Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7281 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 30/03/2011), n.7281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli ll.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AUTAMAROCCHI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GEI GIAMPAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MARITATO LELIO,

CALIULO LUIGI, SGROI ANTONINO, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 277/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/05/2009 R.G.N. 161/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA ARUTRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza di cui si chiede la cassazione – in sede di giudizio di rinvio da Cass. 8 agosto 2007, n. 17431 – dichiara inammissibili le domande proposte, nel ricorso in riassunzione, dalla societa’ AUTAMAROCCHI s.p.a. nei confronti dell’INPS. Secondo la Corte d’appello di Venezia, in primo luogo, la mancata impugnazione della sentenza del Tribunale di Trieste n. 119 del 2006 – che, in sede di opposizione della societa’ ricorrente alla cartella esattoriale emessa dall’INPS per inadempienze contributive, ha accolto solo in piccola parte l’opposizione stessa – ha determinato la non esaminabilita’ di quanto e’ oggetto di contrasto tra le parti in virtu’ del rinvio disposto da questa Corte di cassazione nella suindicata sentenza, senza che assuma alcun rilievo, in contrario, la circostanza che l’INPS, nel relativo giudizio di legittimita’, non abbia eccepito nulla in merito al gia’ avvenuto passaggio in giudicato della menzionata sentenza n. 119 del 2006 del Tribunale di Trieste.

In secondo luogo, la suddetta conclusione non sarebbe neppure contraddetta dal fatto che, nella motivazione della richiamata sentenza n. 119 del 2006, il Tribunale abbia specificato l’estraneita’ dall’ambito del giudizio di opposizione alla cartella della questione relativa alla sussistenza o meno del debito contributivo, che forma oggetto del giudizio di opposizione al verbale e all’ordinanza ingiunzione (che e’ quello nel corso del quale e’ stata emanata la sentenza rescindente di cui si tratta).

Cio’ in quanto nel dispositivo della stessa sentenza (che, nel rito del lavoro, prevale su quanto enunciato in motivazione) il Tribunale ha pronunciato la condanna della societa’ al pagamento del residuo debito accertato.

Infine, ad avviso della Corte d’appello, la domanda della societa’ risulterebbe infondata anche nel merito. Infatti, la sentenza rescindente, esaminando “in termini di puro diritto” la questione prospettata dalle parti, ha, fra l’altro, affermato il principio secondo cui: Lo sgravio previsto dalla L. 29 gennaio 1986, n. 26, art. 4, comma 2 in favore delle imprese operanti nelle province di Trieste e Gorizia “per le assunzioni derivanti da nuove iniziative (e) condizionato al mantenimento dell’incremento occupazionale per tutta la durata dell’agevolazione concessa”, compete nel caso di esercizio di nuove iniziative imprenditoriali per tutti i dipendenti, ancorche’ in passato dipendenti di aziende cessate. Tuttavia, ove la nuova attivita’ iniziata si sia concretata solo nella mera acquisizione di un’azienda gia’ esistente, non seguita dall’assunzione di unita’ ulteriori rispetto a quelle gia’ in forza presso l’azienda ceduta, lo sgravio non compete, non essendo configurabile l’incremento occupazionale richiesto unitamente alla novita’ dell’impresa.

Ora. con riferimento alla societa’ AUTAMAROCCHI, l’inesistenza dell’indicato presupposto per usufruire degli sgravi in argomento sarebbe, ad avviso della Corte d’appello, gia’ stata accertata dalla stessa Corte di cassazione nella sentenza 24 aprile 2001, n. 6046, emanata a conclusione di un precedente giudizio identico all’attuale e originato da analogo verbale di accertamento dell’INPS. 2.- Il ricorso della AUTAMAROCCHI s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; l’intimato INPS ha depositato procura speciale alle liti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 2 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389, in combinato disposto con l’art. 39 cod. proc. civ. Al riguardo si precisa che il presente giudizio ha preso l’avvio con la notifica da parte dell’INPS di un verbale ispettivo del 19 maggio 1993 per il pagamento di complessive L. 3.124.858.000, di cui L. 1.415.693.820 per contributi non versati e L. 1.684.914.780 per somme aggiuntive (ai sensi del D.L. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 4, comma 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1988, n. 48) e L. 29.249.400 per sanzioni pecuniarie.

Nel suddetto verbale veniva addotta, a fondamento del richiesto pagamento, l’insussistenza del diritto della societa’ AUTAMAROCCHI a fruire degli sgravi aggiuntivi previsti dalla L. 29 gennaio 1986, n. 26, art. 4, comma 2.

