Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7277 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. I, 26/03/2010, (ud. 02/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.P. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede

di S.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato BRIGUGLIO LETTERIO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), già Ferrovie dello

Stato S.p.a., in persona dell’institore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso l’avvocato

BRIGUGLIO ANTONIO, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

COMUNE DI ACIREALE, RAS S.P.A., F.LLI COSTANZO S.P.A. IN

AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 75/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato A. BRIGUGLIO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 10-18 ottobre 1988, S.G. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania, il Comune di Acireale, l’Ente Ferrovie dello Stato e l’impresa Socis s.p.a., esponendo che, con D.M. trasporti 14 luglio 1981, era stata approvata la proposta di costruzione della sede per il raddoppio dei binari dal Km 0,000 al Km. 11,450, fra le stazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), della linea (OMISSIS); approvazione che equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità e indifferibilità dell’opera, ai sensi della L. n. 1 del 1978.

Esponeva, altresì: che tale provvedimento aveva fissato i termini, a far data dal 14.7.1981, di anni due, per l’inizio dei lavori e delle espropriazioni, di anni sei per il completamento dei lavori, di anni sette per il completamento delle espropriazioni; che, con decreto prefettizio del 31.8.1983, era stata disposta l’occupazione temporanea ed urgente, per la durata di anni due, relativamente ad uno stacco di fondo di essa attrice (sito ad (OMISSIS), contrada (OMISSIS)) per mq. 6.750; che, in data 10.11.1983, era stato redatto un verbale di consistenza per mq. 200 in più rispetto a quelli previsti in decreto.

Esponeva, ancora: che era stata successivamente occupata un’area di mq. 930, senza alcun titolo e che, con successivi decreti prefettizi, era stata stabilita la proroga dei termini di occupazione fino al 14.7.1988; che in tale data, era stato emesso il decreto prefettizio n. 1402 Settore 1, con il quale era stata disposta, in favore dell’Ente Ferrovie, l’espropriazione di mq. 1730 del fondo occupato, mentre per mq. 3.000 era stata disposta una servitù perpetua di gallerie, nonchè, in favore del Comune di Acireale, l’espropriazione di mq. 1.140, per deviazione della strada comunale Peri; che con tale decreto, era stata fissata l’indennità di L. 45.077.000 (di cui L. 19.803.000 per espropriazione, L. 6.008.000 per asservimento e L. 9.266.000 per occupazione temporanea).

Deduceva, quindi, l’attrice che, poichè il decreto era intervenuto dopo la scadenza dei termini iniziali per l’espropriazione e per i lavori, e poichè non era stata depositata l’indennità alla Cassa DD.PP., ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 39, il decreto di esproprio doveva ritenersi inefficace e, poichè anche i decreti di proroga dovevano ritenersi inefficaci, perchè non notificati ad essa proprietaria, l’occupazione temporanea era divenuta illegittima.

Pertanto, poichè sui tratti di terreno occupati era intervenuta un’irreversibile trasformazione, e poichè erano stati causati danni alle altre porzioni del fondo, nonchè danni agli impianti, ai fabbricati e alle culture, conseguenti alla cattiva esecuzione dei lavori e alle mine fatte brillare nella zona, chiedeva che l’Ente Ferrovie fosse condannato al risarcimento del danno subito, pari al valore venale del bene, rivalutato e con interessi, nonchè all’indennità da occupazione legittima (pari agli interessi legali sul valore del fondo per ciascuna annualità); ovvero, in subordine, che il Comune e l’Ente Ferrovie fossero condannati, in solido, al pagamento delle giuste indennità di espropriazione, nonchè condannare la società convenuta, in solido con l’Ente Ferrovie, al risarcimento per i danni conseguenti alla cattiva esecuzione dei lavori.

