Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 727 del 19/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/01/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 19/01/2021), n.727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 729-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore protempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.P.G.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato SERGIO SMEDILE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO ANTONIO MARIA

PENNASILICO giusta procura in calce;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 111/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 21/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CHIAPPINELLO GIOVANNI che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato SMEDILE SERGIO che ha

insistito sulla inammissibilità del ricorso;

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. L’agenzia delle entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 111/11/13 del 21 giugno 2013, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo il diniego opposto all’istanza con la quale la contribuente S.P.G. chiedeva il rimborso della somma di Euro 40.000, corrisposta a titolo di imposta proporzionale (4%) di donazione sull’importo di 1 milione di Euro da lei donato alla figlia.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:

– la donazione in oggetto (novembre 2009) faceva seguito ad una precedente donazione (febbraio 1996) del controvalore di 2 miliardi di lire, già definitivamente tassata in misura fissa perchè avente ad oggetto titoli di Stato (CCT) allora esenti da imposta di donazione;

– proprio per tale ragione (tassazione in misura fissa perchè concernente titoli di Stato esenti) il controvalore della prima donazione non si cumulava con quello della seconda, con la conseguenza che, una volta reintrodotta (2006) la già soppressa (2001) imposta sulle successioni e donazioni, la seconda donazione rientrava nel limite (1 milione di Euro) della franchigia esente per legge.

Resiste con controricorso e memoria la contribuente.

Nell’adunanza camerale del 4 febbraio 2020 veniva disposta la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

p. 2. Con l’unico motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47 e 49, nonchè del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 57 e 59.

In particolare, la commissione tributaria regionale non avrebbe considerato che:

– per stabilire il regime di franchigia in concreto applicabile, l’amministrazione finanziaria doveva fare riferimento alla disciplina vigente al momento della seconda donazione, verificando se, a norma di quest’ultima disciplina, la precedente donazione di titoli di Stato fosse o meno esente da imposta e, quindi, erodesse o meno la franchigia in esito al coacervo di tutte le donazioni effettuate; dalla disciplina così applicabile risultava appunto che i titoli di Stato erano esenti dalla reintrodotta imposta di successione, non anche da quella di donazione, posto che l’esenzione era già stata esclusa dal D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 10, comma 10, n. 2, lett. c), convertito modificazioni nella L. 425 del 1996, modificativo del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 59; inoltre, il venir meno dell’esenzione risultava anche dalla corretta interpretazione di quest’ultimo D.Lgs., art. 57, comma 1, il quale prescriveva il coacervo delle donazioni anteriori fatte dal donante al donatario, “escluse quelle indicate nell’art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli artt. 55 e 59”; sennonchè in base al richiamato art. 59, l’imposta si applicava in misura fissa alle donazioni di ogni altro bene o diritto dichiarato esente dall’imposta a norma di legge, ma “ad eccezione dei titoli di cui all’art. 12, lett. h) ed i)”, ossia appunto i titoli di Stato;

– la pregressa donazione di questi ultimi, non essendo in alcun modo esente, concorreva dunque al coacervo erodendo interamente, nella specie, la franchigia (con conseguente corretta imposizione proporzionale della seconda donazione ed insussistenza dei presupposti del richiesto rimborso).

p. 3.1 Il motivo è infondato nei termini che seguono.

La causa pone una serie di quesiti tra loro in relazione di stretta connessione logico-giuridica, così riassumibili:

– se nell’attuale disciplina dell’imposta sulle donazioni permanga l’istituto del coacervo delle donazioni pregresse ai fini del calcolo della franchigia esente;

– se, data risposta affermativa al quesito che precede, al coacervo debbano partecipare anche le donazioni pregresse fiscalmente irrilevanti perchè poste in essere nel periodo in cui l’imposta in questione non era vigente, ovvero perchè poste in essere in periodo di vigenza dell’imposta, ma esenti per legge;

– se, data risposta negativa al quesito che precede, il regime di esenzione della donazione precedente chiamata a partecipare al coacervo debba sussistere al momento di tale donazione ovvero al momento (donazione successiva) del coacervo stesso.

Per quanto attiene al primo quesito (permanenza dell’istituto del coacervo ai fini dell’imposta di donazione) si ritiene di dover dare risposta affermativa.

