Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7282 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 07/03/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 07/03/2022), n.7282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.F.T. Sommatinese Srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa a

margine del ricorso, dall’Avv. Pietro Rabiolo del Foro di

Caltanissetta, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv. Gaetano Alessi, alla via

Monte Zebio n. 28/S in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 154, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia sez. stacc. di Caltanissetta il 16.9.2013, e

pubblicata l’11.11.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

la Corte osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate notificava il 20.9.2007 (controric., p. 2) alla B.F.T. Sommatinese Srl l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) (ric., p. 1), avente ad oggetto maggiori ricavi nella misura di Euro 83.527,00, cui conseguivano maggiori tributi Ires (Euro 27.564,00), Iva (Euro 3.642,00) ed Irap (Euro 3.341,00), in riferimento all’anno 2004, per un valore dichiarato pari ad Euro 78.464,35, incluse sanzioni ed accessori, in applicazione degli studi di settore.

2. L’atto impositivo era impugnato dalla contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta, la quale riteneva insufficiente la motivazione dell’accertamento, basato sugli studi di settore senza richiamo di elementi di riscontro, e pertanto accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento impugnato.

3. Avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, l’Agenzia delle Entrate spiegava appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Palermo, sezione staccata di Caltanissetta, la quale osservava che le risultanze dell’accertamento in contestazione “sono derivate dalle indicazioni espresse dalla contribuente medesima” (sent. CTR, p. III), e neppure risultava plausibile l’errore materiale di compilazione allegato dalla società, secondo cui sarebbe stato indicato l’importo di Euro 55.332,00 quali spese per servizi, mentre i valori inclusi avrebbero dovuto essere correttamente contabilizzati quali oneri diversi di gestione. In conseguenza accoglieva l’impugnazione proposta dall’Amministrazione finanziaria e riaffermava la piena validità ed efficacia dell’atto impositivo.

4. La pronuncia adottata dalla CTR è stata impugnata per cassazione dalla B.F.T. Sommatinese Srl, affidandosi a quattro motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società contesta la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis per avere la CTR fatto erronea applicazione della normativa che disciplina l’accertamento tributario effettuato mediante utilizzazione degli studi di settore.

2. Mediante il secondo mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente censura la violazione “del D.L. n. 331 del 1993″, dell’art. 62 sexies, comma 3, convertito dalla L. n. 427 del 1993, del D.P.R. n. 600 del 1973” (ric., p. 14 s.), dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR erroneamente ripartito l’onere della prova tra le parti.

3. Con il suo terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente lamenta la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, commi 1 e 3, nonché della L. n. 212 del 2000, art. 7 perché il giudice dell’appello non ha rilevato il pur contestato vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

4. Mediante il quarto strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la società critica la pronuncia adottata dalla CTR per essere incorsa nella “nullità della sentenza per omessa e insufficiente motivazione circa diversi fatti controversi e decisivi per il giudizio” (ric., p. 22).

5. Mediante il suo primo strumento di impugnazione la società sostiene che la sentenza oggetto di impugnazione “merita di essere cassata, con il consequenziale annullamento dell’Avviso di Accertamento che ne forma oggetto, perché il procedimento che ha condotto alla sua emissione si è rivelato illegittimo per violazione della normativa in materia degli studi di settore” (ric., p. 10). Con il secondo motivo di impugnazione, poi, la ricorrente afferma che la CTR sarebbe incorsa in errore circa la ripartizione dell’onere probatorio tra le parti. Entrambi i motivi di ricorso attengono alla corretta applicazione degli studi di settore nell’accertamento tributario, presentano ragioni di connessione e ne appare opportuna la trattazione unitaria.

In particolare, con il primo strumento di impugnazione, oltre ad anticipare critiche presenti anche in altri motivi di ricorso di cui si darà conto in relazione agli stessi, la ricorrente contesta che l’accertamento tributario basato sugli studi di settore può trovare fondamento su presunzioni semplici ma, nel caso di specie, queste non risultano integrate, non essendo stati raccolti dall’Ente impositore, a suo carico, indizi gravi, precisi e concordanti, di evasione fiscale. Alla contribuente non è stata contestata alcuna irregolarità nella tenuta della contabilità, risultata assolutamente ineccepibile, e non potrebbe ritenersi che il mero scostamento tra i risultati dichiarati e quelli invece calcolati mediante il sistema Gerico, che “non costituisce di per sé grave incongruenza” (ric., p. 13), risulti sufficiente ad integrare le presunzioni che devono necessariamente assistere l’accertamento tributario per volontà di legge. Del resto la società aveva offerto “copiose giustificazioni a supporto dello scarto” (ric., p. 14).