Costituitosi l’Ente Ferrovie, eccepiva: che i termini iniziali per i lavori e per l’espropriazione erano meramente acceleratori; che ai fini dell’efficacia della proroga, non era necessaria la notifica dei decreti di proroga e di occupazione; che l’efficacia del decreto di espropriazione non era subordinato alle vicende dell’indennità; che, in ogni caso, il danno richiesto era eccessivo; che l’opposizione alla stima dell’indennità doveva proporsi in Corte d’Appello.

Costituitosi il Comune di Acireale, deduceva l’inammissibilità e l’infondatezza delle pretese, di cui chiedeva il rigetto.

L’Impresa Socis s.p.a., costituitasi, eccepiva di avere eseguito a perfetta regola d’arte i lavori anche sotto il controllo del Corpo Regionale delle Miniere, e chiedeva, comunque, di essere tenuta indenne dalla R.A. S. – Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a. – quale compagnia assicuratrice.

Veniva autorizzata la chiamata in causa di quest’ultima, la quale, costituitasi, eccepiva che i danni lamentati dall’attrice erano di molto inferiori a quelli richiesti, e produceva, a tal fine, perizia giurata.

Nel corso del giudizio veniva disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio. Quindi la causa veniva dichiarata interrotta, perchè la società Socis s p a, incorporata nella F.lli Costanzo s.p.a., era stata nelle more posta in amministrazione straordinaria, ai sensi della L. n. 95 del 1979.

Riassunto il processo nei confronti dell’Amministrazione Straordinaria della F.lli Costanzo s.p.a., il Commissario eccepiva l’inammissibilità delle domande proposte nei suoi confronti, ai sensi della L. n. 95 del 1979 e, nel merito, chiedeva di essere tenuto indenne della compagnia assicuratrice.

Con sentenza n 1944/98, resa in data 22.5.1998 e depositata il 10.6.1998, il Tribunale di Catania dichiarava l’improcedibilità della domanda proposta nei confronti dell’Amministrazione Straordinaria della F.lli Costanzo s.p.a., condannava l’Ente Ferrovie dello Stato al pagamento della somma di L. 4.308.000, oltre interessi, in favore dell’attrice, rigettava le altre domande e compensava interamente tra le parti le spese processuali.

Con atto di citazione notificato in data 21 e 22 settembre 1998 R.P., quale procuratore della madre S. G., proponeva appello avverso detta sentenza.

Si costituivano, i commissari dell’Amministrazione Straordinaria della F.lli Costanzo s.p.a. e chiedevano dichiarare infondati e rigettare i motivi di gravame, con conferma della sentenza impugnata.

La Riunione Adriatica di Sicurtà RAS s.p.a. chiedeva dichiarare inammissibile o comunque rigettare l’appello e, in via incidentale, chiedeva la condanna dell’appellante alle spese dei due gradi del giudizio.

Anche il Comune di Acireale chiedeva il rigetto di ogni domanda proposta dall’appellante nei suoi confronti, e proponeva appello incidentale chiedendo la condanna dell’appellante al pagamento delle spese del giudizio svoltosi innanzi al Tribunale. La società Ferrovie dello Stato S.T.S.A. s.p.a. si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza, ad eccezione della parte che disponeva la condanna delle Ferrovie dello Stato al pagamento della somma di L. 4.308.000 per risarcimento del danno, in via subordinata chiedeva l’integrale conferma della sentenza.

All’udienza collegiale del 29.11.2002 veniva dichiarata l’interruzione del processo a seguito della morte dell’unico difensore dell’appellato Comune di Acireale.

Con ricorso depositato in data 12.2.2003 e notificato il 6, 7 e 10 marzo 2003, R.P., nella qualità di erede di S.C., provvedeva alla riassunzione del procedimento.

Si costituiva in giudizio la Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. già Ferrovie dello Stato S.t.s.a. s.p.a.

Il Comune di Acireale, in persona del sindaco pro tempore, non si muniva di nuovo difensore.

