Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7281 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. I, 26/03/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.T.T.H. (nata a (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 23, presso l’avvocato DAMIZIA MARIA

ROSARIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CESCATTI LORENZA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M., PROCURATORE GENERALE C/O LA PROCURA GENERALE DELLA

CORTE DI APPELLO DI TRENTO, PUBBLICO MINISTERO DELLA PROCURA DEI

MINORI C/O IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI TRENTO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 52/2009 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 11/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica

dell’11/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVAGO Salvatore;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MARIA ROSARIA DAMIZIA che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 3 dicembre 2008,il Tribunale per i minori di Trento dichiarava lo stato di adottabilita’ di N.G., nata a (OMISSIS), e riconosciuta dalla sola madre N.T.T.H., disponendo il suo collocamento presso il Centro per l’Infanzia di (OMISSIS).

L’impugnazione di quest’ultima e’ stata respinta dalla Corte di appello di Trento con sentenza dell’11 marzo 2009, in quanto:

a) le condizioni psichiche della N. risultavano attualmente gravemente compromesse, non ne era ipotizzabile il recupero in tempi brevi, e le stesse incidevano in misura significativa sulla capacita’ genitoriale della stessa;

b) per tali alterazioni non era ipotizzabile alcuna forma di sistemazione autonoma della donna; e d’altra parte pure in una struttura protetta quale il Centro suddetto in cui era possibile contare su di un forte supporto la sua personalita’ non aveva retto e la minore aveva dovuto essere accudita per almeno un mese dagli operatori dell’ente;

c) le incapacita’ della N., caratterizzate dalla ricerca di sostegno nella figlia, non hanno carattere transitorio, ne’ si appalesano risolvibili in tempi brevi, percio’ facendo ipotizzare pure in futuro lo stato di abbandono della minore, costituente presupposto dello stato di adottabilita’.

Per la cassazione della sentenza la N. ha proposto ricorso per 6 motivi. Ne’ il P.G. presso la Corte di appello, ne’ il tutore hanno spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con i primi due motivi del ricorso, N.T.T.H., deducendo violazione della L. n. 149 del 2001, artt. 8 e 10 eccepisce la nullita’ della sentenza impugnata e dell’intero procedimento perche’:

a) alla minore non era stato nominato di ufficio un difensore, essendo la relativa nomina inefficace perche’ compiuta dal tutore;

b) la costituzione di detto difensore nella duplice veste di difensore della minore e del tutore era quindi invalida anche per l’evidente conflitto di interesse tra le due posizioni rappresentate;

con il risultato che la minore era sostanzialmente rimasta priva di difensore fin dall’inizio della procedura;

c) in ogni caso alla stessa non era stato mai nominato un curatore speciale, dal quale doveva essere rappresentata ed assistita (ove questi fosse stato anche avvocato) nel corso dell’intero giudizio, non potendo detta rappresentanza restare affidata al tutore (portatore di interessi astrattamente confliggenti con quelli della bambina;

d) il legale infine era stato nominato soltanto nel corso dell’istruttoria e dopo l’espletamento della c.t., con la conseguenza che la minore nella fase precedente era rimasta priva di assistenza tecnica.

Queste censure sono infondate.

La L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 8, comma 4 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonche’ al titolo 8^ del libro primo del c.c.), dispone che “Il procedimento di adottabilita’ deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore…”. Ed il successivo art. 37, comma 3 ha aggiunto nell’art. 336 c.c. un quarto comma, ai sensi del quale “Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore”.

Dal combinato disposto delle due norme e soprattutto dal loro coordinamento con l’art. 12 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo resa esecutiva con L. n. 176 del 1991 (1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua eta’ e del suo grado di maturita’. 2. A tal fine, si dara’ in particolare al fanciullo la possibilita’ di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”) dottrina e giurisprudenza hanno tratto la regola che nei giudizi di adottabilita’, come modificati dalla novella del 2001, il legislatore non ha piu’ considerato il minore oggetto della potesta’ dei genitori e/o del potere – dovere officioso del giudice di individuarne e tutelarne gli interessi preminenti, ma quale soggetto di diritto, percio’ titolare di un ruolo sostanziale nonche’ di uno spazio processuale autonomi. Che comportano la radicale modifica del suo ruolo tradizionale di semplice destinatario di una decisione presa nel suo interesse da altri, ed il riconoscimento di parte necessaria sia sostanziale, in quanto titolare del rapporto sostanziale oggetto del processo, sia processuale, in quanto svolge un ruolo nella dinamica del processo in funzione del suo risultato giuridico e ne subisce gli effetti diretti ed indiretti.