Va premesso che questo genere di dubbio, che potrebbe apparire singolare a fronte di una legislazione chiara e lineare, scaturisce dalla tecnica legislativa utilizzata negli anni e dal non del tutto coordinato succedersi deì vari interventi normativi che hanno visto, dapprima, introdurre il regime-base di riferimento dell’imposta sulle successioni e donazioni (TUS D.Lgs. n. 346 del 1990), poi apportare a questo sostanziali modificazioni (L. n. 342 del 2000), quindi sopprimere del tutto l’imposta (L. n. 383 del 2001), infine reintrodurre l’imposta stessa dopo alcuni anni (D.L. n. 262 del 2006 conv. in L. n. 286 del 2006) con ulteriori modificazioni (L. n. 296 del 2006).

Prima di considerare – quale dato interpretativo comunque imprescindibile – il tenore letterale delle singole norme di riferimento, va posto in evidenza come sia possibile individuare, nella stratificazione normativa che si è in tal modo venuta a creare, due importanti criteri orientativi.

Il primo criterio attiene al fatto che l’imposta oggi vigente deve considerarsi, a tutti gli effetti, una ‘nuovà imposta, ancorchè in massima parte regolata tramite rievocazione della disciplina previgente di cui al D.Lgs. fondamentale n. 346 del 1990. Stabilisce infatti il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, che “è istituita” l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione; ciò è avvenuto, appunto, “secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”. A conferma della ‘novità’ dell’imposta, depone il fatto che il richiamo alla già soppressa disciplina-base non è stato totale ed onnicomprensivo, dal momento che esso trova testuale limite in “quanto previsto dai commi da 48 a 54”, vale a dire in previsioni originali e di sostanza che, tra il resto, modificano le aliquote ed il sistema di prelievo sia per l’imposta di successione (comma 48) sia per quella di donazione (comma 49), e dispongono varie abrogazioni della disciplina richiamata (comma 52).

Il secondo criterio attiene al vincolo generarle di compatibilità che viene affidato all’interprete nel coordinare la nuova imposta con la vecchia disciplina, secondo quanto previsto dal citato art. 2, comma 52: “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e dai commi da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”. Il che comporta che l’interprete, posto di fronte ad un tenore letterale non univoco, sia chiamato ad individuare il regime applicabile all’esito di una valutazione finalistica e di ratio.

Orbene, tornando allo specifico problema del coacervo ai fini dell’imposta sulle donazioni, va innanzitutto osservato come esso non possa dirsi di per sè incompatibile in rapporto alla disciplina, pacificamente ancora operante (comma 49), della franchigia di esenzione. Sicchè non può reputarsi disarmonica la norma che espressamente lo prevede (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 57), stabilendo testualmente che: “Donazioni anteriori. 1. Il valore globale netto dei beni e dei diritti oggetto della donazione è maggiorato (…) di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni, anteriormente fatte dal donante al donatario, comprese quelle presunte di cui all’art. 1, comma 3, ed escluse quelle indicate nell’art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli artt. 55 e 59. Agli stessi fini, nelle ipotesi di cui all’art. 56, comma 2, il valore globale netto di tutti i beni e diritti complessivamente donati è maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni anteriormente fatte ai donatari e il valore delle quote spettanti o dei beni e diritti attribuiti a ciascuno di essi è maggiorato di un importo pari al valore delle donazioni a lui anteriormente fatte dal donante. (…).”

Si tratta di disposizione sopravvissuta all’intervento abrogativo di cui al citato art. 2, comma 52, e che si rende concretamente applicabile anche in presenza di un sistema di imposizione proporzionale – non più progressivo – ma pur sempre caratterizzato, come si è detto, da una franchigia iniziale. Va infatti considerato che l’intento anti-elusivo sotteso all’istituto del coacervo, inizialmente concepito a tutela della progressività delle aliquote, mantiene una sua concretezza e sfera di operatività anche con riguardo a quelle ipotesi nelle quali il patrimonio del donante venga ad essere strumentalmente frammentato attraverso plurime e collegate donazioni, tutte – se singolarmente considerate – di importo ammesso a franchigia.

Questa soluzione (permanenza del coacervo ai fini dell’imposta di donazione) è già stata affermata da questa corte di legittimità con una decisione (n. 11677/17) alla quale si ritiene di dare, sul punto specifico, continuità.

A differente conclusione questa corte è invece pervenuta con riguardo alla imposta di successione, rispetto alla quale tale permanenza è stata esclusa (Cass. nn. 24940/16, 12779/18, 758/2019 ed altre).