Con sentenza depositata il 28.1.04, la Corte d’appello di Catania rigettava l’appello principale e quelli incidentali ad eccezione di quello del comune di Acireale relativamente alle spese.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione R.P. nella qualità di erede di S.G. sulla base di sette motivi cui resiste con controricorso la Rete ferroviaria italiana spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente con il primo motivo di ricorso si duole che la Corte d’appello abbia, alla stessa stregua del giudice di primo grado, ritenuto inammissibili alcuni profili di illegittimità della procedura di occupazione dedotti per la prima volta con la comparsa conclusionale di primo grado.

Con il secondo motivo lamenta, anzitutto, che il giudice di appello non avrebbe tenuto conto che la determinazione della indennità di esproprio doveva avvenire in base ai medesimi criteri sia che il terreno in questione fosse considerato agricolo sia che fosse considerato edificabile e che, comunque, la liquidazione non era stata effettuata ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, trattandosi nella specie di espropriazione parziale.

Lamenta poi il ricorrente, sempre con il secondo motivo, che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente considerato nuova, e proposta inammissibilmente per la prima volta in appello, la domanda di risarcimento dei danni per la perdita del frutto pendente. Tale autonoma e distinta domanda risarcitoria sarebbe stata già formulata da parte attrice in primo grado, e segnatamente nell’atto di citazione.

Si duole poi della decisione laddove questa ha affermato che non era stata fornita la prova che la recinzione del fondo sia oggi più bassa rispetto a quella originaria.

Con il terzo motivo, sull’assunto della erroneità di tutte le valutazioni in punto di fatto poste a base della decisione si duole del mancato rinnovo della CTU e contesta il mancato adeguato esame della documentazione da parte della Corte d’appello.

Con il quarto motivo deduce l’erroneità della stima effettuata nel liquidare l’indennità di espropriazione e di occupazione.

Con il quinto motivo si duole della mancata liquidazione dell’indennità di esproprio e di occupazione relativamente alla costruzione della strada Peri.

Con il sesto motivo si duole della ritenuta improcedibilità della domanda di accertamento di credito nei confronti della F.lli Costanzo spa sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria improcedibilità.

Con il settimo motivo lamenta che la Carte d’appello abbia ritenuto assolutamente non provati una serie di danni asseritamente derivanti dalla esecuzione delle opere ed arrecati al fondo e ad i suoi annessi (fabbricato, pozzo, muri a secco, alberi, strade ecc), e si sia in proposito rifiutata di disporre il rinnovo della C.T.U., la quale – sarebbe stata l’unico mezzo per acquisire la prova di quei danni.

Il primo motivo del ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha rilevato che il ricorrente aveva inizialmente dedotto in primo grado l’illegittimità del decreto prefettizio di espropriazione perchè adottato in assenza di potere, in quanto al momento della occupazione del bene erano già scaduti i termini per l’inizio dei lavori, e perchè i decreti di proroga dei termini si dovevano poi ritenere inefficaci, perchè non notificati.

Il ricorrente aveva, altresì, dedotto che il decreto di proroga doveva ritenersi comunque illegittimo per mancato deposito della indennità d’esproprio presso la Cassa DD. e PP. La sentenza di secondo grado ha ulteriormente rilevato che in sede di comparsa conclusionale il ricorrente aveva dedotto ulteriori profili di illegittimità, secondo cui l’occupazione del fondo era illegittima perchè di fatto avvenuta solo in data 8.2.1984 e non in data 10.11.1983 data solo formalmente indicata nel verbale di immissione in possesso; nonchè era illegittima come conseguenza di una occupazione integrativa di parte delle aree eseguita in data 16.3.1985″; ed ancor perchè “la proroga al 14.3.1988” era a sua volta illegittima in quanto dilazionava “la scadenza oltre il termine di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, fissata nel 14.7.1987”.