In seguito alla relativa notifica, la societa’ presentava un primo ricorso giurisdizionale avverso il verbale e successivamente un secondo ricorso (poi riunito al primo) avverso la ordinanza – ingiunzione n. 23 del 1993, relativa alle sanzioni derivanti da pretese inadempienze accertate ne verbale ispettivo.

In tal modo la societa’ si e’ avvalsa degli strumenti all’epoca esistenti per contestare il merito della pretesa contributiva, disciplinati dal citato D.L. n. 338 del 1989, art. 4, commi 3 e 4.

Nel corso del relativo giudizio, dopo il deposito della sentenza di appello e nelle more del giudizio di cassazione, e’ stata emessa e notificata (il 21 giugno 2004) alla societa’ stessa la cartella esattoriale sopra richiamata, riguardante fra gli altri anche i crediti vantati dall’INPS sulla base del suddetto verbale di accertamento. Avverso tale cartella la societa’ ha instaurato un nuovo e diverso giudizio (ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24), conclusosi con la citata sentenza n. 119 del 2006 del Tribunale di Trieste, non impugnata dalla societa’ medesima.

Successivamente e’ stata emessa la sentenza rescindente in oggetto (Cass. 8 agosto 2007, n. 17431).

Ad avviso della ricorrente, e’ del tutto evidente, in questa situazione, che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Venezia, non vi e’ alcuna sovrapposizione tra gli oggetti dei due suddetti giudizi, come del resto ha precisato lo stesso Tribunale di Trieste, nella citata sentenza. Soltanto il presente giudizio, e non in quello di opposizione alla cartella di pagamento, ha ad oggetto il merito della lite tra la societa’ e l’INPS, ossia la sussistenza del diritto della societa’ alla fruizione degli sgravi di cui alla L. n. 26 del 1986.

La Corte d’appello di Venezia, invece, ha, del tutto erroneamente, ritenuto che la sentenza emessa in sede di opposizione alla cartella passata in giudicato possa avere statuito anche sul merito della pretesa contributiva, oltre tutto senza considerare che la disposizione (D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 6) che consente al giudice dell’opposizione della cartella di conoscere anche del merito della pretesa contributiva e’ entrata in vigore solo dopo la notifica del verbale di accertamento e l’instaurazione del presente giudizio.

2.- Con il secondo motivo si denuncia – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 324 cod. proc. civ. nonche’ dell’art. 2909 cod. civ. Si osserva che la Corte d’appello ha errato dove ha affermato che l’efficacia di giudicato conseguente alla mancata impugnazione della richiamata sentenza n. 119 del 2006 del Tribunale di Trieste si estende alla statuizione di fondatezza nel merito dei crediti contributivi di cui si discute, il che avrebbe reso irrilevante e privo d’effetto il giudizio di rinvio.

Per giungere a tale conclusione la Corte d’appello ha ritenuto, in primo luogo, che nella suddetta sentenza sia riscontrabile un contrasto tra motivazione e dispositivo che deve portare a considerare prevalente il dispositivo.

Invece tale contrasto, secondo la ricorrente, sarebbe insussistente perche’ nel dispositivo il Tribunale si e’ limitato ad accertare l’esistenza del diritto dell’INPS all’iscrizione a ruolo dei crediti, ma nulla ha statuito sulla fondatezza nel merito della pretesa creditoria. Nella motivazione e’ stato, inoltre, espressamente precisato che tutte le questioni relative alla sussistenza o meno del debito contributivo (che formano oggetto del presente giudizio) erano escluse dal giudizio sull’opposizione alla cartella.

In questa situazione, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, l’indagine sulla portata del giudicato non poteva non essere effettuata attraverso il raccordo testuale e logico tra motivazione e dispositivo. Conseguentemente, la relativa eccezione dell’INPS, accolta dalla Corte d’appello, avrebbe dovuto invece essere respinta.

3.- Con il terzo motivo si denuncia – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, – contraddittorieta’ della motivazione in relazione alla delimitazione delle questioni decise dalla sentenza n. 119 del 2006 del Tribunale di Trieste e all’eventuale estensione degli effetti di tale sentenza, con riguardo all’eccezione di cosa giudicata accolta dall’impugnata sentenza della Corte d’appello.

