove ha statuito che “il notaio è tenuto ad adempiere con la diligenza qualificata ex art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c. (cfr. Cass., 29/8/2019, n. 21775) ed è tenuto al dovere di consiglio (cfr. Cass., 18/5/2017, n. 12482). Tale obbligo trova invero fondamento, non già nella diligenza professionale qualificata (in tal senso v. invero Cass., 14/2/2017, n. 3768), bensì nella clausola generale (nell’applicazione pratica e in dottrina indicata anche come “principio” o come “criterio”) di buona fede oggettiva o correttezza ex artt. 1175 c.c. (cfr. Cass., 20/8/2015, n. 16990; Cass., 2/30/2012, n. 16754; Cass., 11/5/2009, n. 10741). Come osservato anche in dottrina, oltre che regola di comportamento (artt. 1337,1358,1375 e 1460 c.c.) (quale dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost. (v. Cass., 10/11/2010, n. 22819; Cass., 22/1/2009, n. 1618; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, 28056), che trova applicazione a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità: v. Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651. V. altresì Cass., 24/9/1999, n. 10511; Cass., 20/4/1994, n. 3775), e regola di interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.) (v. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882; Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628), la buona fede oggettiva o correttezza è infatti anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte – altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. (in ordine alla quale v. la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991) che da quella cogente ex art. 1339 c.c. (in relazione alla quale cfr. Cass., 10/7/2008, n. 18868; Cass., 26/1/2006, n. 1689; Cass., 22/5/2001, n. 6956. V. altresì Cass., 9/11/1998, n. 11264) – di integrazione del comportamento dovuto (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (v. Cass., 30/3/2005, n. 6735; Cass., 9/2/2004, n. 2422), come ad esempio in caso di specifica tutela giuridica, contrattuale o extracontrattuale, non potendo considerarsi implicare financo l’intrapresa di un’azione giudiziaria (v. Cass., 21/8/2004, n. 16530), anche a prescindere dal rischio della soccombenza (v. Cass., 15/1/1970, n. 81)). L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860). L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è infatti da valutarsi alla stregua della causa concreta dell’incarico conferito al professionista dal committente, e in particolare al notaio (cfr. Cass., Sez. Un., 31/7/2012, n. 13617. V. anche Cass., 28/1/2003, n. 1228; Cass., 13/6/2002, n. 8470. Per il riferimento alla serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi e alla sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell’atto medesimo cfr. altresì Cass., 28/11/2007, n. 24733, e, conformemente, Cass., 5/12/2011, n. 26020), e cioè con lo scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, o, in altre parole, con l’interesse che l’operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare (cfr. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., 7/10/2008, n. 24769; Cass., 24/4/2008, n. 10651; Cass., 20/12/2007, n. 26958; Cass., 11/6/2007, n. 13580; Cass., 22/8/2007, n. 17844; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 27/7/2006, n. 17145; Cass., 8/5/2006, n. 10490; Cass., 14/11/2005, n. 22932; Cass., 26/10/2005, n. 20816; Cass., 21/10/2005, n. 20398; v. altresì Cass., 7/5/1998, n. 4612; Cass., 16/10/1995, n. 10805; Cass., 6/8/1997, n. 7266; Cass., 3/6/1993, n. 3800. Da ultimo v. Cass., 25/2/2009, n. 4501; Cass., 12/11/2009, n. 23941; Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947; Cass., 18/3/2010, n. 6538; Cass., 9/3/2011, n. 5583; Cass., 23/5/2011, n. 11295, nonchè la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991). L’obbligo di effettuare le visure ipocatastali incombe allora senz’altro sul notaio officiato della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare anche in caso di utilizzazione della forma della scrittura privata autenticata (v. Cass., 20/8/2015, n. 16990; Cass., 1/12/2009, n. 25270; Cass., 31/5/2006, n. 13015; Cass., 16/3/2006, n. 5868)” (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 8497 del 6/5/2020, pp. 5-7).

1.4. Peraltro, in linea con quanto sopra, si è anche affermato che il principio di diritto sopra richiamato non possa spingersi, pena la violazione del reciproco dovere della buona fede gravante sui contraenti, sino a richiedere al notaio il dovere di rappresentare agli stipulanti circostanze non esistenti all’epoca del rogito e relative a fatti, atti, ovvero ad azioni giudiziarie ancora non proposte (quali l’impugnazione del testamento esperita dopo l’azione di petizione ereditaria), e comunque non prevedibili al momento della stipula. Deve difatti ritenersi estraneo all’obbligo di diligenza relativo all’attività esercitata dal notaio quello di fornire informazioni o consigli non basati sullo stato degli atti a disposizione del professionista e sulle circostanze di fatto specificamente esistenti, note o comunque prevedibili, dovendosi valutare la diligenza del notaio ex ante e non ex post, e dunque giammai sulla base di circostanze future e meramente ipotetiche (cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 20297 del 26/07/2019, che ha ritenuto come circostanza futura, non prevedibile, ad esempio, la proposizione di una querela di falso avverso il testamento olografo nell’ambito di un giudizio di petizione ereditaria avanzata da un erede non legittimario, caratterizzata dalla chiara indicazione nel rogito, da parte del notaio, dell’esistenza di una trascrizione pregiudizievole sugli immobili in argomento).