Alla luce di questa premesse, la Corte d’appello ha osservato che l’atto di appello non conteneva alcuna censura in ordine al rigetto da parte della sentenza di primo grado dei profili di doglianza introdotti in giudizio con l’atto di citazione, ma aveva, invece, riproposto i profili dedotti in primo grado con la comparsa conclusionale. Ha conseguentemente ritenuto inammissibili tali nuove prospettazioni perchè tardivamente proposte. In altri termini, la Corte d’appello ha ritenuto che le dette prospettazioni costituissero una domanda nuova che non poteva trovare ingresso in giudizio. La decisione è del tutto corretta.

E’ appena il caso di ricordare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui si ha “mutatio libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio oppure una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente, su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo.

Si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa petendi”, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. (da ultimo Cass 17457/09).

Nel caso di specie non è dubbio che i nuovi profili della domanda concernenti l’illegittimità del provvedimento ablatorio e del provvedimento di occupazione introducevano in giudizio fatti costitutivi sostanzialmente differenti rispetto a quelli prospettati con l’atto di citazione ponendo nuovi temi d’indagine ed impedendo alla controparte di apprestare una adeguata difesa.

I nuovi profili costituivano dunque una mutatio libelli costituente domanda nuova e come tale non ammissibile.

Venendo all’esame del secondo motivo si rileva preliminarmente che la prima delle tre censure, basata sull’assunto che l’espropriazione dovrebbe ritenersi parziale e che pertanto non era stata calcolata la diminuzione del valore del fondo residuo ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, sarà esaminata unitamente al quarto motivo, ponendo essa la medesima questione proposta da quest’ultimo.

La seconda censura, che concerne, invece, la determinazione ai fini del risarcimento del danno della perdita della fruttificazione, la cui domanda è stata ritenuta inammissibile dalla Corte d’appello perchè formulata per la prima volta in secondo grado, si rivela fondata.

Invero risulta dall’atto di citazione, di cui questa Corte può prendere visione, trattandosi di censura ex art. 112 c.p.c., che il ricorrente aveva chiesto il risarcimento dei danni per la subita occupazione non solo in base al valore venale del terreno ma anche per le fruttificazioni.

Non è dubbio che la Corte d’appello aveva, pertanto, l’obbligo di pronunciarsi su detta domanda, tenendo conto anche delle risultanze processuali ed in particolare dei verbali di immissione in possesso del novembre 1983 e del marzo 1985 il cui contenuto, in osservanza del principio di autosufficienza è riportato dal ricorrente alla luce anche di quanto dedotto dal ricorrente nel ricorso.

Anche la terza censura, con cui il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello ha ritenuto non provato che la recinzione del terreno residuo sia attualmente più bassa rispetto a quella antecedente i provvedimenti ablatori, merita accoglimento.

Invero, la motivazione della Corte di merito, secondo cui il ricorrente non aveva fornito la prova che la recinzione attualmente esistente fosse più bassa di quella originaria, appare alquanto sommaria e sbrigativa, alla luce di quanto risulta dal verbale di immissione in possesso del 10.11.83 e dalla CTU che, per le parti che interessano, sono riportate, in osservanza del principio di autosufficienza, nel ricorso, da cui risulta una abbastanza dettagliata descrizione della recinzione in questione che costituisce comunque una fonte di prova sulla quale è necessario che il giudice di merito estrinsechi il suo giudizio.

Il terzo motivo è infondato ed in parte inammissibile.

Con la prima censura di tale motivo il ricorrente si duole del mancato rinnovo in appello della CTU. La Corte d’appello ha rigettato tale istanza ritenendo che l’appellante non aveva fornito la prova delle proprie affermazioni e che la CTU non poteva avere la funzione di supplire alle dette carenze probatorie.

Inoltre il giudice di seconde cure ha osservato che le circostante di fatto della controversia risultavano già chiarite e non erano necessari ulteriori accertamenti.