Dal suddetto riconoscimento discende quale logico corollario la partecipazione necessaria del minore al giudizio fin dalla fase iniziale onde fare ivi valere autonomamente i propri diritti, -dei quali tuttavia egli, quantunque sia titolare, non ha il libero esercizio (ovvero non ha capacita’ processuale); con la conseguenza che deve esservi rappresentato e che si rende necessaria l’interposizione soggettiva di un rappresentante legale.

Soccorre al riguardo la disposizione di carattere generale dell’art. 75 c.p.c., comma 2 che individua nella rappresentanza lo strumento con il quale rimediare al difetto di capacita’; e che si traduce nella introduzione della possibilita’ di avvalersi anche nel processo degli strumenti con i quali il diritto sostanziale provvede al difetto di capacita’ per l’esercizio dei diritti dei soggetti incapaci: e cioe’ dell’istituto della rappresentanza legale con l’attribuzione al rappresentante del potere di stare in giudizio, consentendo la relativa attivita’ processuale in modo da realizzare la produzione degli effetti in capo al minore, che in questo modo sta in giudizio con il nome, tramite il rappresentante legale. E, d’altra parte, il richiamo della legge allo strumento della rappresentanza non puo’ non significare il richiamo alle norme che ne disciplinano il funzionamento (art. 1387 c.c.):e per quanto qui interessa che anche con riguardo ai minori la legge, alla sottrazione dei poteri attinenti al libero esercizio dei diritti sostanziali, fa normalmente corrispondere il conferimento legale dei corrispondenti poteri ad altri soggetti che si qualificano come rappresentanti legali “in tutti gli atti civili”: soggetti che l’art. 320 c.c. individua anzitutto nei genitori, e quindi gli artt. 343 e 357 c.c. “se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potesta’” nel tutore. Con il corollario che l’eventuale mancato conferimento di taluni poteri rappresentativi sostanziali (e cosi’ della corrispondente legittimazione processuale) diviene una eccezione a questa normativa di carattere generale: come conferma esemplificativamente quella dell’art. 247 c.c., comma 2 che in tema di disconoscimento di paternita’ dispone che “Se una delle parti e’ minore o interdetta, l’azione e’ proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso”. Ed alla quale fa riscontro a completamento del sistema l’art. 78 c.p.c. per il quale “Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza …. puo’ essere nominato all’incapace, …un curatore speciale che lo rappresenti…finche’ subentri colui al quale spetta la rappresentanza…. Si procede altresi’ alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi e’ conflitto d’interessi col rappresentante”.

Pertanto, siccome il legislatore ha utilizzato anche nell’ambito del processo lo strumento della rappresentanza legale, e non essendo il potere di agire e resistere in giudizio disponibile autonomamente dalla titolarita’ del bene della vita per il quale la tutela giurisdizionale venga postulata (Cass. 9893/2004), si deve concludere che le persone fisiche investite del relativo potere si identificano in quelle che hanno la rappresentanza processuale dell’incapace. E che anche nei giudizi di adottabilita’ la rappresentanza processuale del minore deve passare attraverso le figure del genitore, del tutore, ovvero “ove occorra” del curatore speciale (Cass. 27239/2008;

1206/2002).

3. Applicando i superiori principi ai giudizi in questione, ritiene la Corte che in concreto possano verificarsi tre distinte fattispecie: A) Rappresentanza legale del minore da parte del genitore (o dei genitori) ancora in atto; B) Avvenuta ablazione o limitazione della potesta’ genitoriale per l’adozione di uno dei provvedimenti di cui all’art. 330 c.c. e segg. da parte del giudice e contestuale (o successiva) nomina di un tutore; C) Situazione analoga a quella precedente dalla quale si discosta per il fatto che al minore non sia stato, invece, nominato un tutore; o che comunque questi per qualsivoglia ragione non sussista al momento dell’apertura del procedimento di cui alla L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 10.