Oltre a quanto gia’ denunciato con il secondo motivo, la ricorrente sottolinea che l’erronea lettura della citata sentenza di primo grado ha indotto la Corte d’appello di Venezia non soltanto ad accogliere l’eccezione di cosa giudicata, ma anche a pervenire, con motivazione non lineare, alla conclusione che la suddetta sentenza abbia comportato, come effetto logicamente consequenziale, l’inammissibilita’ del ricorso in riassunzione.

4.- Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 29 gennaio 1986, n. 26, artt. 1 e 4.

La ricorrente sottolinea, sul punto, che la Corte d’appello di Venezia, con una motivazione assolutamente contraddittoria e logicamente incongrua, ha inopinatamente disatteso i principi di diritto affermati da questa Corte nella sentenza n. 17431 del 2007.

In questa sentenza, in particolare, e’ stato fra l’altro precisato che: lo sgravio previsto dalla L. 29 gennaio 1986, n. 26, art. 4, comma 2, in favore delle imprese operanti nelle province di Trieste e Gorizia per le assunzioni derivanti da nuove iniziative (e) condizionato al mantenimento dell’incremento occupazionale per tutta la durata del l’agevolazione concessa, compete nel caso di esercizio di nuove iniziative imprenditoriali per tutti i dipendenti, ancorche’ in passato dipendenti di aziende cessate. Esso, pertanto, compete alla societa’ ricorrente – in dipendenza della nuova iniziativa avviata nel territorio di Trieste (dopo il 1 giugno 1985 – per i dipendenti di societa’ cessate, che sono confluiti alla dipendenze della stessa societa’.

La Corte d’appello di Venezia, anziche’ dare seguito alle statuizioni della sentenza rescindente, e’ pervenuta ad opposte conclusioni, basandosi sugli esiti di un altro giudizio, anteriore e distinto da quello in corso e gia’ deciso con una antecedente sentenza della Corte di cassazione (n. 6046 del 24 aprile 2001).

5.- Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 2909 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 101 Cost., comma 2.

Il suddetto richiamo alla sentenza di questa Corte n. 6046 del 2001 – la cui motivazione, oltretutto, e’ inconferente rispetto all’attuale controversia – ha comportato che la decisione della Corte d’appello di Venezia non sia stata assunta sulla base della normativa applicabile al caso di specie, ma esclusivamente in base ad un non vincolante precedente giurisprudenziale e, quindi, in aperto contrasto il principio dettato dall’art. 2909 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 101 Cost., comma 2.

Cio’ ha dato luogo alla formulazione di una motivazione del tutto illogica e contraddittoria.

6.- I motivi – che, data la loro intima connessione, possono essere trattati congiuntamente -sono fondati, nei termini di seguito precisati.

Al riguardo va in primo luogo ricordato che, in base ad un consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte che il Collegio condivide, l’indicazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicche’ la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilita’ del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del quid disputandum (Cass. 25 novembre 2010, n. 23961; Cass. 4 giugno 2007, n. 12929; Cass. 13 gennaio 2006, n. 526; Cass. 26 gennaio 2005, n. 1606; Cass. 22 ottobre 1993, n. 10501).

Ne consegue che, nella specie, in particolare con la argomentazione del quarto motivo, deve ritenersi implicitamente denunciata la violazione anche dell’art. 384 cod. proc. civ., nella parte relativa all’efficacia vincolante del principio di diritto enunciato in sede di cassazione con rinvio alle caratteristiche proprie del giudizio di rinvio.

Secondo un condiviso orientamento di questa Corte in ragione della struttura “chiusa” propria del giudizio di rinvio, cioe’ della cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione e piu’ precisamente fino all’ultimo momento utile nel quale detta posizione poteva subire eventuali specificazioni (nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimita’, in particolare quelle dell’art. 372 cod. proc. civ.), il giudice di rinvio, al fine di procedere al giudizio nei termini rimessigli dalla cassazione con rinvio, puo’ prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti – senza violare il divieto di esame di punti non prospettati o prospettabili dalle parti fino a quel momento – soltanto a condizione che si tratti di fatti dei quali, per essere avvenuta la loro verificazione dopo quel momento, non era stata possibile l’allegazione, con l’eccezione che la nuova attivita’ assertiva ed istruttoria non sia giustificata proprio dalle statuizioni della Corte di cassazione in sede di rinvio (Cass. 8 giugno 2005, n. 11962; Cass. 30 ottobre 2003, n. 16294: Cass. 10 febbraio 2001, n. 1917).