Sul punto è costante l’orientamento di questa Corte in base al quale in materia di consulenza tecnica d’ufficio la decisione del giudice di merito che ne esclude l’ammissione non è sindacabile in sede di legittimità, posto che compete al giudice del merito l’apprezzamento delle circostanze che consentano di escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte istante, sulla quale incombe, pertanto, l’onere di offrire gli elementi di valutazione. (Cass 26264/05).

A ciò deve aggiungersi che tutte le argomentazione addotte dal ricorrente per sostenere l’erroneità delle risultanze della CTU espletata in primo grado tendono in realtà a prospettare inammissibilmente una diversa valutazione delle risultanze probatorie emerse nella fase di merito, in pieno contrasto con il principio, più volte affermato da questa Corte, che i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (Cass. 25 agosto 2003, n. 12467), o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta (Cass. 4 giugno 2001, n. 7476) o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 7 agosto 2003, n. 11918).

Con la censura in esame, inoltre, il ricorrente propone una serie di critiche nei confronti della CTU, in particolare circa la discrepanza tra le aree occupate e quelle espropriate, che sono di tutta evidenza inammissibili in questa sede di legittimità in quanto propongono accertamenti in fatto e diverse valutazioni di merito.

Con la seconda censura del terzo motivo si ripropone la questione della invalidità dell’atto di espropriazione sotto il profilo della mancanza di un valido atto di occupazione.

La censura è manifestamente infondata apparendo del tutto corretto l’assunto della Corte d’appello che il provvedimento di occupazione non risulta di per sè prodromico e necessario ai fini dell’emanazione del decreto di esproprio.

La terza censura riguarda il risarcimento danni per la strada Peri che la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile perchè la domanda era tardiva.

La doglianza è infondata perchè si limita a ritenere che c’era una iniziale domanda generale che abbracciava tutte le conseguenze derivanti dalla illegittimità della occupazione e del decreto di esproprio, quando invece ciascuna domanda, di carattere indennitario o risarcitorio che sia, deve essere basata su una propria specifica “causa petendi” che deve essere sin dall’inizio rappresentata dalla parte.

Il quarto motivo, che va esaminato unitamente alla prima censura del secondo motivo, è inammissibile alla pari della citata censura.

Premesso che il ricorrente non censura sostanzialmente l’affermazione della Corte d’appello secondo cui il terreno aveva natura agricola e non già edificatoria, si osserva che la sentenza impugnata ha rilevato che era inammissibile perchè tardivamente proposta la doglianza secondo cui l’indennità di asservimento doveva essere calcolata in misura pari all’indennità di esproprio del fondo, sull’evidente presupposto che l’area asservita rimasta in proprietà del ricorrente aveva perso ogni valore.

In tal senso è innanzi tutto infondata la prima censura del secondo motivo (che ci si era riservati di esaminare congiuntamente al quarto) che si duole del fatto che la Corte d’appello non si sia pronunciata sulla espropriazione parziale, risultando invece tale pronuncia emessa, sia pure – come appena evidenziato – sotto il profilo della inammissibilità della domanda.

Tale decisiva ratio decidendi non viene adeguatamente censurata dal ricorrente il quale si limita a sostenere che la domanda in questione doveva ritenersi proposta con l’opposizione alla stima senza peraltro in alcun modo riportare nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza, il contenuto di tale opposizione, quale risultante dagli atti del giudizio e le ragioni che la sostenevano.

Questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito, non è pertanto in grado di valutare se effettivamente la domanda sia stata tempestivamente proposta onde la doglianza va dichiarata inammissibile.

Si osserva comunque che la Corte d’appello ha fornito una ulteriore ratio decidendi asserendo che il ricorrente non aveva comunque fornito alcuna prova in ordine al fatto che la servitù di galleria potesse compromettere lo sfruttamento agricolo del soprasuolo.

Anche tale ratio non è adeguatamente censurata dal ricorrente che, invece di indicare le prove da lui addotte a tale proposito, si limita a dolersi della mancata ammissione della consulenza tecnica.

