Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 727 del 15/01/2014
Civile Sent. Sez. 6 Num. 727 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA
SENTENZA
sul ricorso 28198-2012 proposto da:
TULIOZZI PATRIZIA TLZPRZ54B64H501S, GRILLI MARIA
GRLMRA53T45I234Y, PICARELLA LUCIA
PCRLCU53T53H501H, FORINO LIANA FRNLNI54A55H501P,
RICCIOTTI ADRIANA RCCDRN50E46H501W, FRANCHI
CARLA FRNCRL53P56G608U, SANTELLA ANTONIO
SNTNTN47H18H501W, COSTANTINI MARCELLO
CSTMCL46L18H501U, PETTINELLI BRUNA
PTTBRN55D45H501Q, DE PAOLA ADRIANA ROMANA
DPLDNR42R71I743Y, REDA AGNESE RDEGNS52P7OH501G,
SANTOLAMAZZA MARINA, DI MARIAROSARIA
DMRMRS51D42F839N,
PETRACCA
ERMINIA
Data pubblicazione: 15/01/2014
PTRRMN39B64C772K,
ZUFFRANIERI
ZFFSFN50A49A433N,
TAGLIACOZZI
TGLLCU50E66E392Y,
IALUNA
LNICCT48S68M100Z,
RODELLI
STEFANIA
LUCIA
CONCETTA
STEFANIA
RDLSFN52T65H501X, CHIARAMIDA SALVATORE
LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso lo studio degli
avvocati ABBATE FERDINANDO EMILIO e FERRIOLO
GIOVAMBATTISTA, che li rappresentano e difendono, giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente avverso il decreto n. 773/2012 della CORTE D’APPELLO di
PERUGIA del 27.2.2012, depositato il 30/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN
GIORGIO;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Ranieri Roda (per delega avvocati
Ferdinando E. Abbate e Giovambattista Ferriolo) che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
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Ric. 2012 n. 28198 sez. M2 – ud. 16-07-2013
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CHRSVT53P24G211F, elettivamente domiciliati in ROMA,
Patrizia Tuliozzi ed altri hanno, con ricorso alla Corte d’appello di
Perugia, proposto domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89
del 2001, del danno non patrimoniale sofferto a causa della non
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione regolato dalla stessa
legge, introdotto nel novembre 2005 dinnanzi alla Corte d’appello di
2007, era proseguito in cassazione sino alla emissione della sentenza
nel marzo 2010.
La Corte territoriale, con il decreto indicato in epigrafe, ha dichiarato
inammissibile la domanda, ritenendo che il rimedio previsto dalla L. n.
89 del 2001 sia unico, e quindi non possa essere attivato in relazione
alla durata di un procedimento di equa riparazione.
Per la cassazione di questo decreto i predetti hanno proposto ricorso
sulla base di un motivo, cui resiste l’intimata Amministrazione con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nel ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L.
n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6.1, 13 e 41 della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 111 Cost., osservando come
nessuna di queste norme di diritto consenta di escludere dalla sua
applicazione il procedimento di equa riparazione, quale procedimento
giurisdizionale contenzioso destinato a concludersi con una pronuncia
idonea ad avere efficacia di titolo esecutivo, al pari di ogni altro
procedimento regolato dalle norme stesse.
2. Il ricorso è fondato. Dalla ricognizione della giurisprudenza della
Corte Europea – che come noto costituisce necessario elemento di
riferimento nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U. – ed
anche della giurisprudenza di questa Corte, emerge come non sia in
discussione la ammissibilità della domanda di equa riparazione per la
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Ric. 2012 n. 28198 sez. M2 – ud. 16-07-2013
Roma. Giudizio che, dopo la definizione in sede di merito nel marzo
durata irragionevole di un procedimento di equa riparazione: del resto,
ne’ la L. n. 89 del 2001, art. 2 né l’art. 6 della C.E.D.U. risultano
escludere, espressamente o implicitamente, dal proprio ambito di
applicazione tale procedimento giurisdizionale.