A parte quest’ultima ipotesi, di regola il giudice di rinvio e’ vincolalo dalla sentenza di cassazione che dispone il rinvio stesso anche nel caso in cui essa non si limiti ad accertare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o il vizio di motivazione che inficiano la sentenza cassata e ad adottare le pronunce consequenziali – quali, nel primo caso, l’enunciazione del principio di diritto – ma anche quando essa contenga statuizioni ulteriori (vedi per tutte: Cass. 28 ottobre 2005, n. 21006).

Inoltre, il giudice di rinvio, ai fini dell’individuazione del principio di diritto al quale deve uniformarsi, non puo’ non tenere conto del testo complessivo della sentenza rescindente e, nell’ipotesi di cassazione della sentenza di merito per i concorrenti motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5 il giudice di rinvio, in relazione ai punti decisivi, e non congruamente valutati dalla sentenza cassata, se non puo’ rimetterne in discussione il carattere di decisivita’, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti gia’ acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla Corte di cassazione, la cui portata vincolante e’ limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione nella norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorita’ giurisdizionale, pero’ salvo restando il vincolo al principio di diritto affermato (Cass. 13 aprile 1995. n. 4228).

7.- Nella specie, la Corte d’appello di Venezia non si e’ attenuta ai suddetti orientamenti. Infatti, anziche’, applicare i principi di diritto chiaramente enunciati nella sentenza rescindente, se ne e’ totalmente discostata, oltretutto facendo erroneamente riferimento a due sentenze (rispettivamente del Tribunale di Trieste e della stessa Corte di cassazione) non solo del tutto inidonee, per il rispettivo oggetto, ad influire sul presente giudizio, ma inoltre antecedenti la sentenza rescindente e non richiamate nel giudizio di legittimita’.

8.- Va, in particolare, sottolineato che i principi di diritto ai quali la Corte di appello avrebbe dovuto uniformarsi (come risulta evidente dalla lettura della sentenza rescindente) sono i seguenti:

1) lo sgravio previsto dalla L. 29 gennaio 1986, n. 26, art. 4, comma 2, in favore delle imprese operanti nelle province di Trieste e Gorizia “per le assunzioni derivanti da nuove iniziative (e) condizionato al mantenimento dell’incremento occupazionale per tutta la durata dell’agevolazione concessa”, compete nel caso di esercizio di nuove iniziative imprenditoriali per tutti i dipendenti, ancorche’ in passato dipendenti di aziende cessate;

2) conseguentemente, lo sgravio aggiuntivo (di cui al della L. n. 26 del 1986, art. 4. comma 2, cit.) compete alla societa’ ricorrente – in dipendenza della nuova iniziativa, avviata nel territorio della provincia di Trieste (dopo il 1 giugno 1985) – per i dipendenti di societa’ cessate che sono confluiti alle dipendenze della stessa societa’;

3) il diritto allo sgravio aggiuntivo di cui alla L. n. 26 del 1986, art. 4 che e’ previsto in favore di imprese localizzate nei territori delle province di Trieste e Gorizia, compete a prescindere dal luogo di residenza dei lavoratori dipendenti dall’impresa in relazione ai quali e’ chiesto lo sgravio;

4) il diritto allo sgravio aggiuntivo di cui alla L. n. 26 del 1986, art. 4 in favore di imprese localizzate nei suddetti territori non puo’ essere negato per quei lavoratori esterni (come, nella specie, gli autisti) che, pur essendo addetti ad imprese operanti in detti territori (quale, nella specie, la societa’ ricorrente, esercente attivita’ di trasporti in Trieste), svolgano necessariamente e continuativamente le proprie prestazioni lavorative anche al di fuori dei territori medesimi, in tutte le attivita’ attraversate o raggiunte alla guida dei veicoli impiegati per il trasporto.

8.1.- Dalla sentenza impugnata risulta che, invece, il giudice di rinvio ha preso in considerazione – peraltro riportandola solo nella parte finale – soltanto una delle massime tratte dalla sentenza rescindente (sentenza che, a suo dire, si sarebbe limitata ad esaminare “la questione prospettata in termini di puro diritto”), massima elaborata attraverso l’accorpamento di due diversi passaggi motivazionali della sentenza stessa, il secondo dei quali – nel testo della sentenza, al quale la Corte d’appello avrebbe dovuto fare riferimento – rappresentava una citazione (virgolettata) di Cass. 15 marzo 1999, n. 2290, fatta proprio per distinguere la fattispecie sub judice da quella esaminata ne 1999, nella quale il beneficio dello sgravio aggiuntivo era stato negato.

