Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7274 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2022, (ud. 23/02/2022, dep. 04/03/2022), n.7274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13333/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

D.C.M.V.G.;

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 6046/34/14, depositata il 20/11/2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 febbraio 2022

D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8-bis, convertito

dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal Consigliere Dott. Michele

Cataldi;

dato atto che il Sostituto Procuratore Generale Dott. Locatelli

Giuseppe ha chiesto di accogliere il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia di cui all’epigrafe, che aveva rigettato l’appello erariale contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto parzialmente il ricorso di D.C.M.V.G. avverso l’avviso d’accertamento relativo all’Irpef, all’Irap ed all’Iva di cui all’anno d’imposta 2004, per il quale il contribuente, esercente l’attività di commercio al dettaglio, aveva omesso la dichiarazione dei redditi.

Il contribuente è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, in tema di accertamento induttivo ai fini dell’Iva.

Rileva infatti l’Ufficio che, non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale, né provveduto alle liquidazioni periodiche, l’Iva assolta sugli acquisti non poteva essere portata in detrazione, a prescindere dalla prova offerta dal contribuente, che la CTR ha invece ritenuto idonea a documentare il diritto alla detrazione.

Il motivo è infondato.

Motiva infatti sul punto la CTR che “Non condivide questo Giudice d’appello il fatto che l’ufficio sostenga che la detraibilità dell’imposta pagata sugli acquisti derivi dal fatto che devono esserci per forza le liquidazioni mensili o trimestrali. E’ pur vero che la contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale IVA, ma se l’esistenza del credito è stata documentata, il credito stesso deve essere considerato valido a tutti gli effetti.”.

Per quanto stringata, la motivazione esprime univocamente l’accertamento in fatto, conforme a quello di primo grado, sui presupposti sostanziali del diritto alla detrazione dell’Iva, affermando che quest’ultimo non possa essere negato in difetto della dichiarazione annuale e di quelle periodiche, come assumeva invece l’Ufficio appellante (secondo quanto risulta dall’esposizione della stessa sentenza d’appello).

L’accertamento dei relativi presupposti sostanziali non è censurato in questa sede (né avrebbe potuto esserlo in fatto, tanto più perché si tratta di c.d. doppia conformità ex art. 348 ter c.p.c., comma 5), nella quale, come già in appello, la ricorrente contesta in diritto la ritenuta irrilevanza, ai fini della detrazione, dell’omissione non solo della dichiarazione annuale, ma anche di quelle periodiche.

Al riguardo, questa Corte ha già chiarito che “In tema di IVA, il diritto alla detrazione deve essere riconosciuto anche nel caso di violazione di requisiti formali di cui alla Dir. n. 77/388/CEE, artt. 18 e 22, (cd. sesta direttiva), – quali la mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ovvero l’omessa tenuta del registro IVA acquisti – qualora il contribuente dimostri, mediante fatture o altra idonea documentazione contabile, il rispetto dei requisiti sostanziali di cui alla citata Dir., art. 17, purché detto diritto venga esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 3.” (Cass. 27/07/2018, n. 19938).

Rileva, in motivazione, il citato precedente che tale soluzione è coerente con il “recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 17757 del 08/09/2016), secondo il quale “nel complesso normativo e nel formante giurisprudenziale dell’UE emerge (..) che il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. L’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi”; (…) “si consideri che per la Corte di giustizia (sent. Idexx) “i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti alla sesta Dir., art. 17,” (punto 41). Invece “i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione. Tali requisiti sono contenuti nella sesta Dir., artt. 18 e 22” (punto 42). Riguardo agli acquisti “i requisiti sostanziali esigono, come emerge dalla sesta Dir., art. 17, paragrafo 2, (…), che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili” (punto 43). Dunque, può bastare che, in sede di contraddittorio e/o di contenzioso sulla cartella, il contribuente omissivo documenti la sussistenza dei requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui alla sesta Dir., art. 17″”.

Tanto premesso, considerato che la verifica della sussistenza delle condizioni sostanziali per la detrazione spetta al giudice di merito (Cass. 27/07/2018, n. 19938, cit., in motivazione) – che l’ha effettuata, senza che vi sia specifica ed ammissibile censura al riguardo- ed atteso che non emerge che sia stata eccepita o comunque posta la questione del tempestivo esercizio del diritto alla detrazione, il motivo va rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per l’assenza di un’effettiva motivazione in ordine al rigetto del motivo d’appello erariale che attingeva, in tema di imposte dirette, l’indeducibilità di maggiori costi (rispetto a quelli già considerati dall’Amministrazione), documentati dal contribuente ai fini dell’accertamento sulle imposte dirette, ma da ritenersi dall’Amministrazione non inerenti rispetto al reddito d’impresa.