2.1. Discussa è piuttosto la individuazione di quale sia la ragionevole
ricorrente – in cui tale giudizio si sia svolto dinnanzi alla Corte
d’appello e in sede di impugnazione dinnanzi a questa Corte. A tale
riguardo, nella sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella
causa Cocchiarella contro Italia, si è affermato che “il periodo di
quattro mesi previsto dalla legge Vinto soddisfa il requisito di rapidità
necessario perché un rimedio sia effettivo. L’unico ostacolo a ciò può
sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine
massimo per l’emissione della decisione. Nel caso di specie, la fase
giudiziaria è durata dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette
mesi, che, pur eccedendo il termine previsto dalla legge, sono ancora
ragionevoli” (par. 99). Nella successiva decisione della Seconda Sezione
31 marzo 2009, causa Simaldone contro Italia (par. 29), si è invece
ritenuta eccessiva una durata di un giudizio “Pinto”, svoltosi in un solo
grado dinnanzi alla Corte d’appello e protrattosi per undici mesi. Nel
caso deciso dalla Seconda Sezione il 22 ottobre 2010, causa Belperio e
Ciarmoli contro Italia, dopo aver dato atto del contenuto della
sentenza Cocchiarella, si è ulteriormente precisato che la durata di un
giudizio “Pinto” davanti alla Corte d’appello, inclusa la fase di
esecuzione, salvo circostanze eccezionali, non deve superare un anno e
sei mesi. Da ultimo, nella decisione 27 settembre 2011 della Seconda
Sezione, causa CE.DI.SA . Fortore s.n.c. Diagnostica Medica
Chirurgica contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio,
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Ric. 2012 n. 28198 sez. M2 – ud. 16-07-2013
durata di un giudizio di equa riparazione, specie nel caso – qui
per due gradi di giudizio, la durata di un procedimento “Pinto” non
debba essere, salvo circostanze eccezionali, superiore a due anni.
2.2. Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione previsto e
disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada determinata in mesi quattro
chiaramente desumibile dall’art. 3, comma 6, della medesima legge
(Cass. n. 8287 del 2010). Il Collegio ritiene che a tale orientamento non
possa essere data continuità e che – rimandandosi alle singole
fattispecie la valutazione della durata ragionevole di una procedura ex
lege n. 89 del 2001 che si svolga solo dinnanzi alla Corte d’appello ove, come nel caso di specie, la procedura si sia svolta anche dinnanzi
alla Corte di cassazione, la durata complessiva del giudizio non possa
comunque eccedere il termine ragionevole di due anni, tenuto conto,
da un lato, delle indicazioni desumibili dagli ultimi approdi (sopra
riassunti) della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo
in coerenza con il termine (pur avente natura meramente sollecitatoria)
di quattro mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, dall’altro della durata
ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento
di equa riparazione, non è suscettibile di estensione oltre il limite più
volte ritenuto ragionevole di un anno.
3. Il decreto impugnato è quindi cassato, e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito ai sensi dell’art.
384 cod. proc. civ.. Il giudizio è iniziato con ricorso depositato presso
la Corte d’appello di Roma nel novembre 2005 ed è stato definito con
sentenza di questa Corte nel marzo 2010. Detratto il termine
ragionevole, stimato in due anni, e tenuto conto che l’impugnazione è
stata proposta dopo tredici mesi dal deposito della sentenza della Corte
di merito (ben oltre il termine breve legislativamente previsto per il
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Ric. 2012 n. 28198 sez. M2 – ud. 16-07-2013
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dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla indicazione
ricorso per cassazione: v. Cass. n. 8287 del 2010), resta una durata non
ragionevole di circa un anno e cinque mesi.
Ai fini della liquidazione dell’indennizzo, va fatta applicazione della
giurisprudenza di questa Corte (ex multis: n. 21840/09; n. 1893/10; n.
19054/10), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di
ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato paterna d’animo
che consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per
l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000
per ciascun anno di ritardo. Pertanto, il Ministero della giustizia deve
essere condannato al pagamento in favore di ciascun ricorrente di
Euro 1.062,50 a titolo di equo indennizzo per il periodo di un anno e
cinque mesi di irragionevole durata. Su tale somma sono dovuti gli
interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri
ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte
liquidazioni.
5. Le spese del giudizio di merito e di legittimità seguono la
soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenendo conto,
limitatamente al giudizio di legittimità (cfr. S.U. n. 17406/12), di
quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione del D.L. n. 1 del
2012, art. 9, comma 2 conv. in L. n. 271 del 2012 (in particolare dei
parametri indicati dalla Tabella A – Avvocati per lo scaglione di
riferimento, dei criteri di valutazione previsti dall’art. 4 e della
riduzione prevista dall’art. 9 del Decreto citato).
P. Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo
nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in
favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 1.062,50 oltre
interessi legali dalla data della domanda al saldo; condanna inoltre il
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Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella
Ministero al pagamento delle spese del giudizio dinanzi alla Corte
d’appello, in complessivi Euro 775,00 – di cui Euro 445 per onorari e
Euro 280 per diritti – oltre spese generali ed accessori di legge, e di
quelle dinanzi a questa Corte, in complessivi Euro 606,25 – di cui
Euro100 per spese – oltre accessori di legge. Spese da distrarsi in
antistatario
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 luglio 2013.
favore dell’avv. Ferdinando Emilio Abbate che se ne è dichiarato