Pur riconoscendosi che la franchigia opera alla stessa maniera tanto per la imposta di donazione quanto per quella di successione (comma 48) e che, pertanto, tale permanenza non sarebbe di per sè incompatibile neppure con riguardo a quest’ultima imposta (del resto strutturata in maniera del tutto analoga), si è ritenuto che il solo criterio di compatibilità, destinato ad operare in un contesto letterale dubbio ma pur sempre legittimante opzioni ermeneutiche diverse, non fosse sufficiente a superare un dato normativo del tutto contrario, nel quale l’istituto del coacervo risulta invece privo di ogni base legale.

Ciò per l’assenza, nell’imposta di successione, di una norma quale il citato art. 57.

La norma ad essa corrispondente, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, non è stata, in effetti, espressamente abrogata in sede di nuova istituzione dell’imposta, e tuttavia essa è stata ritenuta implicitamente superata in quanto testualmente ed inequivocabilmente riferita (“ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”) alla sola applicazione di un sistema progressivo di aliquote (non anche del diverso elemento della franchigia) già precedentemente eliminato (L. n. 342 del 2000, art. 69), e sostituito con un prelievo ad aliquote percentuali fisse per grado di parentela, in rapporto alle quali la già richiamata funzione antielusiva del coacervo non avrebbe ragion d’essere (risultando quindi con essa incompatibile).

Già in passato (Cass. nn. 29739/08, 5972/07, 8489/97) il riferimento in questione era stato inteso in funzione antielusiva delle aliquote, in quanto finalizzato non a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum, oggetto di autonoma imposizione, ma unicamente a stabilire una sorta di ‘riunione fittizià nella massa ereditaria dei beni donati, appunto ai fini della determinazione dell’aliquota in concreto applicabile.

Sennonchè, si tratta di un riferimento che il legislatore ha invece espunto dall’art. 57 sull’imposta di donazione, il quale – dopo la modifica apportata dalla L. n. 342 del 2000, art. 69 – non lega più il coacervo alle aliquote, così rendendolo residualmente rilevante per la franchigia.

Inoltre, neppure potrebbe sostenersi la indiretta sopravvivenza del coacervo sulla base del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, comma 2 quater (esclusione della franchigia sull’imposta di successione in caso di pregressa fruizione della stessa, anche in esito a coacervo, sull’imposta di donazione D.Lgs. n. 346 del 1990, ex art. 56, commi 2 e 3), dal momento che l’art. 7, comma 2 quater, è stato espressamente abrogato dal D.L. n. 262 del 2006, comma 52, conv. nella citata L. n. 286 del 2006.

E’ vero che la legge continua a richiedere che nella dichiarazione di successione siano indicati, tra il resto, gli estremi delle donazioni fatte dal de cujus agli eredi o legatari, con l’indicazione dei relativi valori (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 29, comma 1, lett. f) non abrogato), e tuttavia è fin troppo evidente come si tratti di una disposizione puramente strumentale che non può giustificare, da sola, la sopravvivenza di un istituto che essa presuppone, ma che deve trovare specifico fondamento in un’altra e dedicata previsione.

In tale contesto, il solo criterio di compatibilità funzionale del coacervo con la franchigia (per giunta applicato ad una imposta nuova) non è stato ritenuto in grado di sopperire ad una evidente lacuna legislativa, pena l’introduzione sostitutiva nell’ordinamento tributario – per mano del giudice – di un istituto che, pur non avendo diretta natura impositiva, è tuttavia parte costitutiva del sistema di prelievo, venendo a sensibilmente incidere, nel caso di più donazioni poste in essere prima dell’apertura della successione del donante, sul patrimonio del beneficiario. Dunque, con un effetto potenzialmente ablativo che richiederebbe non una semplice scelta ermeneutica ‘per compatibilità’, ma una chiara presa di posizione del legislatore con i connotati di certezza, tassatività, determinatezza e prevedibilità che devono essere propri della norma tributaria.

Non si dubita che la operatività del coacervo in una imposta (cumulo di donatum e donatum) e non nell’altra (cumulo di donatum e relictum) – a maggior ragione se questo risultato non sia stato specificamente voluto dal legislatore della riforma, dipendendo piuttosto da un difetto di coordinamento nel vorticoso fenomeno di successione e riesumazione di leggi che si è visto caratterizzare la materia – generi una evidente frattura nell’ordinamento, in considerazione del fatto che l’imposta di successione e quella di donazione trovano, anche storicamente, una disciplina sostanzialmente comune e sovrapponibile, all’interno di un microsistema tendenzialmente autosufficiente; disciplina comune a sua volta giustificata sia dalla gratuità dei trasferimenti di ricchezza che esse colpiscono sia dalla funzionalità che una disciplina comune esplica nel neutralizzare in radice, nell’opzione tra l’una e l’altra, contegni distorsivi ed elusivi da parte del contribuente (peraltro oggi sempre sussumibili nella disciplina generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis).