Tale argomentazione è priva di ogni rilievo dal momento che è noto che la consulenza tecnica non può essere considerato un mezzo di prova e che la stessa non può quindi sopperire alle carenze probatorie della parte.

Il ricorrente si duole poi ulteriormente del fatto che per la determinazione del valore agricolo la sentenza si sia attenuta alle risultanze della CTU, che si era, però, discostata dai valori stabiliti dalle tabelle della Commissione prevista dalla L. n. 865 del 1971, art. 16, da effettuarsi in riferimento alle tabelle del 1988 che portavano un valore dei terreni agricoli pari a L. nove mila al metro quadro.

Tale censura è inammissibile in quanto propone una rivalutazione di elementi di fatto non accettabili in sede di legittimità, non risultando oltretutto in alcun modo i dedotti valori delle tabelle, di cui il ricorrente, non ha riportato il testo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, ed investendo comunque la censura in esame il merito della decisione. A ciò deve aggiungersi che il ricorrente avrebbe dovuto altresì indicare in quale dei propri scritti difensivi aveva censurato le risultanze sul punto della CTU per consentire a questa Corte di valutare una eventuale omessa o carente motivazione da parte della sentenza sul punto.

Il quinto motivo è fondato.

La Corte d’appello ha infatti rilevato che quanto alla indennità per la zona espropriata per la costruzione della strada Peri, che risultava già depositata presso la Cassa depositi e prestiti, l’unica amministrazione convenuta era il comune di Acireale, ma che il R. che ne aveva l’onere “non aveva specificato a che titolo tale amministrazione dovrebbe rispondere di dette indennità ancorchè in solido con l’espropriante”.

Invero il ricorrente riporta nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza, una parte del testo del decreto di esproprio da cui risulta che il beneficiario dell’espropriazione della strada era il comune di Acireale.

L’esistenza in atti di siffatto documento costituiva un elemento di prova inerente alla legittimazione passiva del Comune di Acireale che avrebbe dovuto essere comunque oggetto di valutazione da parte della Corte di merito, anche senza che fosse necessaria una specifica indicazione da parte del ricorrente del titolo posto alla base della domanda.

Il sesto motivo, con cui si censura la dichiarazione di improponibilità della domanda di risarcimento danni nei confronti della soc. F.lli Costanzo in amministrazione straordinaria, è infondato.

La Corte d’appello nel ritenere l’improcedibilità della domanda di risarcimento del danno nei confronti della soc. F.lli Costanzo, si è infatti attenuta ai principi stabiliti da questa Corte secondo cui le questioni concernenti l’autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore dichiarato fallito costituiscono questioni attinenti al rito, che non implicano questioni di competenza, quando il tribunale fallimentare coincida con il tribunale ordinario. Pertanto, qualora una domanda sia diretta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria, anche a titolo di risarcimento danni, soggetta al regime del concorso, il giudice adito è tenuto a dichiarare non la propria incompetenza, bensì, secondo i casi, l’inammissibilità, l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, quindi inidonea a conseguire una pronuncia di merito, configurando detta questione una vicenda “litis ingressum impediens”, concettualmente distinta dalla incompetenza, che deve essere esaminata e rilevata dal giudice di merito prima ed indipendentemente dall’esame della questione di competenza che, eventualmente, concorra con essa (Cass. 10414/05; 19718/03).

Nel caso di specie, inoltre non appare sussistere una ipotesi di litisconsorzio necessario.

Questa Corte ha, infatti, avuto occasione di precisare che l’esistenza di un vincolo di solidarietà passiva ai sensi dell’art. 2055 cod. civ., tra più convenuti in un giudizio di risarcimento dei danni non genera mai un litisconsorzio necessario, avendo il creditore titolo per valersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione del rapporto processuale che può utilmente svolgersi anche nei riguardi di uno solo dei coobbligati, per cui non è configurabile, sul piano processuale, inscindibilità delle cause in appello neppure nell’ipotesi in cui i convenuti si siano difesi in primo grado addossandosi reciprocamente la responsabilità esclusiva del danno.