9. – Come si e’ detto, alla indicata conclusione la Corte d’appello e’ pervenuta sulla base di altre premesse che, oltre ad essere in contrasto con il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio, non sono condivisibili in generale.

In primo luogo, la Corte d’appello ha ritenuto che il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Trieste n. 119 del 2006 – che, come si ricorda, in sede di opposizione della societa’ ricorrente alla cartella esattoriale emessa dall’INPS per inadempienze contributive, ha accolto solo in piccola parte l’opposizione stessa – avrebbe determinato la non esaminabilita’ dell’oggetto del contendere del giudizio di rinvio, senza attribuire alcun rilievo, in contrario, alla circostanza che l’INPS, nel giudizio di legittimita’ conclusosi con la sentenza rescindente, non abbia eccepito nulla in merito al gia’ avvenuto passaggio in giudicato della menzionata sentenza n. 119 del 2006 del Tribunale di Trieste.

Inoltre, la Corte stessa ha ritenuto la suddetta conclusione non contraddetta neppure dal fatto che, nella motivazione della richiamata sentenza n. 119 del 2006, il Tribunale abbia sottolineato l’estraneita’ dall’ambito del giudizio di opposizione alla cartella della “questione relativa alla sussistenza o meno del debito contributivo, che forma oggetto del giudizio di opposizione al verbale e all’ordinanza ingiunzione” (che e’ quello nel corso del quale e’ stata emanata la sentenza rescindente di cui si tratta).

Cio’ in quanto, ad avviso della Corte d’appello, tale enunciato della motivazione non avrebbe rilievo, non trovando riscontro nel dispositivo della stessa sentenza – che, nel rito del lavoro, prevale sulla motivazione – ove viene pronunciata la condanna della societa’ al pagamento del residuo debito accertato.

9.1.- Ora – a parte che e’ jus receptum che la fondatezza dell’eccezione di giudicato presuppone che fra la precedente lite e quella in atto sussista identita’ assoluta di soggetti, di petitum e di causa petendi (vedi per tutte: Cass. 31 ottobre 1970, n. 1979;

Cass. 3 agosto 2007, n. 17078) – va comunque osservato che. in materia di riscossione dei contributi previdenziali, mentre il credito contributivo trova la sua fonte direttamente dalla legge, la previsione della riscossione mediante ruolo concerne soltanto la possibilita’ di formare un titolo esecutivo stragiudiziale, della cui legittimita’ formale e sostanziale il giudice puo’ essere chiamato a conoscere. Con il riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo introdotta dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, il legislatore, nell’estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali, espressamente ha previsto che il contribuente in presenza di richiesta di contributi previdenziali possa proporre opposizione contro l’iscrizione a ruolo avanti al giudice del lavoro (Cass. SU 27 marzo 2007, n. 7399) e ha, quindi, cercato di favorire la trattazione, in un unico vero e proprio processo di cognizione, sia dell’accertamento della fondatezza della pretesa dell’ente sia della legittimita’ formale e sostanziale della cartella. Tali accertamenti, peraltro, continuano ad avere oggetti diversi benche’ siano legati dal punto di vista procedurale, sicche’ l’estinzione del giudizio di opposizione alla cartella esattoriale determina l’incontestabilita’ della pretesa contributiva e ne preclude il riesame del merito in un diverso giudizio (Cass. 15 ottobre 2010, n. 21365).

Nella presente controversia non si e’ avuta la suddetta trattazione congiunta tra contestazione del merito della pretesa contributiva ed opposizione alla cartella di pagamento in quanto l’atto originario che ha dato avvio al giudizio e’ stato un verbale ispettivo dell’INPS in data 19 maggio 1993. seguito da un’ordinanza – ingiunzione dello stesso anno, mentre la cartella di pagamento (riferentesi anche ad altri crediti contributivi) e’ stata emessa e notificata nel giugno 2004 (in applicazione della sopravvenuta normativa di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999).

Pertanto, fin dal ricorso introduttivo, l’oggetto della discussione e’ sempre stato il fondamento della pretesa contributiva e la spettanza, o meno, alla societa’ ricorrente del diritto di fruire degli sgravi aggiuntivi previsti dalla L. n. 26 del 1986, art. 4, comma 2.