Cionondimeno, va anche detto che la – quand’anche auspicabile – unitarietà di disciplina tra le due imposte non sembra costituire un valore assoluto ed intangibile dell’ordinamento (ne è prova, in questo stesso giudizio, l’opposto trattamento riservato dalla legge al trasferimento dei titoli di Stato) nè risulta, alla luce dell’ampia discrezionalità del legislatore in materia e del suo esercizio con riguardo a tributi che trovano pur sempre un differente ed autonomo presupposto genetico, di per sè costituzionalmente intollerabile.

p. 3.2 Per quanto attiene al secondo quesito posto dalla lite (inclusione nel coacervo anche delle donazioni fiscalmente irrilevanti), la risposta deve essere negativa.

Nel già citato precedente di cui in Cass. n. 11677/17 si è affermato, in senso contrario, che: “in tema di imposta sulle donazioni, il valore globale dei beni, al fine della applicazione della franchigia prevista dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 49 (conv., con modif., dalla L. n. 286 del 2006), deve essere determinato tenendo conto anche delle donazioni poste in essere prima della data del 29.11.2006, poichè il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 57, comma 1, deve essere interpretato con riferimento alle donazioni in senso civilistico, atti di liberalità del donante a favore del donatario, senza che, dunque, possano essere escluse le donazioni poste in essere tra il 25.10.2001 ed il 28.11.2006 solo perchè all’epoca fiscalmente irrilevanti”.

Si ritiene che questa conclusione debba tuttavia essere qui riconsiderata.

In primo luogo, la circostanza che l’art. 57 faccia generica menzione del termine ‘donazionì non appare univoca nel senso della generale rilevanza, ai fini del cumulo, di tutte indistintamente le donazioni in senso civilistico in qualsiasi momento realizzate, posto che l’autonomia del diritto tributario non raramente si discosta dalla nozione civilistica apparentemente corrispondente, e ciò in ragione delle peculiari finalità pubblicistiche proprie dell’imposizione e del principio costituzionale di capacità contributiva che la pervade. Questa prima conclusione pare avvalorata dallo stesso tenore dell’art. 57 in esame là dove, pur dopo aver richiamato ‘tutte le donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario, circoscrive tuttavia tale rilevanza, escludendola non solo per le donazioni, indicate nel D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1, comma 4 (donazioni d’uso e di modico valore), ma anche per quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli artt. 55 e 59, con ciò introducendo un elemento di diversificazione certamente attinente allo specifico tributario.

In secondo luogo, se è vero che includere nel cumulo le donazioni pregresse fiscalmente irrilevanti non costituirebbe propriamente un’ipotesi di illegittima applicazione retroattiva dell’imposta di donazione, dal momento che non vi è dubbio che la nuova disciplina impositiva verrebbe comunque applicata ad un presupposto (la donazione successiva) realizzatosi successivamente alla sua introduzione, e con riguardo ad un istituto (la franchigia) tuttora operante, altrettanto evidente è che la considerazione, al fine della individuazione della base imponibile, delle donazioni pregresse determinerebbe pur sempre un’applicazione distorta dell’imposta, perchè concretantesi nel recupero a tassazione, a posteriori, di un atto che il legislatore fiscale aveva già mostrato di ritenere indifferente, e che il contribuente aveva deliberato percependolo proprio come tale. Da questo punto di vista, il recupero, ai fini del cumulo, della donazione pregressa fiscalmente irrilevante non potrebbe trovare giustificazione neppure nel principio generale di capacità contributiva, dal momento che quest’ultima deve sussistere nel momento in cui sorge l’obbligazione tributaria, e non prima. Quand’anche si sostenga che la donazione pregressa debba diacronicamente concorrere con la donazione successiva alla manifestazione di un complessivo ed unitario volume di ricchezza, andrebbe però anche considerato che in tanto la manifestazione di ricchezza si converte in capacità contributiva legittimante il prelievo, in quanto esista una disposizione di legge che, attraverso una fattispecie tipica, lo preveda; sicchè il solo emergere di una ricchezza ‘globalè (peraltro dubitabile qualora siano passati molti anni tra le singole donazioni) dovrebbe rilevare in sede di applicazione di una norma impositiva ‘globalè già esistente, e non fondare esso stesso il recupero cumulativo.