Il motivo è fondato e va accolto.

Sul punto, infatti, la sentenza impugnata (che pure, nell’esposizione dello svolgimento del processo, dà atto del relativo motivo d’appello erariale), omette qualsiasi motivazione. Tanto meno, poi, potrebbe ritenersi che il generico richiamo alla “completezza ed esaustività” della sentenza appellata, confermata “in toto”, possa integrare una legittima motivazione per relationem, giacché difetta totalmente qualsiasi riferimento sia a quella parte della decisione di primo grado che abbia motivato l’accoglimento del ricorso in ordine alla deducibilità di ulteriori costi; sia perché, comunque, manca qualsiasi considerazione critica della sentenza appellata alla luce dei motivi proposti dall’appellante.

Tanto premesso, questa Corte ha già chiarito che “In tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame.” (Cass. 25/10/2018, n. 27112; conforme Cass. 05/08/2019, n. 20883, ex plurimis).

La sentenza impugnata va quindi cassata in parte qua, con conseguente rinvio alla CTR.

3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, comma 1, e art. 6, comma 3, per avere la CTR erroneamente disapplicato le sanzioni irrogate con l’atto impositivo, sul presupposto che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi costituisse responsabilità del comportamento del professionista che egli aveva incaricato, difettando il dolo o la colpa dello stesso contribuente.

Rileva infatti l’Ufficio che, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni per l’omessa presentazione della dichiarazione fiscale, era sufficiente la colpa, peraltro presunta, concorrente del contribuente nella scelta dell’incaricato dello stesso adempimento e, comunque, nella verifica dell’effettiva esecuzione dell’incarico.

Il motivo è fondato.

Dispone infatti il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, che: “Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.”.

Come questa Corte ha già rilevato, si tratta di norma generale, che si applica nel caso in cui il pagamento del tributo sia affidato ad un terzo e questi non vi provveda, prescindendo pertanto anche dalla qualifica di commercialista dell’incaricato (Cass. 20/07/2018, n. 19422, in motivazione).

Tanto premesso, in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica, ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, facendosi anche consegnare le ricevute telematiche dell’avvenuta presentazione della dichiarazione (cfr. Cass. 17/03/2017, n. 6930; Cass. 20/07/2018, n. 19422, cit.).

Risulta, dalla stessa sentenza impugnata, che l’Amministrazione aveva censurato specificamente la mancata verifica della prova che il contribuente avesse controllato che l’incaricato prescelto avesse provveduto all’invio della dichiarazione.

La motivazione della sentenza impugnata sul punto conferma laconicamente la sentenza appellata, della quale, nelle premesse della parte motiva, richiama l’affermazione che la mancata presentazione delle dichiarazioni non dipendeva da colpa o dolo del contribuente, ma dal “comportamento “fraudolento” del professionista incaricato dell’invio”.

Non risulta pertanto dalla motivazione della sentenza impugnata che la CTR abbia effettuato nel merito l’accertamento dell’adempimento, da parte del contribuente, dell’onere di provare l’assenza della sua colpa concorrente, da verificare secondo i predetti principi.

La sentenza impugnata va quindi cassata sul punto, con rinvio al giudice a quo.

4. Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la CTR erroneamente liquidato le spese del giudizio d’appello a favore del contribuente, pacificamente non costituitosi.

Il motivo non è assorbito dall’accoglimento del secondo e del terzo, atteso che esso attinge a monte la spettanza al contribuente, contumace in appello, delle spese del secondo grado, anche in caso di soccombenza, totale o parziale che sia, dell’appellante Ufficio (comunque soccombente in ordine al rilievo relativo all’Iva).

Il motivo è inoltre fondato.

Infatti presupposto indefettibile della condanna alle spese di lite è quello che la parte, a cui favore dette spese sono attribuite, le abbia in realtà sostenute per lo svolgimento dell’attività difensiva correlata alla sua partecipazione al giudizio, cosicché la parte in definitiva risultata vittoriosa non può richiedere (né il giudice può attribuire) il rimborso di spese non erogate perché attinenti ad una fase processuale in cui essa sia rimasta contumace (Cass. 27/03/1987, n. 2994).

La sentenza impugnata va quindi cassata anche sul punto, con rinvio al giudice a quo, che del predetto principio, in tema di spese di lite del giudizio di merito, terrà conto nella liquidazione.

P.Q.M.

Accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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