Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7277 del 30/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 30/03/2011), n.7277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35,

presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato D’AMATI NICOLETTA, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 557/2006 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 07/11/2006 R.G.N. 244/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato DAMATI DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.R. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, le Poste Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante, chiedendo che, previo accertamento della invalidita’ e conseguente pronunzia di annullamento del licenziamento intimatogli con nota del 19 gennaio 2001, fosse disposta la condanna della convenuta alla sua reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, da commisurarsi alle retribuzioni maturate e maturande dal recesso fino alla effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge e spese.

Dedusse a tal fine di avere operato continuativamente alle dipendenze della predetta societa’ dal 28 gennaio 1982, con mansioni di portalettere, e che, con nota di addebito disciplinare dell’1 dicembre 2000, il datore di lavoro gli aveva contestato di essere stato arrestato in data 30 novembre 2000 perche’ colto in flagranza dei delitti di concorso in tentata rapina aggravata e di porto illegale di fucile; ancora che, nonostante le puntuali giustificazioni fornite con lettera del 8 dicembre 2000, corroborate dalla trasmissione di copia dei verbali dell’udienza di convalida di arresto, con successiva nota del 19 dicembre 2001, Poste Italiane gli aveva comunicato il licenziamento senza preavviso ai sensi degli artt. 32, 34 e 79 lett. D del C.C.N.L. siglato in data 26 novembre 1994 e degli artt. 52, 54 e 68 lett. E) del C.C.N.L. 11 gennaio 2001.

Soggiunse che il predetto licenziamento impugnato nei termini doveva essere ritenuto illegittimo per l’insussistenza delle condotte addebitate in quanto il giudice penale, con la sentenza resa in esito al giudizio abbreviato, per un verso aveva derubricato l’originaria imputazione di tentata rapina aggravata in quella meno grave di minaccia aggravata dall’uso delle armi (artt. 612 e 339 cod. pen.) e, peraltro, lo aveva erroneamente condannato per il reato di porto illegale di fucile senza considerare che il fratello P., concorrente nel reato, era titolare di licenza di caccia e che il fatto addebitato si era svolto in una giornata venatoria.

L’ A. dedusse, infine, che il fatto accertato dal giudice penale non poteva essere sussunto in alcuna delle fattispecie tipizzate dal C.C.N.L. ai fini della risoluzione del rapporto e, comunque, che il licenziamento irrogato era illegittimo per l’assoluto difetto di proporzione del medesimo attesa l’evidente sperequazione tra la gravita’ del fatto (del tutto estraneo al lavoro) e la sanzione adottata, vieppiu’ avuto riguardo alla natura delle mansioni svolte ed all’assenza di precedenti disciplinari del ricorrente. Si costituiva la societa’ Poste chiedendo il rigetto delle avverse domande. Deducendo, in particolare, che la condotta posta in essere dal ricorrente, consistita nell’esercizio di un atto di violenza nei confronti di una terza persona attraverso l’utilizzo di un’arma, denotava la propensione a delinquere del medesimo ed una intensa pericolosita’ sociale, ossia di elementi idonei a far venire meno l’affidamento del datore di lavoro sul corretto adempimento da parte del dipendente delle prestazioni future e, quindi, anche avuto riguardo alla natura delle mansioni di portalettere a lui assegnate, a determinare un’irreparabile lesione del vincolo fiduciario. Il Giudice, istruita la causa con interrogatorio delle parti e produzioni documentali, con sentenza del 6 maggio 2004, rigetto’ la domanda e condanno’ il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio. Ritenne invero il tribunale, a fronte della mancata contestazione da parte dell’ A. della ricostruzione dei fatti materiali operata dal giudice penale, che fossero incontroversi in causa gli elementi di fatto posti a fondamento della condanna per il delitto di violenza aggravata dall’uso di un’arma (artt. 612 c.p., comma 2, e art. 339 cod. pen.) ed inoltre che le circostanze di tempo (ore 0,45) e di luogo (nei pressi del locale pubblico notturno (OMISSIS)) in cui il fucile era stato portato fuori dalla propria abitazione dai concorrenti non consentisse in alcun modo di ricollegarne il porto all’esercizio legittimo dell’attivita’ venatoria.

Sul piano della qualificazione giuridica di tali fatti poi, concluse il primo giudice, non vi era dubbio che gli stessi, pur estranei al lavoro, erano di gravita’ tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, apparendo idonei, per un verso, a recare discredito sui datore di lavoro e, dall’altro, a compromettere l’elemento fiduciario sotteso al rapporto, vieppiu’ avuto riguardo alla natura delle mansioni di portalettere. Tutti elementi che non consentivano la formulazione di una prognosi specifica favorevole per l’ A., per il quale, nonostante l’assenza di precedenti disciplinari, permanevano seri dubbi in ordine alla correttezza del futuro adempimento degli obblighi lavorativi.