In terzo luogo, includere nel coacervo le donazioni anteriori, anche se poste in essere in esenzione da imposta ovvero nel periodo (ottobre 2001 – novembre 2006) nel quale l’imposta di donazione non esisteva ‘più’ ed ‘ancorà, implica un maggior prelievo fiscale per effetto dell’erosione di franchigia da parte di donazioni che non potevano essere state poste in essere con scopo elusivo (e già si è detto come in ciò trovi radice l’istituto del coacervo). Il che appare particolarmente evidente per le donazioni eseguite in periodo di non vigenza dell’imposta, alle quali verrebbe attribuita rilevanza fiscale postuma in forma di erosione di una franchigia prevista su un’imposta che allora non c’era, e la cui re-istituzione ex novo non appariva prevedibile; dunque, un’imposta la cui elusione mediante preordinato frazionamento patrimoniale in vita (ferma restando la possibilità, per l’amministrazione finanziaria, di sempre allontanare da sè gli effetti di atti comunque concretanti abuso del diritto) non poteva neppure concepirsi.

p. 3.3 Venendo al terzo quesito (individuazione del momento rilevante al fine del regime di esenzione della donazione pregressa), va affermata la rilevanza esimente (anche) del momento in cui è stata eseguita la donazione pregressa.

Il problema deriva dall’argomento difensivo dell’Agenzia delle entrate ricorrente secondo la quale – pur volendo in ipotesi escludersi dal coacervo le donazioni precedenti esenti da imposta – la franchigia, nel caso di specie, sarebbe stata comunque interamente consumata, posto che la prima donazione in titoli di Stato, sebbene esente nel momento della sua realizzazione, tale più non era nel momento di realizzazione della seconda donazione e di applicazione del cumulo.

Secondo questa impostazione, l’esclusione dal coacervo, ex citato art. 57, delle donazioni registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa non sarebbe decisiva in senso favorevole alla contribuente, dal momento che questo requisito di esclusione (registrazione gratuita o pagamento dell’imposta in misura fissa) dovrebbe sussistere all’oggi e non all’epoca della donazione pregressa. Ed all’oggi, in effetti, non sussiste.

Ai fini dell’imposta di successione, i titoli di Stato non sono tassati, in quanto essi non concorrono a formare l’attivo ereditario D.Lgs. n. 346 del 1990, ex art. 12, comma 1, lett. h) (titoli del debito pubblico, fra i quali i buoni ordinari del Tesoro e certificati di credito del Tesoro) e lett. i) (altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati).

Non così per l’imposta di donazione (v. Cass. n. 28883/08) per la quale il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 59, già richiamante l’esenzione per i suddetti beni, è poi stato modificato dal D.L. n. 20 giugno 1996, n. 323, art. 10, comma 10, convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1996, n. 425, nel senso che l’imposta si applica nella misura fissa per le donazioni di ogni altro bene o diritto dichiarato esente dall’imposta a norma di legge, e però “ad eccezione dei titoli di cui all’art. 12, lett. h) e i)”.

Ne consegue che la donazione di titoli di Stato successiva al giugno 1996 è imponibile, mentre la donazione dedotta in giudizio non lo era perchè realizzata nel febbraio 1996.

Ciò chiarito, va comunque ritenuto che ai fini del coacervo debbano essere escluse anche le donazioni che, per quanto tassate ordinariamente nel momento in cui il coacervo stesso viene calcolato ai fini della liquidazione dell’imposta, tassate non erano nel momento della loro realizzazione.

Questa conclusione si basa su considerazioni logiche e giuridiche del tutto analoghe a quelle poc’anzi svolte (p. 3.2), e che qui si richiamano, non senza osservare come la tesi sostenuta dall’agenzia delle entrate finirebbe con lo svuotare di contenuto – ex post – un regime di neutralità (esenzione dei titoli di Stato da ogni imposta presente e futura) la cui considerazione da parte del contribuente, al momento dell’esecuzione della donazione pregressa, doveva ritenersi determinante.

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso.

Le spese di lite vanno compensate in ragione dell’assenza di un consolidato indirizzo interpretativo di legittimità sulle questioni devolute.

PQM

La Corte:

– respinge il ricorso;

– compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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