Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7282 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 30/03/2011), n.7282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLE COMUNICAZIONI, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

P.S., B.E., V.G., B.

M., P.R., G.P., B.E.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA N. 32, presso

lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CARAPELLE ROBERTO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 491/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/05/2007 r.g.n. 648/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato MENGHINI MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Ministero delle Comunicazioni chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Torino, pubblicata il 9 maggio 2007, che, riformando la decisione di primo grado, ha accolto il ricorso di alcuni dipendenti del Ministero, condannandolo a ripristinare l’assegno ad personam previsto dalla L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, dalla data in cui per ciascun appellante la corresponsione era stata interrotta.

Il Ministero propone tre motivi di ricorso. I lavoratori si difendono con controricorso.

Con il primo motivo il Ministero assume che sarebbero state violate le norme che disciplinano l’assegno e pone il seguente quesito:

“chiarisca la Corte se incorra nel vizio di violazione di legge la sentenza che abbia accolto l’impugnazione sul presupposto che gia’ nel 1994 si sarebbe verificato il passaggio di carriera di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 51 considerato dalla legge come presupposto per l’assegnazione dell’assegno de quo, a nulla rilevando che tre anni dopo il Ministero abbia proceduto al definitivo inquadramento in ruolo dei dipendenti”.

Con il secondo motivo si denunzia “un vizio di motivazione contraddittoria circa un punto decisivo della controversia”: la sentenza sarebbe erronea dove assume che l’assegno sia stato originariamente concesso in applicazione del comma 57 cit. ritenendo tale dato ammesso nelle proprie difese dal patrocinio erariale, nonche’ incontestato dall’amministrazione.

Con il terzo motivo si denunzia omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, costituito dall’individuazione dell’esatto momento di inquadramento in ruolo degli ex dipendenti dell’AAPPTT nell’amministrazione dello Stato.

I tre motivi, strettamente connessi, devono essere valutati unitariamente.

E’ opportuno premettere una breve ricostruzione della normativa.

L’assegno personale venne introdotto dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, il cui art. 202 recita; “nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica e’ attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio gia’ goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica. La disciplina venne, in parte, modificata dal D.P.R. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 57 che sancisce:

“nei casi di passaggio di carriera di cui all’art. 202 del citato testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione e’ attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione”. La normativa che trasformo’ l’amministrazione delle Poste e telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzo’ il Ministero (D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito con modificazioni nella L. 29 gennaio 1994, n. 71), si occupo’ del personale prevedendo, all’art. 6, comma 2 quanto segue: “Il personale dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni resta alle dipendenze dell’ente, con rapporto di diritto privato, ad eccezione del seguente personale, che viene assegnato al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni in attesa dell’inquadramento nei ruoli organici dello stesso secondo la disciplina del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, sulla base di un quadro di equiparazione da approvare con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative”.

I lavoratori del presente giudizio rientrano in tale ambito: sono passati dalle Poste al Ministero. Come si evince dalla norma su riportata, il Ministero li ha ricevuti e ha provveduto poi all’inquadramento nei ruoli organici dopo l’approvazione di un piano di equiparazione delle qualifiche.

Tra i due momenti e’ intervenuto un certo lasso di tempo. La provvisoria assegnazione originaria determinava una perdita retributiva di L. 30.000 mensili. L’inquadramento nei ruoli organici, a seguito dell’approvazione del quadro di equiparazione, ha comportato invece un vantaggio economico per i lavoratori. Il Ministero ha corrisposto pertanto l’assegno ad personam di L. 30.000 mensili per la fase di assegnazione provvisoria, al fine di colmare la perdita economica subita dei lavoratori. Quando poi si e’ proceduto all’inserimento negli organici ministeriali sulla base del quadro di equiparazione delle qualifiche e lo svantaggio economico si e’ tramutato in un vantaggio, non lo ha piu’ corrisposto.

La normativa del 1993 ha reso l’assegno non riassorbibile, modificando la norma precedente che prevedeva il “riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione in carriera anche se semplicemente economica”. Dall’analisi di tale successione di norme si desume che il concetto di riassorbimento e’ legato al concetto di progressione in carriera. Nel caso in esame il miglioramento economico non e’ stato determinato da una progressione in carriera, ma solo dalla conclusione del processo di equiparazione delle qualifiche e di inquadramento in organico.

Il personale e’ stato assegnato al Ministero ed e’ stata avviata la procedura prevista dalla legge per l’approvazione del quadro di equiparazione, presupposto per l’inserimento nell’organico ministeriale. In tale fase la retribuzione risultava inferiore in misura di 30.000 a quella percepita dalle Poste. Approvato il quadro di equiparazione, si e’ proceduto all’inquadramento in organico con il riconoscimento delle qualifiche risultante dalla equiparazione.

A processo di equiparazione compiuto i lavoratori trasferiti si sono venuti a trovare in una posizione di vantaggio economico. Il Ministero correttamente non ha corrisposto piu’ l’assegno ad personam versato nel periodo di assegnazione provvisoria, perche’ l’incremento retributivo non e’ stato il frutto di una progressione di carriera, ma solo della conclusione del processo previsto dalla legge che ha permesso di inserire il dipendente nell’organico del Ministero, attribuendogli la giusta qualifica ed il conseguente trattamento retributivo.

Sul punto questa Corte si e’ gia’ espressa, in senso conforme, con la sentenza 19 novembre 2010, n. 23474 dalle cui conclusioni non vi e’ motivo per discostarsi. Il ricorso pertanto deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito e la domanda dei lavoratori deve essere rigettata.

Le oscillazioni interpretative, attestanti una indubbia problematicita’ della soluzione, impongono di compensare le spese del giudizio di appello e di cassazione, restando ferme quelle di primo grado.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda dei lavoratori. Compensa tra le parti le spese del giudizio d’appello e di legittimita’, restando ferme quelle di primo grado.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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