E, quindi, del tutto evidente che non e’ neppure ipotizzabile che la sentenza del Tribunale di Trieste n. 119 del 2006 – emessa nel corso del separato giudizio instaurato dalla stessa societa’ per opporsi alla sopravvenuta cartella di pagamento – potesse spiegare efficacia di giudicato nel presente giudizio.

Del resto, lo stesso Tribunale ha espressamente precisato, nella motivazione, che tutte le questioni relative alla sussistenza o meno della pretesa contributiva (che avevano dato luogo all’attuale giudizio) erano estranee al giudizio sull’opposizione alla cartella.

E non appare condivisibile l’assunto della Corte d’appello di Venezia secondo cui tale chiara precisazione sarebbe da considerare recessiva rispetto al capo di dispositivo contenente la condanna della societa’ al pagamento del residuo debito accertato, da ritenere prevalente nel rito del lavoro.

Va, infatti, ricordato che, in base all’art. 132 cod. proc. civ., il dispositivo della sentenza, in generale, deve statuire soltanto in merito ai diversi capi della domanda o delle domande avanzate dalle parti, sicche’ e’ evidente che non possa contenere statuizioni relative ai passaggi argomentativi che, pur sorreggendo la decisione, esulano dal suddetto ambito.

Inoltre in base ad altro principio generale che si applica anche nel rito del lavoro – la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata non solo tenendo conto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma coordinando queste ultime con il percorso logico – semantico attraverso il quale si snoda la motivazione (Cass. 25 ottobre 2003, n. 16079; Cass. 5 aprile 2004. n. 6635; Cass. 26 maggio 2005, n. 11195; Cass. 10 gennaio 2006, n. 160). Ne consegue che, nel suddetto rito, perche’ si debba fare ricorso all’applicazione del principio della prevalenza del dispositivo letto in udienza sulla motivazione e’ necessario che vi sia un contrasto insanabile tra il dispositivo stesso e la motivazione, situazione che si verifica quando non vi sia alcuna coerenza tra i due atti e che, invece, non si verifica quando sussista una parziale coerenza (tra dispositivo e motivazione) e si possa escludere che il contrasto sia l’esito di un ripensamento sopravvenuto (Cass. 24 novembre 2008, n. 27880; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

Sulla base dei suddetti principi che il Collegio condivide, l’interpretazione e l’efficacia attribuite dalla Corte d’appello di Venezia alla citata sentenza dei Tribunale di Trieste non appaiono condivisibili.

9.2.- Per ragioni analoghe a quelle fin qui esposte, non e’ neppure da condividere l’assunto della Corte d’appello di Venezia secondo cui la domanda della societa’ sarebbe anche infondata nel merito perche’ la sentenza rescindente, pronunciandosi “in termini di puro diritto”, avrebbe lasciato aperta la possibilita’ di escludere l’applicabilita’ del beneficio contributivo in oggetto alla societa’ AUTAMARACCHI, subordinatamente all’accertamento che la nuova iniziativa imprenditoriale da essa intrapresa non “si sia concretata solo nella mera acquisizione di un’azienda gia’ esistente, non seguita dall’assunzione di unita’ ulteriori rispetto a quelle gia’ in forza presso l’azienda ceduta, io sgravio non compete, non essendo configurabile l’incremento occupazionale richiesto unitamente alla novita’ dell’impresa”. Conseguentemente, avendo questa Corte di cassazione, nella sentenza 24 aprile 2001, n. 6046, emanata a conclusione di un precedente giudizio “identico” all’attuale e originato da analogo verbale di accertamento dell’INPS, dato esito negativo al suddetto accertamento, deve comunque escludersi che la societa’ possa usufruire degli sgravi in oggetto.

Al riguardo si deve, in primo luogo, ribadire che nella sentenza rescindente la questione dell’attribuibilita’ degli sgravi alla ricorrente e’ stata chiaramente e non in via meramente astratta – risolta in senso positivo, mentre il riferimento alla suddetta situazione di non fruibilita’ ha rappresentato solo un passaggio argomentativo del tutto marginale.

Inoltre, per quanto si e’ detto sopra (vedi 9.1.) e’ da escludere che alla citata sentenza n. 6046 del 2001 – non solo precedente alla sentenza rescindente, ma originata da un diverso verbale di accertamento, riferentesi ad una diversa situazione – potesse attribuirsi efficacia di giudicato nel presente giudizio.

10.- In sintesi il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Brescia che provvedera’ anche alle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Brescia.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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