Con il secondo motivo di ricorso, inoltre, la ricorrente critica che l’accertamento effettuato dall’Ente impositore servendosi degli studi di settore non può fondarsi solo su questi, risultando indispensabile che l’Amministrazione finanziaria alleghi “ulteriori elementi indicativi della presunzione di una supposta evasione di imposta oltre alla sola, mera discordanza tra quanto dichiarato e quanto statisticamente accertato” (ric., p. 16).

5.1. La CTR ha osservato che “nella specie le risultanze dell’accertamento impugnato sono derivate dalle indicazioni espresse dalla contribuente medesima nel modello Unico/2005 ed in quello relativo alla comunicazione dei dati” (sent. CTR p. III).

In merito all’accertamento della ricorrenza delle presunzioni di legge, e pertanto pure dell’inversione dell’onere della prova tra le parti, in relazione all’accertamento tributario fondato sugli studi di settore, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di statuire che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri”, Cass. sez. V, 30.10.2018, n. 27617, e non ha mancato di chiarire, riassuntivamente, che “la determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa”, Cass. sez. V, 18.9.2019, n. 23252. Appare quindi opportuno evidenziare che, nel presente giudizio, è incontestato che il contraddittorio preventivo con la contribuente sia stato regolarmente istituito dall’Amministrazione finanziaria.

5.2. La motivazione adottata dalla CTR, secondo cui appare correttamente emesso un accertamento tributario basato su uno studio di settore che trova fondamento proprio nei dati indicati dal contribuente nella sua dichiarazione dei redditi, appare invero condivisibile e non merita censure. Rimane fermo che la parte avrebbe potuto fornire la prova contraria. Può darsi che a questa intenda fare riferimento la società quando afferma di aver offerto “copiose giustificazioni a supporto dello scarto”, ma la questione non è scrutinabile, perché la ricorrente neppure riporta in che cosa consistano queste copiose giustificazioni.

5.3. Peraltro la CTR si è anche espressa in ordine all’errore di dichiarazione in cui la contribuente ha affermato di essere incorsa, indicando il valore di Euro 55.332,00 quali spese per acquisizione di servizi, anziché quali oneri diversi di gestione, ritenendo non verosimile la verificazione dell’errore. Anche in questo caso la parte ben avrebbe potuto indicare in qual modo avesse dimostrato tempestivamente, nei gradi di merito, in che cosa siano consistiti tali oneri, e quale dovesse essere la corretta imputazione contabile degli stessi, ma non vi ha provveduto.

I primi due motivi di ricorso risultano pertanto infondati, e devono perciò essere rigettati.

6. Con il suo terzo motivo di ricorso la contribuente censura la violazione di legge, in cui sarebbe incorsa l’impugnata CTR, non avendo rilevato il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato. La contribuente lamenta che l’atto impositivo contestato risulta fondato esclusivamente sul “mero scostamento fra ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli strumenti statistici e dalla considerazione che il reddito imponibile dichiarato nel triennio fosse esiguo e nel fatto che il costo del lavoro fosse superiore all’utile d’impresa (circostanza, quest’ultima, comune a tantissime aziende ndr.) dovendo, invece, essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità, in concreto, dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dalla contribuente nella necessaria fase del contraddittorio” (ric., p. 19).