1.5. Pertanto, l’estensione del suddetto principio di diritto non vale fino al punto da ricomprendere tra gli obblighi di informativa e di consulenza, cui è tenuto il notaio al momento del rogito, tutti gli ipotetici ed eventuali scenari di rischio correlati a una trascrizione o iscrizione pregiudizievole, quantunque essi non siano ad essa direttamente collegati, proprio per la posizione di equidistanza dagli interessi delle parti contraenti che si richiede al notaio a tutela di un corretto e imparziale presidio del traffico di negozi giuridici (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 20297 del 26/07/2019, conformemente a Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 12482 del 18/5/2017; Sez. 3, Sentenza n. 15726 del 2/7/2010; Sez. 3, Sentenza n. 24733 del 28/11/2007).

1.6. Tanto premesso, in merito alla fattispecie concreta per cui è causa, per il notaio si è trattato, invero, non tanto di prefigurare alle parti possibili scenari futuri circa l’evoluzione del titolo di acquisto, ma di svolgere un accertamento, di natura tecnica ed essenzialmente giuridica, riguardante la stabilità o meno nel tempo del titolo giudiziale trascritto (non avente all’epoca efficacia di giudicato) e, di conseguenza, di informare le parti in ordine ad ogni aspetto che potesse incidere sull’efficacia dell’atto e sul risultato divisato dalle parti.

1.7. Orbene, l’obbligo di informazione e consiglio costituisce, per giurisprudenza di legittimità costante (sopra citata), il contenuto essenziale della prestazione professionale del notaio in considerazione del grado di diligenza qualificata richiesta dell’art. 1176 c.c., comma 2. Difatti, l’informazione circa la definitività o meno del titolo di acquisto portato in una sentenza di primo grado, nel caso specifico dichiarativa dell’intervenuta usucapione di un immobile, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte romana, non è affatto una nozione alla portata di tutti, ma presuppone conoscenze tecniche e annotazioni specifiche sul titolo giudiziario, non potendo l’uomo medio prefigurarsi il “rischio giuridico” connesso all’acquisto di un immobile usucapito con sentenza non passata in giudicato. Tra gli obblighi del notaio è quindi certamente incluso quello di acquisire informazioni, presso la conservatoria dei registri immobiliari, circa il carattere definitivo o meno del titolo giudiziale ivi trascritto poichè, anche in assenza di pubblicità immobiliare dell’atto di appello, nel caso specifico non trascritto, il professionista può e deve verificare se la sentenza di primo grado sia passata in giudicato, in ragione del fatto che copia della sentenza viene depositata presso l’ufficio dei registri immobiliari ai sensi degli artt. 2657 e 2658 c.c. e chiunque ha diritto di prenderne visione ai sensi dell’art. 2673 c.c..

1.8. In particolare, il notaio era tenuto a verificare il grado di stabilità della sentenza di primo grado o, quantomeno, a dare prova dell’informativa offerta alle parti circa il significato da darsi alla assenza di una trascrizione dell’atto di appello a fronte della trascrizione di una sentenza di primo grado priva dell’attestazione di cancelleria circa il suo passaggio in giudicato, non potendosi – tout court – ritenere verosimile che il professionista avesse adempiuto a tale obbligo, essendo questa una circostanza da provare quanto all’informativa rilasciata alle parti.

1.9. Nel caso di specie, poi, non assume rilievo la statuizione della Corte di merito in ordine alla mancata prova del nesso causale tra fatto addebitabile al notaio e danno conseguente, là dove la Corte di merito ha riferito che la appellante non ha dimostrato che, se resa edotta del rischio, non avrebbe stipulato l’atto, e che comunque l’atto di appello non risultava essere stato trascritto. Nel contesto del motivo, infatti, è arguibile una censura anche con riguardo alla affermazione di una mancata dimostrazione del collegamento causale tra l’evizione subita che costituisce un danno per l’acquirente, al risarcimento del quale tra l’altro è stato condannato il venditore, e l’inadempimento del notaio. Inoltre, come correttamente rilevato dal P.M., non è prevista alcuna formale trascrizione delle impugnazioni, ma solo della citazione relativa al giudizio di primo grado, per modo che gli effetti della trascrizione della domanda rimangono fermi anche nel caso in cui la domanda sia stata rigettata in primo grado ed accolta solo in appello, senza necessità di trascrizione anche dell’atto di impugnazione (Cass. Sez. 2, 4352/2000): nozione tecnica che avrebbe dovuto mettere in ulteriore allerta il notaio preposto a garantire certezza e stabilità nei passaggi di proprietà, anche in funzione anti-contenziosa.

2. Per le suesposte ragioni, il ricorso merita accoglimento con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso; per l’effetto, cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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