In quest’ultimo caso, tanto le ricordate disposizioni degli art. 75 c.p.c., comma 2 e art. 78 c.p.c., comma 2, quanto i principi costituzionali in tema di protezione dell’infanzia, di giusto processo e di diritto di difesa nonche’ i principi generali sia della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 (artt. 1, 3, 9 e 12), ratificata e resa esecutiva con la L. 27 maggio 1991, n. 176, e sia della Convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con la L. 20 marzo 2003, n. 77 (artt. 1, 2, 3, 4, 9 e 14), rendono indubitabile la nomina di un curatore speciale, affinche’ l’interessato sia autonomamente rappresentato in giudizio e tutelato nei suoi preminenti interessi e diritti in funzione dei quali il procedimento si era aperto; con la conseguenza che ove cio’ non avvenga l’intero giudizio, ivi comprese le eventuali pronunce che lo hanno definito nei due gradi di merito, e’ affetto da nullita’ assoluta, insanabile e rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado di esso: e, quindi, pure in sede di legittimita’, trattandosi di nullita’ conseguente al vizio di costituzione del rapporto processuale (art. 75 c.p.c.) ed alla violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c. (Cass. 10228/2009; 13507/2002).

A quest’ultima fattispecie deve essere equiparata la prima perche’ l’art. 78 c.p.c., comma 2, richiede la nomina di un curatore speciale al rappresentato anche in caso di conflitto di interessi con il rappresentante; e perche’ la giurisprudenza alla stregua di detta disposizione ha ravvisato nel giudizio di adottabilita’ un conflitto d’interessi tra il figlio minore incapace di stare in giudizio personalmente ed i genitori (suoi rappresentanti legali) per l’incompatibilita’ anche solo potenziale, ed a prescindere dalla sua effettivita’, delle rispettive posizioni, ciascuna delle quali portatrice d’interesse personale ad un esito della lite diverso da quello vantaggioso per l’altra. Per cui e’ stato ripetutamente enunciato il principio che in tale situazione la relativa verifica va compiuta in astratto ed ex ante, in base alla stessa oggettiva consistenza della materia del contendere, anzicche’ in concreto ed a posteriori in seguito agli atteggiamenti assunti dalle parti in causa; e che non e’ necessaria l’evidente ricorrenza di sintomi indicativi dell’effettivita’ del conflitto:comunque da rimuovere a titolo precauzionale giusta la ratio del ricordato art. 78 c.p.c., comma 2, diretto a prevenire proprio il verificarsi del danno che tale situazione puo’ provocare al soggetto tutelato.

E la Corte ritiene di dare continuita’ a tale indirizzo pure nella nuova normativa, posto che in tale situazione la nomina di un curatore speciale deriva dalla stessa natura e funzione del giudizio dichiarativo dello stato di adottabilita’, nel cui ambito la situazione di abbandono in cui in cui si trova il minore ha la propria causa nell’inadempimento dei doveri parentali da parte dei genitori; ed al quale il legislatore assegna lo scopo obbiettivo di cancellare il rapporto di filiazione per sostituirlo con un accertamento dei presupposti per l’adozione: si’ da indurre la piu’ qualificata dottrina a rilevare che il conflitto di interessi tra minore e i genitori e’ in re ipsa, avendolo gia’ la L. n. 184 considerato sempre sussistente tanto da presumerlo comunque in tale tipo di procedimento. Con la conseguenza comune all’ipotesi precedente che, in caso di omessa nomina del curatore speciale, il giudizio e’ nullo per vizio insanabile della costituzione del rapporto processuale e consequenziale violazione del principio del contraddittorio, rilevabile, a differenza del conflitto di interessi sostanziale, in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio (Cass. 14866/2000 ; e da ult. 3804 e 3805/2010).

A diversa conclusione si deve pervenire nella seconda delle fattispecie avanti individuate, in cui al minore sia stato nominato un tutore: anzitutto perche’ il primo comma dell’art. 78 c.p.c. prevede la nomina del curatore speciale solo nell’ipotesi in cui manca la persona cui spetta la rappresentanza legale; quindi, perche’ in ogni altro caso il precedente art. 75 c.p.c. prevede che la persona incapace puo’ e deve stare in giudizio tramite il proprio rappresentante legale. E perche’ infine nella nuova disciplina la nomina del tutore da parte del Tribunale specializzato ha proprio lo scopo di dare al minore un rappresentante legale che abbia la legittimazione a stare in giudizio nei procedimenti di adozione in nome e per conto del minore onde valutarne ed attuarne i superiori preminenti interessi: e non piu’, quello di proporre “opposizione” onde difenderne l’interesse (o quello dei genitori) a conservare il proprio status familiare.