6.1. Invero, dalle stesse ricordate parole della contribuente emerge inequivocabilmente che la motivazione dell’atto impositivo non risulta fondata esclusivamente dallo scostamento tra i ricavi attesi, in applicazione degli studi di settore, e quelli dichiarati. Invero, questa Corte ha già avuto occasione di statuire che “in tema di accertamento mediante l’applicazione degli studi di settore, ove il contribuente, in sede di contraddittorio preventivo, contesti l’applicazione dei parametri allegando circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale dagli standards previsti, l’Ufficio, ove non ritenga attendibili le stesse, è tenuto a motivare adeguatamente l’atto impositivo sotto tale profilo”, Cass. sez. V, 31.5.2018, n. 13908. Nel caso di specie, si ribadisce, il contraddittorio preventivo è stato regolarmente instaurato con la contribuente, anche se quest’ultima osserva che “l’incontro tra le parti non si è rivelato particolarmente proficuo” (ric., p. 20).

Tanto premesso, quali siano le ragioni che la parte ha inteso far valere, in sede amministrativa e comunque nei gradi di merito del giudizio, per contrastare le presunzioni allegate dall’Ente impositore non è dato sapere, perché la società, in un giudizio di natura impugnatoria per eccellenza, qual è quello di legittimità, non le riporta, neppure in sintesi. Merita di essere segnalato, al proposito, che la società ha trascritto nella parte introduttiva del suo ricorso gran parte delle difese che ha inteso proporre nei gradi di merito, ma quand’anche volesse ritenersi che abbia inteso operare implicito riferimento a tali scritti, deve comunque osservarsi come questa Corte abbia già avuto modo di specificare che “in tema di ricorso per cassazione, non costituisce rituale adempimento dell’onere imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, violando, per converso, il principio di specificità ivi contemplato e comportando l’inammissibilità del ricorso stesso, la generica indicazione, da parte del ricorrente per cassazione, di intere pagine del proprio ricorso in appello, con richiesta alla Corte di legittimità di ricercare al loro interno se un motivo sia stato articolato e di individuare quale sia il suo esatto contenuto”, Cass. 18.6.2018, n. 15936.

Nella parte in cui non risulta inammissibile, pertanto, il terzo motivo di ricorso risulta comunque infondato, e deve essere rigettato.

7. Con il suo quarto strumento di impugnazione la contribuente lamenta la nullità della sentenza, e comunque il vizio di “omessa e insufficiente motivazione”, circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. Secondo la società, il giudice dell’appello avrebbe dovuto “spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto valido l’accertamento”, e comunque “avrebbe dovuto esaminare le ragioni espresse dalla Società contribuente”. La contribuente riporta, infine, i “fatti controversi decisivi per il giudizio” che non sarebbero stati esaminati dalla CTR, trascrivendo interamente diverse pagine delle proprie “controdeduzioni prodotte in data 20.9.2011” (ric., p. 23).

7.1. Occorre premettere che, in conseguenza della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più consentita la contestazione del vizio di “insufficiente motivazione”, ed in tal senso il motivo di ricorso risulta inammissibile.

7.2. La strumento d’impugnazione, peraltro, si rivela comunque mal formulato. Appare apodittico ed ingiustificato quando afferma che la CTR non avrebbe spiegato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere valido l’avviso di accertamento, contestandosi in sostanza un vizio di omessa motivazione, perché, come si è visto, il giudice dell’appello ha motivato con chiarezza, ed ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria abbia fatto corretta applicazione della normativa sugli accertamenti tributari fondati sugli studi di settore. La critica risulta poi non scrutinabile nella misura in cui lamenta l’omesso esame delle difese espresse dalla società contribuente, che però non provvede ad indicarle, almeno in sintesi, essendo suo onere anche dimostrare la congruità e la tempestiva proposizione delle questioni, nonché la loro diligente coltivazione, prima ancora di provvedere a provarne la decisività, come pure è suo onere.

In ordine ai “fatti controversi decisivi per il giudizio” che la CTR non avrebbe esaminato, anche a voler ritenere che possano in astratto integrare quei fatti storici di cui alla vigente formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può non osservarsi che la contribuente non provvede ad indicarli, mediante un momento di sintesi, e domanda a questa Corte di andarli a ricercare nel testo di un suo lungo scritto difensivo. In proposito non resta che operare richiamo a quanto osservato esaminando il terzo motivo di ricorso.

Anche il quarto motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato. In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

8. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura e complessità delle questioni trattate e del valore della controversia. Risulta dovuta anche la corresponsione, da parte della contribuente, del c.d. doppio contributo.

La Corte:

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto dalla B.F.T. Sommatinese Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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