Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7268 del 22/03/2017

Cassazione civile, sez. trib., 22/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.22/03/2017),  n. 7268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4192/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

G.M.A., R.C., R.M.,

R.A., Ri.My., rappresentati e difesi dall’Avv. Michelangelo

Stefano Metta ed elettivamente domiciliati in Roma, via Cavour, n.

221, presso lo studio dell’Avv. Fabio Fabbrini;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia, sezione staccata di Foggia, n. 312/26/2010, depositata il

21/12/2010.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

gennaio 2017 dal Relatore Cons. IANNELLO Emilio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Renzis Luisa, che ha concluso chiedendo l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.M.A., R.C., R.M., R.A., Ri.My. proponevano ricorso, avanti la C.T.P. di Foggia, avverso la cartella di pagamento ad essi notificata, quali eredi di R.D., per il pagamento della imposta di registro complementare, oltre interessi e sanzioni, liquidata in relazione all’acquisto di un appezzamento di terreno agricolo, in applicazione dell’aliquota ordinaria del 15%, anzichè di quella ridotta dell’8% prevista dall’art. 1, Nota I, della Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per gli atti traslativi stipulati da imprenditori agricoli a titolo principale o da associazioni o società cooperative di cui alla L. 9 maggio 1975, n. 153, artt. 12 e 13: l’Ufficio riteneva, infatti, non spettare al contribuente tale beneficio per non avere egli provveduto, nel triennio successivo alla stipula dell’atto, a presentare la certificazione attestante il possesso dei relativi requisiti.

L’adita C.T.P. rigettava il ricorso ritenendo assorbente la definitività dell’avviso di liquidazione, in quanto ritualmente notificato e non impugnato.

2. Con sentenza depositata in data 21/12/2010 la C.T.R. della Puglia, sezione staccata di Foggia, accoglieva l’appello proposto dagli eredi di R.D.. Esclusa la definitività dell’avviso di liquidazione, per non essersi la relativa notifica perfezionata nei confronti di tutti gli eredi, i giudici d’appello ritenevano nel merito fondata l’eccezione di decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo per essere stato detto avviso emesso oltre cinque anni dopo la morte del contribuente, avvenuta in data 28/9/2001, poco meno di sei mesi dopo la registrazione dell’atto de quo.

Secondo la C.T.R., infatti, tale evento comportava l’interruzione dei termini di decadenza e si poneva quale dies a quo per il decorso del termine di tre anni previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76, per la notifica dell’avviso di liquidazione.

Era inoltre ritenuto fondato il motivo di gravame con il quale gli appellanti lamentavano l’illegittimità delle sanzioni poichè irrogate in violazione del principio di non trasmissibilità agli eredi.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi, cui resistono le parti private depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76, nonchè erronea e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Posto che all’epoca dell’acquisto il R., come da lui stesso dichiarato nell’atto di compravendita registrato, non aveva la qualità di imprenditore agricolo a titolo principale, ne discendeva necessariamente – secondo la ricorrente – che dalla data di tale atto decorreva il termine triennale per la produzione dei documenti comprovanti l’acquisto di tale qualità e, per ulteriore conseguenza, che il dies a quo del termine decadenziale per l’esercizio del potere impositivo andava fatto coincidere con la scadenza del termine per il deposito della documentazione in questione, posto che, prima di tale data, l’amministrazione non è posta nelle condizioni di contestare al contribuente la non spettanza della agevolazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, in relazione all’affermazione contenuta in sentenza secondo la quale – giusta quanto dedotto dagli appellanti con specifico motivo di gravame – sarebbero state irrogate sanzioni non trasmissibili agli eredi.

Rileva di contro che nell’impugnata cartella è stata applicata esclusivamente la sanzione di cui alla citata disposizione, non collegata al tributo originario, bensì al mancato pagamento dell’avviso di liquidazione da parte degli eredi.

3. E’ fondato il primo motivo di ricorso.

Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposta di registro, ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata dell’8 per cento, prevista dall’art. 1, nota I, della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l’acquirente che già possiede la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale deve formulare espressa richiesta nell’atto pubblico e produrre, davanti allo stesso notaio rogante, la documentazione attestante la qualità che vanta; qualora, invece, egli non possegga, al momento, tale qualifica, deve denunciare nell’atto l’intento di acquistarla e, quindi, entro il termine perentorio di tre anni, deve produrre la prova, nel modo indicato dalla legge, dell’avvenuto suo acquisto. Nel caso di inadempimento, l’imposta richiesta dall’ufficio deve essere qualificata come complementare, con la conseguenza che il termine triennale di decadenza dell’amministrazione, ai sensi del citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, decorre non dalla richiesta di registrazione, ma dalla data in cui il contribuente ha denunciato (o avrebbe dovuto denunciare), ex art. 19 del medesimo D.P.R., la mancata presentazione, nel termine, della suddetta documentazione (v. Cass. 27/03/2003, n. 4626; Cass. 12/07/2006, n. 15864).

Non v’è ragione perchè tale principio non debba essere applicato nel caso in esame, non potendo in particolare assegnarsi un tale rilievo alla morte del contribuente sopravvenuta alla stipula dell’atto ma in data anteriore alla scadenza del termine ad esso (e ai suoi eredi) concesso per presentare la documentazione comprovante l’acquisto della qualità di imprenditore agricolo a titolo principale.

Erroneamente pertanto la commissione regionale ha attribuito a tale evento effetto interruttivo dei termini suindicati: peraltro, in generale, non predicabile rispetto a termini posti a pena di decadenza (art. 2964 c.c.).

Pienamente tempestivo deve conseguentemente ritenersi l’avviso di liquidazione in quanto notificato in data 15/11/2006, meno di tre anni dopo la scadenza (9/4/2004) del termine di tre anni dalla registrazione dell’atto (9/4/2001), entro il quale avrebbe dovuto essere prodotta documentazione attestante l’acquisizione dei requisiti richiesti per l’applicazione dell’aliquota agevolata.

4. E’ fondato anche il secondo motivo di ricorso.

La sentenza impugnata incorre effettivamente nel denunciato vizio di erronea applicazione di legge, avendo ritenuto la sanzione irrogata con la cartella esattoriale in contrasto con la norma (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 8) che sancisce il principio di intrasmissibilità della sanzione agli eredi.

La sanzione irrogata infatti – come può univocamente ricavarsi dal relativo importo quale specificato dagli stessi ricorrenti, pari al 30% dell’imposta complementare dovuta – discende dal mancato pagamento delle somme ingiunte direttamente agli eredi con avviso di liquidazione, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ex art. 13, e vede quindi quali soggetti direttamente obbligati (iure proprio, non iure successionis) i destinatari dell’avviso, essendo ad essi direttamente applicabile, con procedura speciale ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17, comma 3, senza necessità di previa contestazione della violazione.

5. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo.

Alla soccombenza segue la condanna dei controricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Condanna le parti private, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.100, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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