Questo risultato si armonizza peraltro con il disposto dell’art. 9 della menzionata Convenzione di Strasburgo, per il cui 1 comma “Nei procedimenti che interessano un minore, quando, in virtu’ del diritto interno, i detentori delle responsabilita’ genitoriali si vedono privati della facolta’ di rappresentare il minore a causa di un conflitto di interessi, l’autorita’ giudiziaria ha il potere di designare un rappresentante speciale che lo rappresenti in tali procedimenti”: percio’ rendendo la possibilita’ di nomina di un (rappresentante o) curatore speciale solo eventuale e subordinata all’ipotesi che coloro cui in base alla legge nazionale siano attribuite le funzioni e le responsabilita’ genitoriali si trovino in una situazione di conflitto di interessi con il minore; e non prevedendola in ogni altro caso, in cui siffatta incompatibilita’ non sussista.

Ed esso spiega, da ultimo, le ragioni per cui la novella del 2001 abbia, per un verso, soppresso la disposizione originaria della L. n. 184, art. 17, comma 2 secondo la quale “A seguito della opposizione, il presidente del tribunale per i minorenni nomina un curatore speciale al minore e fissa con decreto l’udienza, di comparizione dinanzi al tribunale” (che prevedeva la nomina obbligatoria del curatore pur quando il minore era gia’ rappresentato da un tutore).

Ed abbia (per altro verso, stabilito nel nuovo testo dell’art. 15, comma 3 della legge che la sentenza deve essere notificata per esteso anche “al tutore nonche’ al curatore speciale ove esistano”: in tal modo lasciando intendere che puo’ mancare non soltanto il tutore, come si e’ visto nelle fattispecie individuate sub 1^ e 3^, ma anche il curatore speciale;laddove siffatta ipotesi non potrebbe verificarsi e la locuzione sarebbe priva di senso giuridico, se anche nelle ipotesi di ablazione della potesta’ genitoriale e di presenza di un tutore fosse comunque obbligatoria la nomina del curatore speciale; che significativamente la disposizione del comma precedente non include – a differenza del tutore, ove esistente – fra le persone che il Tribunale e’ tenuto ad ascoltare prima di emettere la dichiarazione dello stato di adottabilita’. Per cui appare coerente l’indicazione del curatore speciale come figura solo eventuale proprio perche’ il legislatore non poteva escludere la partecipazione al processo del tutore come rappresentante legale del minore in tutti i casi di adozione di provvedimenti limitativi o ablativi della potesta’; e perche’, in tale fattispecie, il minore trova voce nel processo attraverso il tutore che gli e’ stato nominato, tecnicamente capace di stare in giudizio, ovvero assistito da un avvocato (Cass. 3804 e 3805/2010 cit.). In tali sensi la Corte deve integrare e per quanto occorre rettificare(la conclusione raggiunta dalla precedente Cass. 10228/2009, per cui il procedimento diretto alla dichiarazione dello stato di adottabilita’ di un minore postula – ai sensi del vecchio testo della L. n. 184 cit., art. 17, comma 3 e dell’art. 75 c.p.c. la nomina di un curatore speciale, affinche’ l’interessato sia autonomamente rappresentato in giudizio e tutelato nei suoi preminenti interessi e diritti peraltro affermata dalla Corte con riferimento alla fattispecie ivi esaminata di avvenuta ablazione della potesta’ dei genitori del minore, cui non era stato nominato alcun rappresentante legale.

La sola deroga alla rappresentanza legale del tutore proviene dall’art. 78 c.p.c., u.c. sulla necessita’ di nomina del curatore speciale in caso di conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato che ha carattere generale ed e’ quindi riferibile anche al rapporto minore – tutore, peraltro del tutto conforme alla disposizione di egual contenuto, dell’art. 9 della Convenzione di Strasburgo avanti ricordata. Ma in tal caso ne’ la natura e finalita’ del giudizio in esame ne’ tanto meno la ragion d’essere dell’ufficio tutelare consentono di ribadire la presunzione formulata nell’ipotesi in cui la rappresentanza legale del minore appartenga ai genitori. E torna ad applicarsi la regola generale che va ravvisata una situazione di conflitto di interessi, tale da comportare la necessita’ della nomina di un curatore speciale solo se sia dedotta in giudizio dal P.M. ovvero da uno dei soggetti indicati dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 10, ed accertata in concreto dal giudice come idonea a determinare la possibilita’ che il potere rappresentativo sia esercitato dal tutore in contrasto con l’interesse del minore. Con la conseguenza, tuttavia, che in questo caso la denuncia tende alla rimozione preventiva del conflitto nonche’ alla immediata sostituzione del rappresentante legale con il curatore speciale dal momento della situazione di incompatibilita’ determinatasi; e non puo’ piu’ essere prospettata nelle ulteriori fasi del giudizio (men che mai per la prima volta in quello di legittimita’) ora per allora ed al solo fine di conseguire la declaratoria di nullita’ degli atti processuali compiuti in seguito ad una situazione non denunciata.