(Cass. 10042/06).

Infondato appare poi l’assunto secondo cui la domanda proposta nei confronti della F.lli Costanzo doveva ritenersi come una istanza di insinuazione tardiva al passivo della procedura di amministrazione straordinaria, essendo stata la stessa proposta nei confronti del giudice comunque competente e potendo in ogni caso ritenersi validamente proposta anche se con citazione anzichè con ricorso.

E’ sufficiente a tale proposito rilevare che, anche se è vero che la domanda di insinuazione al passivo proposta con citazione anzichè con ricorso può, a certe condizioni, non comportare l’invalidità del relativo giudizio, è tuttavia evidente che tale domanda deve essere una effettiva domanda di insinuazione al passivo nel senso che con essa si deve chiedere in maniera espressa e specifica l’ammissione allo stato passivo di una procedura concorsuale e non può, invece, certamente ritenersi tale una domanda risarcitoria priva – come nel caso di specie – di siffatti connotati.

Quanto poi alla Ras ass.ni, chiamata in causa in garanzia dalla soc. F.lli Costanzo, la Corte d’appello ha ritenuto che nessun accertamento doveva effettuarsi nei confronti di quest’ultima, non avendo il ricorrente proposto alcuna domanda nei suoi confronti nel giudizio di primo grado.

Tale motivazione è del tutto corretta avendo questa Corte già chiarito che il principio secondo il quale, qualora il convenuto chiami in causa un terzo indicandolo come unico responsabile nei confronti dell’attore, la domanda proposta da quest’ultimo si estende automaticamente al terzo, non è applicabile nel caso della chiamata in garanzia, attesa l’autonomia sostanziale del rapporto confluito nel processo per effetto di detta chiamata e pertanto, l’attore rimasto soccombente in primo grado, che non abbia proposto domanda nei confronti del chiamato, non può formularla ex novo in appello.

(Cass. 6026/01).

Alla luce di questa giurisprudenza destituita di fondamento è pertanto la censura del ricorrente secondo cui la domanda nei confronti della F.lli Costanzo si sarebbe automaticamente estesa nei confronti della Ras. Ass.ni per avere questa dichiarato nel costituirsi in primo grado la propria disponibilità a risarcire parte del danno. E’ di tutta evidenza che tale disponibilità non poteva che manifestarsi nei confronti della garantita soc F.lli Costanzo e non già dell’attore che nessuna domanda aveva proposto nei suoi confronti.

Il settimo motivo è inammissibile.

Con tale motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento dei danni derivati dalla effettuazione del lavori e, in particolare, dallo scoppio di mine. La Corte d’appello ha osservato che nessuna prova era stata fornita di detto danno nè del nesso di causalità con l’effettuazione dei lavori e che non poteva considerarsi prova l’offerta di L. 1.860.00 effettuata dalla Ras ass.ni..

Trattasi di una valutazione in fatto sulla base delle emergenze probatorie del giudizio che il ricorrente contrasta proponendo in realtà a sua volta una diversa interpretazione delle emergenze probatorie stesse, in tal modo investendo il merito della controversia, onde la censura non è suscettibile di valutazione in questa sede di legittimità.

Quanto poi all’offerta da parte della RAS ass.ni, è evidente che la stessa, essendo proposta nei confronti dell’assicurata Costanzo Costruzioni, e non nei confronti del ricorrente, non poteva avere alcun valore confessorio, ma restava limitata nell’ambito dei rapporti tra assicurazione ed assicurato.

In conclusione dunque, meritano accoglimento, il secondo motivo per quanto di ragione ed il quinto, vanno rigettati tutti gli altri, la sentenza va pertanto cassata in ragione delle censure accolte con rinvio anche per le spese alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

PQM

Accoglie il secondo motivo nei termini di cui in motivazione nonchè il quinto, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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