Avverso tale decisione proponeva appello l’ A..

Resisteva la societa’ Poste.

La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 557/06, accoglieva il gravame ed in riforma della sentenza impugnata, annullava il licenziamento, ordinando la reintegra dell’ A. nel suo posto di lavoro, con condanna della societa’ al risarcimento del danno ed al pagamento dei contributi previdenziali come previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la societa’ Poste affidato a due motivi Resiste l’ A. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in ordine alla interpretazione della lettera di contestazione dell’11 dicembre 2000, violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2; violazione dell’art. 2727 c.c., dell’art. 2729 c.c. e segg., degli artt. 276, 277, 244, 245 c.p.c., nonche’ omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Il Giudice d’Appello, lamenta la ricorrente, ritenne erroneamente che i fatti dedotti nelle contestazioni disciplinari formulate da Poste Italiane non fossero specificamente individuati nelle predette contestazioni, e che comunque il datore di lavoro non avesse dato adeguata prova della commissione degli stessi da parte dell’ A., essendo emersa, processualmente, la prova della commissione di fatti diversi. Formulava quindi il prescritto quesito di diritto.

2. – Con secondo motivo la societa’ Poste denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 34 e 79 lett. D del C.C.N.L. siglato in data 26 novembre 1994 e dei corrispondenti artt. 52, 54 e 68 lett. E) del C.C.N.L. 11 gennaio 2001. Violazione dell’art. 2119 c.c. Omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Pur premettendo la societa’ Poste che in materia di licenziamento, la valutazione della gravita’ dell’infrazione e della sua idoneita’ ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimita’ se sorretto da motivazione adeguata e non inficiata da errori logici e giuridici, lamenta la ricorrente che nella specie si era in presenza di una motivazione abnorme, sindacabile in sede di legittimita’, avendo la corte di merito ritenuto i fatti meno gravi, sotto il profilo psicologico, per avere i fratelli A. “ingerito una notevole quantita’ di alcolici e superalcolici”, decidendo “di uscire di notte per sparare con il fucile da caccia alcuni colpi in campagna”.

Evidenziava la ricorrente che lo stato di ebbrezza costituiva certamente un’aggravante e non un’attenuante del comportamento.

Formulava il prescritto quesito di diritto.

3. – I due motivi, stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati e risultano fondati. E’infatti pacifico che la contestazione disciplinare e’ specifica quando sono fornite le indicazioni fattuali necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialita’, il fatto o i fatti disciplinarmente rilevanti, indipendentemente dalle qualificazioni giuridiche, e che dunque la contestazione e’ specifica anche laddove dalla (non necessaria) qualificazione giuridica possano individuarsi fatti specifici.

La stessa Corte cagliaritana ha ritenuto i gravi fatti materiali evincibili dalla contestazione solo parzialmente diversi da quelli posti a base del licenziamento e peraltro provati in giudizio, facendone tuttavia conseguire l’illegittimita’ del licenziamento.

Ha osservato la Corte che il giudice penale aveva adeguatamente ritenuto provata la responsabilita’ dell’ A., in concorso col fratello P., per il reato di violenza aggravata e di porto illegale di arma in luogo pubblico. Ha tuttavia ritenuto che i fatti di cui alla contestazione erano in parte diversi, ma cio’ puo’ ritenersi solo con riferimento alla qualificazione giuridica (penale) dei fatti, dunque al non decisivo nomen criminis, posto che l’accertata minaccia aggravata dall’esibizione di un’arma ben puo’ ricomprendersi nella contestazione disciplinare sopra riportata, mentre restava provata la precisa contestazione di porto abusivo di arma, che tuttavia la corte di merito riteneva non legittimare il licenziamento per giusta causa, tenuto conto dell’episodico stato di ebbrezza alcoolica del dipendente che invece, notoriamente, non puo’ costituire una attenuante ma semmai una aggravante del comportamento.

Deve a questo punto osservarsi che le censure di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 debbono riguardare l’obiettiva insufficienza della motivazione o la contraddittorieta’ del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, Cass. 18 aprile 2008 n. 10203, Cass. 12 novembre 2007 n. 23484, cio’ che e’ avvenuto nella specie ove il ragionamento della corte di merito risulta, come visto, oggettivamente contraddittorio ed insufficiente, inidoneo pertanto a sorreggere la decisione adottata.

4. -La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, con rinvio ad altro giudice, individuato in dispositivo, il quale procedera’ alla valutazione dei fatti contestati alla luce delle considerazioni svolte e dei principi di cui all’art. 2119 cod. civ. e della disciplina contrattuale collettiva in materia di licenziamento, oltre che alla liquidazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011

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