4. Le considerazioni svolte comportano che compete esclusivamente al rappresentante legale del minore la nomina di un avvocato per la difesa tecnica (artt. 82 e 83 c.p.c.); e che i due ruoli restano distinti pur quando cumulati nel medesimo soggetto che abbia il titolo richiesto dal menzionato art. 82 c.p.c., comma 2 per esercitare la difesa tecnica.

Come, infatti, ha osservato questa Corte anche in pronunce – ormai lontane nel tempo (Cass. 570/1982) il tutore (o il curatore speciale) non solo e’ contraddittore necessario, ma ha una legittimazione autonoma e non condizionata che puo’ liberamente esercitare in relazione alla valutazione degli interessi del minore; per cui non e’ tenuto a difendere o per converso a contestare il suddetto stato di adottabilita’, ne’ a proporre impugnazione avverso la sentenza che lo disponga o ne disponga la revoca, ma, quale che sia il contenuto della decisione, puo’ liberamente esercitare, in relazione alla tutela degli interessi suddetti e senza necessita’ di autorizzazione alcuna, la facolta’ di svolgere le proprie difese in primo grado, nonche’ di proporre appello o ricorso per cassazione, cosi’ come quella di rinunciare a tali impugnazioni. Laddove l’avvocato del minore non puo’ che assumerne, come di consueto, la difesa tecnica e perseguire gli interessi sostanziali e processuali del suo assistito.

Non puo’ allora essere condiviso l’assunto, pur sostenuto da qualche studioso e da alcuni giudici di merito, che il legislatore del 2001 nei procedimenti di adozione abbia inteso sostituire il difensore di ufficio nominato dal Presidente del Tribunale al tutore (o al curatore speciale) e non cumularlo (eventualmente) con esso onde evitare la presenza di piu’ soggetti contestualmente interpreti della volonta’ del minore e privilegiare esigenze di rapidita’ e di ragionevolezza. E d’altra parte non sussiste nella novella alcuna norma che ne dimostri l’intendimento di spostare l’attenzione da una mera rappresentanza sostanziale (quella tipica del tutore o del curatore speciale) ad una rappresentanza tecnica, nonche’ ad una difesa processuale che assorba in se’ la prima: non l’art. 8 che parla soltanto “di assistenza legale del minore” senza alcun cenno ad un’asserita inapplicabilita’ degli artt. 343 o 321 c.c., ne’ all’avvocato del minore ovvero al suo difensore di ufficio.

E neppure l’art. 9, comma 2 della Convenzione di Strasburgo (cui pure tale volonta’ e’ stata solitamente attribuita), ponendosi la norma – che segue immediatamente la disciplina del conflitto di interessi – nell’ottica di garantire al minore un rappresentante pur nell’ipotesi in cui i genitori vengano privati della relativa facolta’, e quindi nella medesima prospettiva delle norme civilistiche appena menzionate: come del resto conferma la disposizione finale, gia’ peraltro preannunciata dal precedente art. 5 sub b che in tal caso “l’autorita’ giudiziaria abbia il potere di designare un rappresentante distinto, nei casi opportuni un avvocato, che rappresenti il minore”; dalle quali si trae la logica conclusione: 1) che il rappresentante suddetto ben puo’ non essere avvocato e che nel caso in cui lo sia soltanto esigenze legate al caso concreto possono suggerire il cumulo nel medesimo soggetto della funzione di rappresentanza speciale e quella di assistenza tecnica; 2) che in linea generale spetta comunque ai minori (e non all’autorita’ giudiziaria) il diritto di chiedere, “essi stessi o tramite altre persone o organi, la designazione di un rappresentante distinto…” (art. 5 cit.).

E’ del resto significativo per smentire definitivamente la tesi del difensore di ufficio del minore, che per il nuovo testo della L. 184, art. 15, comma 3 “la sentenza e’ notificata per esteso… al tutore, nonche’ al curatore speciale ove esistano, con contestuale avviso agli stessi del loro diritto di proporre impugnazione nelle forme e nei termini di cui all’art. 17”; e che quest’ultima norma attribuisce la suddetta legittimazione al P.M. nonche’ alle altre parti, tra le quali quindi vi e’ in primo luogo il minore come legalmente rappresentato dall’uno o dall’altro soggetto.

Dal menzionato sistema deve semmai trarsi quale ulteriore innovazione significativa della novella 149 che l’assistenza legale del minore (al pari di quella dei genitori) deve sussistere “fin dall’inizio” del procedimento; per cui la successiva disposizione della L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 10 laddove (comma 2) attribuisce al Presidente del Tribunale il compito di avvertire i genitori (o in mancanza determinati parenti) invitandoli nel contempo a nominare un difensore ed informandoli della nomina di un difensore di ufficio per il caso che essi non vi provvedano non puo’ essere qualificata “equivoca” ovvero frutto di una “svista” per non avere menzionato il minore; e deve invece essere interpretata nel senso che tale dovere del Presidente del Tribunale espressamente introdotto con riguardo a detti soggetti a maggior ragione sussiste nei confronti del minore (rappresentato dal tutore o dal curatore) che del procedimento di adozione e’ la parte principale, e quindi altrettanto necessaria: in conformita’ del resto alle linee della riforma del giudizio di adottabilita’ che elevando il minore e i genitori a vere e proprie parti in senso formale, imponevano di disegnare un procedimento in grado di garantire a ciascuna di esse, un effettivo diritto di difesa sin dall’inizio, in contraddittorio tra loro, davanti ad un giudice terzo e imparziale che decida in tempi ragionevoli.

Il che non significa che nel caso di ritardata costituzione del difensore del minore o di mancata assistenza da parte di costui ad uno o piu’ atti processuali debba conseguire l’automatica declaratoria della nullita’ dell’intero processo e/o dell’atto nonche’ di quelli successivi, tale sanzione potendosi invocare dal P.M. o dalle altre parti, attesa la finalita’ della norma, soltanto previa allegazione e dimostrazione del reale pregiudizio che la tardiva costituzione o la mancata partecipazione all’atto ha comportato per la tutela effettiva del minore.

5. Al lume di detti principi risulta palese l’inconsistenza dei vizi procedurali dedotti dalla ricorrente, in quanto: a) alla minore e’ stato regolarmente nominato un tutore, per cui non occorreva anche la nomina di un curatore speciale ineludibile, per quanto si e’ detto avanti soltanto se all’atto di apertura del procedimento il minore, che pure vi e’ parte necessaria, non abbia avuto un rappresentante legale o con questo sia in conflitto di interesse; b) non potendo nel caso presumersi il conflitto di interessi spettava alla N. dimostrare la situazione di conflitto effettivo tra gli interessi del tutore e quelli della figlia, nonche’ evidenziarne le ragioni, non appena si fosse delineata; laddove la ricorrente si e’ limitata ad invocare i medesimi principi che hanno indotto dottrina e giurisprudenza a presumerla nel caso in cui la rappresentanza legale continui ad appartenere ai genitori; per cui non soltanto non occorreva provvedere alla nomina di un curatore speciale in presenza del tutore, ma spettava proprio a quest’ultimo nominare a sua volta un difensore per l’assistenza tecnica della minore nel processo; c) la ricorrente non ha poi dimostrato neppure quale pregiudizio abbia arrecato alla tutela della figlia la tardiva costituzione del difensore ne’ la sua mancata partecipazione alla consulenza tecnica;

ed anzi i relativi accertamenti sono stati interamente recepiti da quest’ultimo che su di essi ha fondato tutte le difese della minore e formulato le conclusioni nel procedimento di primo grado e ne ha riproposto la validita’ nel giudizio di appello, chiedendo ed ottenendo dal giudice di appello una statuizione conforme alle risultanze della c.t.. Per cui sotto questo profilo la N. difetta di interesse a contestare la validita’ di un accertamento istruttorie sul quale invece la parte interessata ad eccepire la relativa nullita’ ha incentrato le proprie difese in entrambi i gradi del giudizio di merito (Cass. 3804/2010 cit., -2270/2006).

6. Con il terzo motivo, deducendo omessa ed insufficiente motivazione su fatti controversi, la N. censura la sentenza impugnata per avere confermato la regolarita’ della consulenza tecnica, essendo stato nominato (in primo grado) quale esperto uno psicologo – psicoterapeuta piuttosto che uno psichiatra competente ad accertare i disturbi mentali di cui la stessa risultava affetta:senza fornire al riguardo alcuna motivazione malgrado anche con l’atto di appello si fosse messa in dubbio la competenza specialistica del c.t. e si richiedesse uno strumento di elevata specializzazione e malgrado la decisione della controversia dipendesse esclusivamente dalla risoluzione della questione tecnica suddetta.

Con il quarto, deducendo altri vizi di motivazione si duole che neppure la Corte di appello abbia dato rilievo al mancato deposito da parte del consulente, del materiale riguardante la somministrazione del test di Rorschach e di Bakley, in violazione della L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 10 delle linee guida dello psicologo forense appr.

il 17 gennaio 1999 dal Consiglio Direttivo della relativa associazione; e che abbia giustificato tale situazione ricordando la presenza di consulenti di parte, che non possono interferire sulle conclusioni di quello di ufficio e tuttavia ne devono controllare la coerenza e la rispondenza alle risultanze acquisite.

Con il quinto, deducendo violazione dell’art. 195 c.p.c., degli artt. 24 e 111 Cost. censura la sentenza impugnata per aver respinto il motivo di impugnazione che contestava il mancato deposito da parte del consulente dei protocolli e dei test proiettivi somministrati senza considerare che l’incarico affidato al consulente richiedeva tale incombenza proprio perche’ la consulenza diveniva fonte di prova;per cui l’omissione dell’ausiliare non rilevata dai giudici di merito aveva comportato una palese violazione del proprio diritto di difesa e di quello del contraddittorio. Anche queste censure sono infondate.

Non e’ anzitutto esatto che i giudici di appello abbiano risolto la controversia esclusivamente in esito alle conclusioni della c.t.

avendo invece utilizzato sia le informazioni acquisite presso la struttura ove la N. era ospitata anche con riguardo agli interventi di sostegno ivi fornitile, sia la relazione del Servizio sociale in data 23 febbraio 2009, sia quella proveniente dalla stessa Casa (OMISSIS), tutte concordi nel confermare le risultanze della consulenza tecnica.

Il consulente nominato dal Tribunale poi non aveva affatto il compito di accertare particolari malattie mentali della ricorrente diagnosticabili soltanto da medici psichiatrici, ma come ha evidenziato la stessa N., “se il genitore sia realmente (in)idoneo a conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilita’ onde offrire al minore un minimo di cure materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico indispensabili per una sana crescita psicofisica” (pag. 4 sent.);per cui non sussistono ragioni per le quali il Tribunale non potesse nominare un soggetto che anche per gli studi condotti fosse un esperto della materia e specificamente in grado di compiere i relativi accertamenti; ne’ tanto meno perche’ la competenza professionale del consulente, detti accertamenti ed i risultati raggiunti non potessero essere controllati efficacemente dall’organo di primo grado, i cui componenti, onorari come rilevato dalla sentenza impugnata e non contestato dalla ricorrente erano “specificamente esperti in materia”.

Il che d’altra parte trova conferma nel fatto che nessuno specifico errore, men che mai dipendente dalla mancata acquisizione di una specializzazione in psichiatria, la N. ha addebitato al consulente, contestato soltanto per essere pervenuto a conclusioni alla stessa sfavorevoli; cosi’ come nessun errore nell’esecuzione dei tests di Rorschach e Bakley gli e’ stato attribuito dalla ricorrente, che ben avrebbe potuto invece contestarne i risultati ovvero contrapporne altri idonei a dimostrare che i test eseguiti dall’ausiliario erano inaffidabili o scarsamente affidabili.

Invece non soltanto non ha neppure prospettato una tale evenienza, ma la sentenza impugnata ha accertato che i consulenti privati avevano “fattivamente partecipato” alle relative indagini e che nel corso di esse non avevano richiesto “ulteriori protocolli”, ne’ formulato osservazioni di alcun genere al metodo utilizzato per il compimento dei test, come peraltro era loro concesso dall’art. 195 c.p.c. (pag.

8 sent.). Giusta il tenore testuale di detta norma, il consulente, quando le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, non ha l’obbligo di redigere il processo verbale delle indagini, ma quello di redigere la relazione nella quale e’ tenuto ad inserire soltanto le osservazioni e le istanze delle parti, che nel caso neppure la N. assume di avere formulato.

Per cui il fatto che la menzionata delibera del Consiglio Direttivo dell’Associazione di cui si e’ detto gli imponga di conservare note, scritti, registrazioni che riguardino il soggetto periziato e di metterle a disposizioni delle parti e del magistrato potrebbe al piu’ esporre il consulente, ove inadempiente all’obbligo suddetto, a sanzioni disciplinari ma non e’ certamente idoneo ad inficiare la validita’ e la correttezza dei risultati raggiunti nella consulenza neppure sotto il profilo della violazione del contraddittorio e del diritto di difesa. Detti principi sono infatti osservati quando: A) il consulente in base alla disposizione dell’art. 194 c.p.c. ed a quelle degli artt. 90 e 91 disp. att. c.p.c. abbia assolto all’obbligo di dare comunicazione ai procuratori delle parti ed ai loro consulenti dell’inizio delle relative operazioni; laddove non e’ tenuto a ripetere analoga comunicazione per le singole successive operazioni dirette all’espletamento dell’incarico, la cui mancanza non e’ ricompresa nel nucleo essenziale del rispetto del principio del contraddittorio, B) alle parti non venga preclusa la facolta’ di discutere le risultanze della C.T.U. anche tramite propri tecnici di fiducia, ed in relazione alle stesse di utilmente replicare, censurando le argomentazioni e le risultanze che il consulente abbia eventualmente fatto proprie e trasfuso nella sua relazione.

Proprio questa situazione si e’ verificata nel caso concreto in quanto la decisione impugnata ha accertato che dopo la partecipazione dei consulenti della N. alle operazioni peritali (art. 194 c.p.c., comma 2)-, . le risultanze della consulenza sono state regolarmente depositate e portate a conoscenza della parte, che ha avuto modo di formulare le osservazioni e le domande ritenute opportune, percio’ ampiamente esercitando il proprio diritto di difesa. Ed ha accertato altresi’ che queste ultime hanno provocato il richiamo del consulente che alle stesse ha dato risposta con le note depositate il 17 novembre 2008 (pag. 8), nei cui confronti nessuna contestazione e’ stata avanzata nel ricorso.

7. Con l’ultimo motivo la ricorrente, deducendo insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia (censura la sentenza impugnata per essersi soffermata alla valutazione della salute psichica della madre senza considerare la relazione della casa (OMISSIS) che ne attestava i progressi e l’attitudine a, prendersi cura della figlia: a fronte dei quali erano prevedibili ulteriori progressi di essa ricorrente e nessun rilievo poteva essere attribuito al fatto che detta struttura non potesse ospitarla a tempo pieno: potendo cio’ avvenire in altre case di cura, e dovendo comunque essere privilegiato rispetto a tali problematiche il rapporto tra il minore ed il genitore biologico. La doglianza e’ pur essa infondata.

A differenza della N. che ha riportato soltanto una parte della relazione (OMISSIS) ove si prendeva atto di limitati progressi compiuti da quest’ultima in merito al rapporto con la figlia, la decisione impugnata ha preso in esame, come era tenuta in base al disposto dell’art. 116 c.p.c. l’intera relazione; la quale seppure ha riferito dei suddetti mutamenti positivi in lei riscontrati, e riportati anche dalla Corte territoriale, ha egualmente concluso in termini sfavorevoli alla ricorrente per aver riscontrato soprattutto negli ultimi due mesi situazioni di forte conflittualita’ tra costei e tutti gli altri ospiti della struttura, un conseguente stato depressivo e soprattutto confusionale che per oltre un mese non le aveva reso possibile accudire alla bambina alla quale avevano dovuto provvedere interamente gli operatori della casa giorno e notte. Per cui ha correttamente concluso che perfino con il sostegno continuo di una struttura in tal modo attrezzata la donna aveva dimostrato di non poter reggere agli oneri che l’accudimento della minore imponeva; e che d’altra parte siffatta situazione non poteva considerarsi ne’ transitoria ne’ tanto meno compatibile con la necessita’ urgente e non piu’ procrastinabile di una collocazione stabile e definitiva della bambina, anche per non precluderne le possibilita’ di uno sviluppo normale ed equilibrato.

Pertanto i giudici di merito non si sono limitati a prendere atto delle insufficienze o malattie mentali della ricorrente, anche a carattere permanente, ma hanno puntualmente accertato che la stessa, in ragione di tali patologie, era realmente inidonea ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilita’ e ad offrire alla minore quel minimo necessario ad assicurarle un’equilibrata e sana crescita psico – fisica; e conseguentemente applicato il principio ispiratore della disciplina dell’adozione, secondo cui la regola che il minore ha diritto ad essere educato nella propria famiglia di origine incontra i suoi limiti la’ dove questa non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure suddette con conseguente configurabilita’ dello stato di abbandono, tale da pregiudicarne, in modo grave e non transeunte, lo sviluppo e l’equilibrio psico – fisico.

Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese processuali stante la mancata costituzione del tutore.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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